PRIMA AUDIOLEZIONE DI EPICA : ELENA (con testo Monti)

https://drive.google.com/file/d/1vMLzux2KLV4jdUl2GXKKloMQYlQk_Dai/view?usp=sharing

Di seguito il testo, nella traduzione di Monti, al quale faccio riferimento nell'audiolezione. Sul testo in adozione, pagine dedicate a Elena si trovano da 140 a 143. 

Iliade, vv. 158 e sgg.  e 515 circa  fino alla fine (traduzione Monti)

Scese intanto dal cielo ambasciatrice
Iri ad Eléna dalle bianche braccia,
Della cognata Laodice assunto
160
Il sembiante gentil, di Laodice
Che pregiata del prence Elicaone,
D’Anténore figliuolo, era consorte,
E tra le figlie prïamee tenuta
La più vaga. Trovolla che tessea
165
A doppia trama una splendente e larga
Tela, e su quella istorïando andava
Le fatiche che molte a sua cagione
Soffríano i Teucri e i loricati Achei.
La Diva innanzi le si fece, e disse:
170
   Sorgi, sposa diletta, a veder vieni
De’ Troiani e de’ Greci un ammirando
Spettacolo improvviso. Essi che dianzi
Di sangue ingordi lagrimosa guerra
Si fean nel campo, or fatto han tregua, e queti
175
Seggonsi e curvi su gli scudi in mezzo
Alle lunghe lor picche al suol confitte.
Alessandro frattanto e Menelao
Per te coll’asta in singolar certame
Combatteranno, e tu verrai chiamata
180
Del prode vincitor cara consorte.
   Con questo ragionar la Dea le mise

Un subito nel cor dolce desío
Del primiero marito e della patria
E de’ parenti. Ond’ella in bianco velo
185
Prestamente ravvolta, e di segrete
Tenere stille rugiadosa il ciglio,
Della stanza n’usciva; e non già sola,
Ma due donzelle la seguían, Climene
Per grand’occhi lodata, e di Pitteo
190
Etra la figlia. Delle porte Scee
Giunser tosto alla torre, ove seduto
Priamo si stava, e con lui Lampo e Clizio,
Pantóo, Timete, Icetaone e i due
Spegli di senno Ucalegonte e Anténore,
195
Del popol senïori, che dell’armi
Per vecchiezza deposto avean l’affanno,
Ma tutti egregi dicitor, sembianti
Alle cicade che agli arbusti appese
Dell’arguto lor canto empion la selva.
200
   Come vider venire alla lor volta
La bellissima donna i vecchion gravi
Alla torre seduti, con sommessa
Voce tra lor venían dicendo: In vero
Biasmare i Teucri nè gli Achei si denno
205
Se per costei sì dïuturne e dure
Sopportano fatiche. Essa all’aspetto
Veracemente è Dea. Ma tale ancora
Via per mar se ne torni, e in nostro danno
Più non si resti nè de’ nostri figli.
210
   Dissero; e il rege la chiamò per nome:
Vieni, Elena, vien qua, figlia diletta,
Siedimi accanto, e mira il tuo primiero
Sposo e i congiunti e i cari amici. Alcuna
Non hai colpa tu meco, ma gli Dei,
215
Che contra mi destâr le lagrimose

Arme de’ Greci. Or drizza il guardo, e dimmi
Chi sia quel grande e maestoso Acheo
Di sì bel portamento? Altri l’avanza
Ben di statura, ma non vidi al mondo
220
Maggior decoro, nè mortale io mai
Degno di tanta riverenza in vista:
Re lo dice l’aspetto. - E la più bella
Delle donne così gli rispondea:
   Suocero amato, la presenza tua
225
Di timor mi rïempie e di rispetto.
Oh scelta una crudel morte m’avessi,
Pria che l’orme del tuo figlio seguire,
Il marital mio letto abbandonando
E i fratelli e la cara figlioletta
230
E le dolci compagne! Al ciel non piacque;
E quindi è il pianto che mi strugge.

 

[...]

 

Ma quando all’incarnato

Del bellissimo collo, e all’amoroso
Petto, e degli occhi al tremolo baleno
Riconobbe la Dea, coglier sentissi
Di sacro orrore, e ritrovate alfine
525
Le parole, sclamò: Trista! e che sono
Queste malizie? Ad alcun’altra forse
Di Meonia o di Frigia alta cittade
Vuoi tu condurmi affascinata in braccio
D’alcun altro tuo caro? Ed or che vinto
530
Il suo rival, me d’odio carca a Sparta
E perdonata Menelao radduce,
Sei tu venuta con novelli inganni
Ad impedirlo? E chè non vai tu stessa
A goderti quel vile? Obblía per lui
535
L’eterea sede, nè calcar più mai
Dell’Olimpo le vie: statti al suo fianco,
Soffri fedele ogni martello, e il cova
Finchè t’alzi all’onor di moglie o ancella;
Ch’io tornar non vo’ certo (e fòra indegno)
540
A sprimacciar di quel codardo il letto,
Argomento di scherno alle troiane
Spose, e a me stessa d’infinito affanno.
   E irata a lei la Dea: Non irritarmi,
Sciagurata! non far ch’io t’abbandoni
545
Nel mio disdegno, e tanto io sia costretta
Ad abborrirti alfin quanto t’amai;
E t’amai certo a dismisura. Or io
Negli argolici petti e ne’ troiani
Metterò, se mi tenti, odii sì fieri,
550
Che di mal fato perirai tu pure.
   L’alma figlia di Leda a questo dire
Tremò, si chiuse nel suo bianco velo,
E cheta cheta in via si pose, a tutte
Le Troadi celata, e precorreva
555

 

A’ suoi passi la Dea. Poichè venute
Fur d’Alessandro alle splendenti soglie,
Corser di qua di là le scaltre ancelle
Ai donneschi lavori, ed ella intanto
Bellissima saliva e taciturna
560
Ai talami sublimi. Ivi l’amica
Del riso Citerea le trasse innanzi
Di propria mano un seggio, e di rimpetto
Ad Alessandro il collocò. S’assise
La bella donna, e con amari accenti,
565
Garrì, senza mirarlo, il suo marito:
   E così riedi dalla pugna? Oh fossi
Colà rimasto per le mani anciso
Di quel gagliardo un dì mio sposo! E pure
E di lancia e di spada e di fortezza
570
Ti vantasti più volte esser migliore.
Fa cor dunque, va, sfida il forte Atride
Alla seconda singolar tenzone.
Ma t’esorto, meschino, a ti star queto,
Nè nuovo ritentar d’armi periglio
575
Col tuo rivale, se la vita hai cara.
   Non mi ferir con aspri detti, o donna,
Le rispose Alessandro. Fu Minerva
Che vincitor fe’ Menelao, sol essa.
Ma lui del pari vincerò pur io,
580
Ch’io pure al fianco ho qualche Diva. Or via
Pace, o cara, e ne sia pegno un amplesso
Su queste piume; chè giammai sì forte
Per te le vene non scaldommi Amore,
Quel dì nè pur che su veloci antenne
585
Io ti rapía di Sparta, e tuo consorte
Nell’isola Crenea ti giacqui in braccio.
No, non t’amai quel dì quant’ora, e quanto
Di te m’invoglia il cor dolce desío.

[p. 81 modifica]

   Disse; ed al letto s’avvïaro, ei primo,590
Ella seconda; e l’un dell’altro in grembo
Su i mollissimi strati si confuse.
   Come irato lïon l’Atride intanto
Di qua di là si ravvolgea cercando
Il leggiadro rival; nè lui fra tanta
595
Turba di Teucri e d’alleati alcuno
Significar sapea, nè lo sapendo
L’avría di certo per amor celato;
Chè come il negro ceffo della morte
Abborrito da tutti era costui.
600
   Fattosi innanzi allora Agamennóne,
Teucri, Dardani, ei disse, e voi di Troia
Alleati, m’udite. Vincitore
Fu, lo vedeste, Menelao. Voi dunque
Elena ne rendete, e tutta insieme
605
La sua ricchezza, e d’un’ammenda inoltre
Ne rintegrate che convegna, e tale
Che memoria ne passi anco ai nepoti.
Disse; e tutto gli plause il campo acheo.

 


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