FERMO E LUCIA - II TOMO CAPITOLI 5-6

 


LA RELAZIONE CON EGIDIO
Il padrone della casa contigua al quartiere delle educande, era dunque un giovane scellerato: e si chiamava il signor Egidio: perché di cognomi, come abbiam detto, l’autor nostro è molto sparagnatore [1]. Suo padre, uomo dovizioso bastantemente non aveva avuta altra mira nell’educarlo, che di renderlo somigliante a se stesso: ora egli era un solenne accattabrighe [2]: Egidio non aveva quindi sentito dall’infanzia a parlar d’altro che di soddisfazioni e di fare stare, non aveva veduto quasi altro che schioppi e pugnali; e dalle braccia della nutrice era passato in quelle degli scherani [3]. La madre, ch’era di un carattere mansueto e pio, avrebbe potuto forse temperare in parte questa educazione ma ella era morta lasciando Egidio nella infanzia, dopo una lenta malattia cagionata dai continui spaventi. Il padre fu ucciso dopo una brevissima quistione da un suo emolo [4] membro di una famiglia emola della sua da generazioni; ed Egidio restò solo e padrone nella giovinezza. La prima sua impresa fu di risarcire l’onore della famiglia, con una schioppettata nelle spalle dell’uccisore di suo padre. Questa impresa però lo pose da quel momento in un continuo pericolo; e per assicurarsi, egli dovette crescere il numero de’ suoi bravi, e non camminar mai che in mezzo ad un drappello. Suo padre aveva non solo nel paese, ma altrove amici assai, e conformi a lui di massime e di condotta: Egidio gli ereditò tutti, e gli coltivò, tanto più che aveva bisogno della loro assistenza. Ma i garbugli e il macello [5] non piacevano a lui, come al padre, per se medesimi: l’educazione lo aveva addestrato a non temerli, e a corrervi anzi ogni volta che un qualche fine ve lo spingesse: ma non erano un fine, un divertimento, un bisogno per lui. La sua passione predominante era l’amoreggiare; a questa si abbandonava con quelle precauzioni però che esigeva lo stato di guerra in cui egli si trovava, e per questa egli veniva ai garbugli ed al macello, quando non si poteva fare altrimenti.
L’abbaino che guardava nel cortiletto del chiostro non era frequentato da nessuno tanto che visse il padre, il quale non si curava di spiare i fatti delle educande. Soltanto egli vi aveva condotto una volta Egidio adolescente, per fargli osservare che quello era un dominio sul chiostro; e quivi stendendo la mano sui tetti sotto posti, come Amilcare sull’ara, aveva fatto promettere a quel picciolo Annibale che mai in nessun tempo egli non avrebbe sofferto che le monache si togliessero quella servitù [6]. Egidio divenuto padrone, si risovvenne dell’abbaino, e gli parve un dominio assai più importante che suo padre non lo aveva creduto.
Un consorzio di donzellette, le quali non eran tutte bambine, parve a colui uno spettacolo da non trasandarsi [7] quando lo aveva così a portata; e la santità del luogo, il riserbo con cui eran tenute, l’innocenza loro, tutto ciò che avrebbe dovuto essere freno, fu incentivo alla sua sfacciata curiosità, la quale non aveva disegni già determinati, ma era pronta a cogliere e a far nascere tutte le occasioni. Si affacciava egli dunque all’abbaino con quella frequenza e con quella libertà, che non bastasse a farlo scoprire da chi non avrebbe voluto. Nelle ore in cui Geltrude non faceva guardia alle educande, e queste ore tornavano sovente, gettò egli gli occhi sopra una delle più adulte, e trovato il terreno dolce, si diede a chiaccherellare con essa: ma pochi giorni trascorsero, che quella, fidanzata dai suoi parenti ad un tale, fu tolta dal monastero, e così la tresca finì, senza che nessuno l’avesse avvertita. Egidio animato da quel primo successo, ed allettato più che atterrito dalla empietà del secondo pensiero, ardì di rivolgere e di fermare gli occhi e i disegni sopra la Signora; e si diede ad agguatarla [8]. Un giorno mentre le educande erano tutte congregate nella stanza del lavoro con le due suore addette ai servigi della Signora, passeggiava essa sola innanzi e indietro nel cortiletto lontana le mille miglia da ogni sospetto d’insidie, come il pettirosso sbadato saltella di ramo in ramo senza pure immaginarsi che in quella macchia vi sia dei panioni [9], e nascosto dietro a quella il cacciatore che gli ha disposti. Tutt’ad un tratto sentì ella venire dai tetti come un romore di voce non articolata la quale voleva farsi e non farsi intendere, e macchinalmente levò la faccia verso quella parte; e mentre andava errando con l’occhio per quegli alti e bassi, quasi cercando il punto preciso donde il romore era partito, un secondo romore simile al primo, e che manifestamente le apparve una chiamata misteriosa e cauta, le colpì l’orecchio, e la fece avvertire il punto ch’ella cercava. Guardò ella allora più fissamente per conoscere che fosse; e i cenni che vide non le lasciarono dubbio sulla intenzione di quella chiamata. Bisogna qui render giustizia a quella infelice: qual che fosse fin’allora stata la licenza dei suoi pensieri, il sentimento ch’ella provò in quel punto fu un terrore schietto e forte: chinò tosto lo sguardo, fece un cipiglio severo e sprezzante, e corse come a rifuggirsi sotto quel lato del porticato che toccava la casa del vicino, e dove per conseguenza ella era riparata dall’occhio temerario di quello: quivi tirando lunghesso il muro, rannicchiata e ristretta come se fosse inseguita, si avviò all’angolo dov’era una scaletta che conduceva alle sue stanze, vi salse [10], e vi si chiuse, quasi per porsi in sicuro. Posta a sedere tutta ansante, fu assalita da una folla di pensieri: cominciò prima di tutto a ripensare se mai ella avesse dato ansa [11] in alcun modo alla arditezza di colui, e trovatasi innocente, si rallegrò: quindi detestando ancora sinceramente ciò che aveva veduto, se lo andava raffigurando e rimettendo nella immaginazione per venire più chiaramente a comprendere come, perché ciò fosse avvenuto. Forse era equivoco? forse l’aveva egli presa in iscambio? Forse aveva voluto accennare qualche cosa d’indifferente? Ma più ella esaminava, più le pareva di non avere errato alla prima, e questo esame aumentando la sua certezza, la andava famigliarizzando con quella immagine, e diminuiva quel primo orrore e quella prima sorpresa. Cosa strana e trista! il sentimento stesso della sua innocenza le dava un certa sicurtà [12] a tornare su quelle immagini: ella compiaceva liberamente ad una curiosità di cui non conosceva ancora tutta l’estensione, e guardava senza rimorso e senza precauzione una colpa che non era la sua. Finalmente dopo lunga pezza [13] ella si levò come stanca di tanti pensieri che finivano in uno, e desiderò di trovarsi con le sue educande, con le suore, di non esser sola. Esitò alquanto su la strada che doveva fare: ripassando pel cortiletto, ella avrebbe potuto lanciare un guardo alla sfuggita dietro le spalle su quei tetti per vedere se colui era tanto ardito da trattenervisi, e così saper meglio come regolarsi..., ma s’accorse tosto ella stessa che questo era un sofisma della curiosità, o di qualche cosa di peggio, e senza più esitare, s’avviò pel dormitorio alla stanza dove erano le educande: qui, o fosse caso o un resto di quella esitazione ella si affacciò ad una finestra che aveva dirimpetto appunto quei tetti, vi guardò, vide il temerario che non si era mosso, partì tosto dalla finestra, la chiuse, e uscì da quella stanza dicendo in fretta alle educande con voce commossa: «lavorate da brave»; e se ne andò difilato a passeggiare nel giardino del chiostro. L’atto repentino, e la commozione della voce non diedero nulla da pensare né alle educande né alle suore, avvezze le une e le altre agli sbalzi frequenti dell’umore della Signora. Ma ella stava peggio nel giardino che già non fosse nelle sue stanze. Le venne un pensiero, che avrebbe dovuto avvertire dell’accaduto chi poteva opporsi a tanta temerità. — Ma; e se mi fossi ingannata? — Questo dubbio non le veniva che allor quando la manifestazione di ciò che aveva veduto le si presentava alla mente come un dovere. — Prima di parlare — diceva fra sé — voglio esser certa; troverò il modo di farlo con prudenza. E finalmente — concluse fra sé in un accesso di passioni diverse — finalmente che colpa ci ho io? questo monastero non l’ho piantato io qui vicino a questa casa. Così non foss’egli stato piantato in nessun angolo della terra! Dovevano pensarvi quelle che sono venute a chiudervisi di loro voglia. Vada come sa andare. Io non voglio pensarci.
Queste parole volevano dire, forse senza che Geltrude stessa lo scorgesse ben chiaro, che d’allora in poi ella non avrebbe pensato ad altro. Il nostro manoscritto, segue qui con lunghi particolari il progresso dei falli di Geltrude; noi saltiamo tutti questi particolari, e diremo soltanto ciò che è necessario a fare intendere in che abisso ella fosse caduta, e a motivare gli orribili eccessi d’un altro genere, ai quali la strascinò la sua caduta. L’assedio dello scellerato Egidio non si rallentò, e Geltrude cominciò a mettersi sovente nella occasione di mostrargli ch’ella disapprovava le sue istanze, quindi passando gradatamente dalle dimostrazioni della disapprovazione a quelle della non curanza, da questa alla tolleranza, finalmente dopo un doloroso combattimento si diede per vinta in cuor suo, e con quei mezzi che lo scellerato aveva saputi trovare e additarle lo fece certo della sua infame vittoria. Cessato il combattimento, la sventurata provò per un istante una falsa gioja. Alla noja, alla svogliatezza, al rancore continuo, succedeva tutt’ad un tratto nel suo animo una occupazione forte, gradita, continua, una vita potente si trasfondeva nel vuoto dei suoi affetti; Geltrude ne fu come inebbriata; ma era la coppa ristorante [14] che la crudeltà ingegnosa degli antichi porgeva al condannato per invigorirlo a sostenere il martirio. L’avvenire gli apparì [15] come pieno e delizioso. Alcuni momenti della giornata spesi a quel modo, e il resto impiegato a pensare a quelli, ad aspettarli, a prepararli gli sembrò una esistenza beata, che, non lascerebbe né cure, né desiderj; ma le consolazioni della mala coscienza, dice il manoscritto, profittano altrui come al figliuolo di famiglia le somme ch’egli tocca dall’usurajo. L’accecamento di Geltrude e le insidie di Egidio s’avanzavano di pari passo, e giunsero al punto che il muro divisorio non lo fu più che di nome.









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Note

  1. Sparagnino, taccagno (intende dire che è restio a citare i cognomi dei personaggi).
  2. Forma meno comune di attaccabrighe.
  3. Banditi, assassini.
  4. Rivale, avversario.
  5. Le zuffe, gli omicidi.
  6. Il padre di Egidio viene paragonato ad Amilcare Barca, padre del famoso condottiero cartaginese Annibale, che lo aveva indotto da bambino a giurare eterna inimicizia ai Romani. La servitù cui allude l'autore è il fatto che il monastero è contiguo alla casa di Egidio e non se ne può staccare.
  7. Trascurarsi.
  8. A stare in guardia per tenderle un agguato, un tranello.
  9. Trappole per catturare gli uccelli, cosparse di vischio.
  10. Vi salì (forma del toscano letterario).
  11. Favorito, dato spazio.
  12. Una certa sicurezza.
  13. Dopo molto tempo.
  14. La coppa contenente la bevanda in grado di dare forze al condannato.
  15. Le apparve.
L'UCCISIONE DELLA CONVERSA
Una delle due suore addette alla Signora quando cominciò ad avere qualche sospetto, lo confidò ad un’altra suora sua amica, facendosi promettere il segreto: promessa che le fu tenuta perché la Signora era troppo potente, e il segreto troppo pericoloso; e la voglia di ciarlare fu vinta dalla paura. Non era che un sospetto, e gli indizj eran deboli e potevano anche essere interpretati altrimenti; ma la curiosità della suora fu risvegliata, e non lasciava mai di tempestare quella che le aveva fatta la confidenza, per vederne, come si dice, l’acqua chiara. Quando però la suora che aveva ciarlato divenne complice, si studiò non solo di eludere le inchieste della curiosa, ma di disdirsi [1], e di farle credere che il sospetto era ingiurioso e stolto, e ch’ella stessa si era pienamente disingannata. Ciò non ostante la curiosa ritenne sempre quel sospetto, e non lasciava sfuggire occasione di gettar gli occhi nel quartiere delle educande, e di origliare, per venire a qualche certezza.
Accadde un giorno che la Signora venuta a parole con costei la aspreggiò [2], e la trattò con tali termini di villania, che la suora dimenticata ogni cautela, si lasciò sfuggire dalla chiostra dei denti [3]: ch’ella sapeva qualche cosa, e che a tempo e luogo l’avrebbe detto a cui si doveva. La Signora non ebbe più pace.
Che orrenda consulta! le tre sciagurate, e il loro infernale consigliero [4] deliberarono sul modo di imporre silenzio alla suora. Il modo fu pensato e proposto da lui con indifferenza, e acconsentito dalle altre con difficoltà, con resistenza, ma alla fine acconsentito. Geltrude fece più resistenza delle altre, protestò più volte che era pronta a tutto soffrire piuttosto che dar mano ad una tanta scelleratezza, ma finalmente vinta dalle istanze di Egidio e delle due, e nello stesso tempo dal suo terrore, venne ad una transazione con la quale ella si sforzò di fingere a se stessa che sarebbe men rea: pattuì ella dunque che non si sarebbe impacciata di nulla, ed avrebbe lasciato fare.
Presi gli orribili concerti, determinato dalle esortazioni di Egidio al sangue l’animo di quella che fu scelta a versarlo; costei si ravvicinò alla suora condannata e le parlò di nuovo di quegli antichi sospetti, in modo da crescerle la curiosità. E la curiosità era stimolata in essa dal desiderio di vendicarsi della Signora; ma per farlo con sicurezza, aveva essa stessa bisogno di esser sicura. La traditrice, mostrando che non le convenisse di stare più a lungo assente dalla Signora per darle sospetto, lasciò la suora nel forte della curiosità, e nella speranza di scoprire qualche cosa; e come questa insisteva per trattenerla, le propose di venire la notte al quartiere, dove l’avrebbe potuta nascondere nella sua cella, e dirle il di più, e forse renderla testimonio di qualche cosa. La meschina cadde nel laccio. Venuta la notte ella si trovò nel corridojo, dove la suora omicida le venne incontro chetamente, e la condusse nella sua cella: quivi, preso il pretesto dei servigj della Signora per partirsi, promettendo che tornerebbe tosto; la fece nascondersi tra il letticciuolo e la mura, raccomandandole di non muoversi finch’ella non la chiamasse. Uscì quindi a render conto del fatto all’altra suora e allo scellerato che aspettavano in un’altra stanza, e pigliato da Egidio l’orribile coraggio che le abbisognava, entrò nella cella armata d’uno sgabello con la sua compagna. Nella cella non v’era lume, ma quello che ardeva nella stanza vicina vi mandava per la porta aperta una dubbia luce [5]. La scellerata parlando con la compagna, perché la nascosta non si muovesse, e parlando in modo da farle credere ch’ella cercava di rimandare la sua compagna come importuna, andò prima pianamente verso il luogo dove la infelice stavasi rannicchiata, quindi giuntale presso le si avventò, e prima che quella potesse né difendersi né gettare un grido né quasi avvedersi, con un colpo la lasciò senza vita.
[Cap. 6] Accorse al romore Egidio che stava alla bada [6] nella stanza vicina, ed incontrò le colpevoli che fuggivano spaventate, come avrebbero fatto se per caso e a mal loro grado si fossero trovate presenti ad un misfatto. Egidio le fermò, e chiese premurosamente se la cosa era fatta. «Vedete», rispose tremando l’omicida. «Ebbene! coraggio», replicò lo scellerato, «ora bisogna fare il resto»; e dava tranquillamente gli ordini all’una e all’altra su le cose da farsi per togliere ogni vestigio del delitto. Avvezze, come elle erano, ad ubbidire a colui che aveva acquistata una orribile autorità su gli animi loro, a colui che faceva loro sempre paura, e dava loro sempre coraggio; e rianimate, e come illuse dall’aria naturale con la quale egli dava quegli ordini, come se si trattasse di una faccenda ordinaria; raccomandando ora la prestezza, ora il silenzio, elle fecero ciò che era loro comandato. «E la Signora, perché non viene ad ajutarci?» disse l’omicida: «tocca a lei quanto a noi, e più». «Andate a chiamarla», rispose Egidio: l’omicida che cercava anche un pretesto per allontanarsi, almeno per qualche momento, da quel luogo e da quell’oggetto che le era insopportabile, si avviò alla stanza di Geltrude. Questa si stava nelle angosce di chi sente l’orrore del delitto, e lo vuole. Sedeva, si alzava, andava ad origliare alla porta: intese il colpo, e fuggì ella pure a rannicchiarsi nell’angolo il più lontano della sua stanza, orribilmente agitata tra il terrore del misfatto, e il terrore che non fosse ben consumato. L’omicida entrò, e disse: «abbiamo fatto ciò ch’era inteso: non resta più che di riporre le cose in ordine: venite ad ajutarci». «No no, per amor del cielo», rispose Geltrude. «Che c’entra il cielo?» disse l’omicida. «Lasciami, lasciami» continuò Geltrude. «Come!» replicò l’omicida «chi è stata quella...?» «Sì è vero» rispose Geltrude; «ma tu sai ch’io sono una povera sciocca nelle faccende; non son buona da nulla; lasciami stare per amor...» Gli atti e il volto di Geltrude riflettevano in un modo così orribile l’orrore del fatto, che l’omicida non potè sopportare la sua presenza, e tornò in fretta presso a colui, l’aspetto del quale pareva dire: — non è nulla —. «Non vuol venire», diss’ella, con un moto convulso delle labbra, che avrebbe voluto essere un sorriso di scherno: «non vuol venire: è una dappoca [7]». «Non importa», rispose Egidio; «non farebbe altro che impacciare; ecco tutto è finito senza di lei». «Resta ancora...» volle cominciare l’omicida, ma non potè continuare. «Ebbene» disse Egidio, «questa è mia cura; datemi tosto mano, e poi lasciate fare a me». Le donne obbedirono: Egidio carico del terribile peso ascese per una scaletta al solajo: e l’omicidio uscì per la porta che era stata aperta al sacrilegio. Quando lo scellerato fu nelle sue case [8], cioè in quella parte disabitata che toccava il monastero, discese per bugigattoli e per andirivieni dei quali egli era pratico, ad una cantina abbandonata, o che non aveva forse mai servito; quivi in una buca scavata da lui, il giorno antecedente, depose il testimonio del delitto; lo ricoperse, e pigliati da un mucchio che ivi era, cocci, mattoni e rottami, ve li gettò sopra per ricoprirlo, proponendosi di trasportare poco a poco su quel sito tutto il mucchio, un monte se avesse potuto. Le due donne rimaste sole, esaminarono in silenzio, se tutto era nello stato di prima; e poi... che avevano a dirsi? L’omicida, ruppe il silenzio, dicendo: «andiamo a cercare la Signora»; l’altra le tenne dietro senza rispondere.







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Note

  1. Di negare.
  2. La trattò male, duramente.
  3. Dalla bocca (l'espressione chiostra dei denti è aulica, letteraria).
  4. Geltrude, le due suore complici ed Egidio, l'ispiratore del delitto.
  5. Una debole luce.
  6. Osservava il tutto da una stanza attigua.
  7. Una buona a nulla.
  8. Nella sua casa (il plurale case è proprio del toscano letterario).

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