MODELLO DI REALIZZAZIONE DI ALLIEVO (ANALISI I CAPITOLO PROMESSI SPOSI)
1) Com'è suddiviso il capitolo (parti che descrivono il paesaggio, parti che ricostruiscono il quadro storico, parti che descrivono personaggi, dialoghi). Indicare, per essere ordinati, l'inizio e la fine dei capoversi contenenti le rispettive parti.
"Quel ramo del lago
[...] vedute". La prima parte del capitolo funge da introduzione per l’intero romanzo descrivendo accuratamente il paesaggio circostante la città di Lecco e i luoghi
nei quali trova ambientazione la vicenda. Manzoni, per la maggior parte della
sezione, si serve di una tecnica descrittiva che dimostra la sua sapienza
compositiva. Il lettore, infatti, prova la sensazione di essere trasportato da
un punto all’altro del paesaggio, tipica dei movimenti di macchina nel cinema,
che permettono di far cogliere un paesaggio nella sua interezza e poi,
successivamente nei dettagli. Il Cinema, però, nell’800 non aveva ancora visto
la luce.
“Per una di queste
stradicciole [...] specie de' bravi” Dopo aver inquadrato il contesto storico comincia la narrazione vera e
propria che inizia con la descrizione del personaggio di don Abbondio e il suo
incontro con i bravi. Il curato appare fin dall’inizio come un uomo
esageratamente abitudinario, lo dimostra il fatto che, durante la sua
passeggiata quotidiana verso casa, alzi lo sguardo sempre verso lo stesso
punto. Inoltre, quando recita il breviario, un libro di preghiere che dovrebbe
assumere particolare importanza per un sacerdote, è evidentemente
deconcentrato. Questo suo comportamento mette in evidenza il fatto che Abbondio
non senta propria la funzione sacerdotale, essendo entrato a far parte del
mondo istituzionale della religione solo per ottenere protezione dalle numerose
insidie del ‘600.
“Questa specie [...] c'era
de' bravi tuttavia” Sulla figura dei bravi, dei malfattori sfuggiti alla legge, Manzoni si
sofferma a lungo, elencando una grande quantità di gride, documenti ufficiali
con i quali il governo spagnolo imponeva disposizioni rigidissime nei confronti
dei bravi, che venivano tuttavia costantemente ignorate. Questo accadeva perché
il monarca spagnolo risiedeva in una posizione molto distante dai piccoli
paesini: si creava così un vuoto di potere che consentiva a dei signorotti locali
di prendere il sopravvento e mettere i bravi sotto la loro protezione purché
diventassero la loro mano armata.
Manzoni, quando ricorre a tale digressione storica, lo fa con uno sguardo
critico nei confronti del ‘600, riflettendo sulla validità delle leggi e sui
limiti della loro applicazione. Trascrive le gride senza apportare modifiche,
con ricchezza di particolari e accurata indicazione di titoli e ruoli, per un
preciso motivo: far notare al lettore quanto queste fossero complesse e
articolate, tanto da sortire l’effetto contrario. Se infatti erano state
pensate per punire i colpevoli, finivano col condannare gli innocenti, incapaci
di orientarsi nel loro linguaggio così oscuro e difficilmente comprensibile. Risulta così rintracciabile l’influenza di
pensiero del nonno materno di Manzoni, Cesare Beccaria, secondo il quale la
complicatezza delle leggi lascia spazio ad interpretazioni soggettive di esse.
“Che i due descritti [...]
toccato di vivere” La narrazione viene ripresa con l’incontro e il conseguente dialogo fra
lo spaventatissimo don Abbondio e i bravi. Fin dalle prime parole del curato
emergono numerosi particolari utili a tratteggiare la sua psicologia, poiché,
vedendo i due personaggi in atteggiamento minaccioso, ne resta immediatamente
impaurito ed esclama: “Cosa comandano?”. In tal modo si pone in una situazione
di inferiorità, al servizio dei due bravi, cosa che non dovrebbe assolutamente
accadere, specialmente da parte di un sacerdote.
“Don Abbondio [...] nel capo
basso di don Abbondio” All’interno di questa lunga sezione viene descritta in modo diretto e
indiretto la personalità di don Abbondio messa in correlazione con la società
dell’epoca organizzata in classi. Infatti, come già visto nella sezione
precedente, Manzoni conferma l’egoistica tendenza del curato a sfuggire ad ogni
problema, rimanendo sempre neutrale e tranquillo.
“Se Renzo [...] e disparve” Nell’ultima sequenza del
capitolo, a una riflessione personale di Abbondio segue un animato dialogo con
la sua fedele e pettegola serva Perpetua, classica comare sempre informata sui
segreti di tutti i compaesani.
L’introduzione del narratore nella scena mette in evidenza la forma di un
comico teatrino poiché il curato aveva
tanta voglia di liberarsi del suo doloroso segreto quanta ne avesse Perpetua di
conoscerlo. Abbondio, infatti, è combattuto, perché vorrebbe tanto
scaricarsi di dosso il peso che si porta dietro, ma è spaventato dalle
conseguenze che potrebbe avere la rivelazione, essendo stato minacciato di
morte dai due malfattori.
Si potrebbe persino paragonare la figura di Abbondio ad una pecora, l’animale mansueto per eccellenza che fugge da ogni pericolo, in cerca del suo pastore. Il pastore, però, potrebbe indirettamente trasformarsi nel lupo, perché il curato verrebbe perseguitato da Don Rodrigo se si sapesse che ha parlato con qualcuno delle minacce ricevute.
Commenti
Posta un commento