LETTERA DI MOTIVAZIONE

(In una versione da me sintetizzata, la lettera che segue è stata pubblicata sul Blog di Concita De Gregorio e in edizione cartacea su "Repubblica" il 4 agosto)
Insegno da tanto tempo e non ho mai smesso di studiare. Questo il bello, anzi, senza iperbole, il meraviglioso dell'insegnamento per me. A cui s'affiancano altri elementi di costante attrazione per questo lavoro, che evito di elencare per non sfociare nella retorica e banalizzare un argomento anche troppo discusso.
Fatto sta che anni di vita trascorsi (anche) così non mi hanno logorata, né tediata, né resa risentita o delusa. Ogni tanto sì, lo ammetto, qualcuno di questi sentimenti, o anche tutti insieme, mi hanno per un poco sopraffatta, ma sono presto prevalse nuove motivazioni e ho continuato e continuo a immettere energie di ogni tipo in questo mestiere. Può capitarmi di essere molto soddisfatta e, più raramente, certo, di sentire qualcosa di simile all'ebbrezza di una riuscita. Non me ne compiaccio troppo, ma ne traggo alimento e forza.
Addirittura qualcosa di simile all'entusiasmo mi ha invasa proprio in questo anno per molti versi catastrofico per l'umanità intera: colti, tutti insieme, da una perturbazione totale del nostro modo di vivere.
L'entusiasmo a cui mi riferisco, di ascendenza antica, una possessione da parte di un daimon, mi ha assalita all'improvviso quando mi sono resa conto che la contingenza catastrofica di cui sopra mi rendeva possibile fare quello che non avevo mai osato, pur avendo dalla mia ampia esperienza e valida anzianità di servizio.
Mi sono lanciata a capofitto in una didattica sperimentale, riassumibile, per rendere più agile il discorso, nella definizione tecnica di classe capovolta, approfondendone la conoscenza e adattandola alla mia formazione, alla mia visione del mondo e della scuola, al mio progetto individuale (sogno lo definisce Danilo Dolci) che riguarda ciascuna e ciascuno studente affidatomi. Pioniera dell'informatica a scuola (i primi corsi di formazione in merito risalgono agli anni Novanta), utilizzo un blog per ogni mia classe da quasi dieci anni. Ottimo strumento di affiancamento in tempi normali, in questa situazione eccezionale si è rivelato subito in grado di adattarsi a ogni nostra esigenza di comunicazione. Con o senza blog, comunque, la didattica capovolta è, per quanto ho potuto constatare in questa contingenza, quello che ci vuole per rendere finalmente entusiasmante per tutti (e non solo per me) la didattica. I materiali in rete su questo argomento sono tantissimi. SI tratta infatti di una sperimentazione che conta almeno due lustri di vita. Questo è il momento di adottarla perché è in grado di adattarsi sia ai ritmi di una didattica tutta in presenza, sia a quelli di una didattica mista, sia a quelli di una didattica tutta a distanza.
Il punto è che l'anima della didattica capovolta, mi riferisco principalmente alle materie umanistiche che insegno, ma sono sicura si possa estendere anche a quelle scientifiche, è la coltivazione del pensiero critico. Il grande assente dalle scuole di ogni ordine e grado, conquistate dalla retorica di un insegnamento uguale per tutti. In perfetta contraddizione col fatto che gli stili cognitivi siano tanti (per fortuna), così pure le dotazioni di talenti e che le idee si nutrano tra l'altro di contraddizioni e di confronti, di stimoli colti dagli altri attraverso discussioni condotte nel rispetto reciproco, animati dal desiderio di capire prima di ribattere, di pensare prima di parlare, di meditare e di lasciar modo alla riflessione di far maturare e rendere se possibile proficue per tutti le acquisizioni raggiunte. La didattica capovolta abolisce finalmente quel rapporto convenzionale e cristallizzato, l'insegnante che discetta e l'allievo che ripete (nella migliore delle ipotesi), senza contributi, senza il disegno comune di andare da qualche parte insieme, una parte nuova, diversa, non già tracciata e ripetuta.


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