COMPITI PER IL 2 E IL 4 MARZO
2 MARZO - PROMESSI SPOSI
Naturalmente dovete procedere con la lettura del XVIII capito dei Promessi sposi, mentre io mi dedico alla correzione delle vostre schede sulla provvidenza e ve le rimando come sempre via mail (se trovo qualche lavoro soddisfacente lo valuto).
Vi ricordo il decalogo personale di cui vi ho detto a voce.
Dato che martedì ci vedremo in presenza, vi chiedo di prepararvi a rispondere oralmente (quindi, da quello che ci siamo detti più volte, ma che ribadisco, preparando sempre un testo scritto da sapere ripetere anche senza leggere) alle seguenti domande, alcune delle quali sono riprese di temi/personaggi già discussi:
1) Renzo, protagonista di una sorta di storia di formazione che è ospitata all'interno dell'impianto storico dei Promessi sposi, viene descritto dall'Autore in alcuni momenti come ingenuo, sprovveduto, intemperante, impulsivo in altri avveduto, ragionevole, generoso, provvisto di senso critico. Dopo esservi assicurati di conoscere esattamente il significati degli aggettivi utilizzati, spiegatene il ricorso, in riferimento al personaggio, attraverso esempi testuali, da inserire secondo il metodo che vi ho insegnato.
2) Dal I al XVIII capitolo, scegli un passaggio narrativo in cui l'Autore onnisciente prenda la parola esprimendo un commento, un giudizio, una massima esistenziale che ti abbia colpito e commentala, dopo averne effettuata la contestualizzazione (ovvero aver spiegato quale ne sia il senso comunicativo nel contesto specifico).
3) Scegli un personaggio che ti interessi descrivere, per le caratteristiche psicologiche o morali che gli attribuisce Manzoni e concepiscine appunto una presentazione così strutturata: 1) il personaggio così come risulta essere in base al ritratto fornito da Manzoni; 2) il personaggio visto attraverso i tuoi occhi di quindicenne del 2021 (assoluta estraneità, affinità, antipatia, simpatia: utilizza pure il canale emotivo per affrontare questa richiesta).
4) La folla in tumulto a Milano: individua i passi in cui viene descritta e commentali.
5) Il personaggio di Ferrer: un esempio di esercizio del potere.
6) Il personaggio di Don Rodrigo: un esempio di esercizio del potere.
7) Il personaggio del padre di Gertrude: un esempio di esercizio del potere.
8) Identifica un altro personaggio a tua scelta al quale applicare la richiesta proposta per le domande 5), 6), 7).
9) Un esempio di esercizio del potere tratto dalla tua esperienza (puoi mantenere l'anonimato del soggetto che scegli di descrivere, limitandoti a trattare il contesto e il soggetto medesimo come un'astrazione: uomo/donna che agisce in ambito politico, sociale, economico, educativo).
4 MARZO - EPICA
Riporto di seguito due citazioni dal libro XII dell'Odissea nella traduzione di Ippolito Pindemonte. Sono entrambe relative all'episodio delle Sirene e dovete effettuarne la parafrasi. Al termine trovate un breve racconto di Kafka, che dovete leggere un paio di volte. Ne discuteremo insieme.
Le Sirene, sedendo in un bel prato,
Mandano un canto dalle argute labbra,60
Che alletta il passeggier: ma non lontano
D’ossa d’umani putrefatti corpi,
E di pelli marcite, un monte s’alza.
Tu veloce oltrepassa, e con mollita
Cera de’ tuoi così l’orecchio tura,65
Che non vi possa penetrar la voce.
Odila tu, se vuoi; sol che diritto
Te della nave all’albero i compagni
Leghino, e i piedi stringanti, e le mani:
Perchè il diletto di sentir la voce70
Delle Sirene tu non perda. E dove
Pregassi, o comandassi a’ tuoi di sciorti,
Le ritorte raddoppino, ed i lacci. (libro XII, Circe spiega a Ulisse cosa lo attenda una volta partito dalla sua isola)
Già, vogando di forza, eravam, quanto
Corre un grido dell’uomo, alle Sirene
Vicini. Udito il flagellar de’ remi,
E non lontana omai vista la nave,
Un dolce canto cominciaro a sciorre:240
O molto illustre Ulisse, o degli Achéi
Somma gloria immortal, su via, qua vieni,
Ferma la nave, e il nostro canto ascolta.
Nessun passò di qua su negro legno,
Che non udisse pria questa, che noi245
Dalle labbra mandiam, voce soave:
Voce, che innonda di diletto il core,
E di molto saver la mente abbella.
Chè non pur ciò, che sopportaro a Troja
Per celeste voler Teucri, ed Argivi,250
Noi conosciam, ma non avvien su tutta
La delle vite serbatrice terra
Nulla, che ignoto, o scuro a noi rimanga.
Così cantaro. Ed io, porger volendo
Più da vicino il dilettato orecchio,255
Cenno ai compagni fea, che ogni legame
Fossemi rotto; e quei più ancor sul remo
Incurvavano il dorso, e Perimede
Sorgea ratto, ed Euriloco, e di nuovi
Nodi cingeanmi, e mi premean più ancora.260
Come trascorsa fu tanto la nave,
Che non potea la perigliosa voce
Delle Sirene aggiungerci, coloro
A sè la cera dall’orecchie tosto,
E dalle membra a me tolsero i lacci. (libro XII, l'episodio in sé evocato da Ulisse)
Il silenzio delle Sirene (1917)
Per proteggersi dalle Sirene, Ulisse si tappò le orecchie con la cera e si lasciò incatenare all’albero maestro della nave. Naturalmente tutti i viaggiatori avrebbero potuto fare da sempre qualcosa di simile, eccetto quelli che le Sirene avevano già ammaliato da lontano, ma era risaputo in tutto il mondo che era impossibile che questo potesse servire. Il canto delle Sirene penetrava dappertutto e la passione degli incantati avrebbe spezzato ben più che catene e albero. Ulisse non ci pensò, benché forse lo sapesse per esperienza.
Confidava pienamente in quel poco di cera e in quel fascio di catene e, con l’innocente gioia che gli derivava dai suoi astuti sotterfugi, andò direttamente incontro alle Sirene. Ora, le Sirene hanno un’arma ancora più terribile del canto, cioè il silenzio. Non è certamente accaduto, ma potrebbe essere che qualcuno si sia salvato dal loro canto, ma non certo dal loro silenzio.
Al sentimento di averle sconfitte con la propria forza, al conseguente orgoglio che travolge ogni cosa, nessun mortale può resistere. E, in effetti, quando Ulisse arrivò, le potenti cantatrici non cantarono, sia che credessero che solo il silenzio potesse vincere un così abile avversario, sia che, alla vista dell’estasi nel volto di Ulisse, che non pensava ad altro che a cera e a catene e a un enorme cavallo di legno sulla piana di Troia, si dimenticassero proprio di cantare. Ma Ulisse tuttavia, per così dire, non udì il loro silenzio, e credette che cantassero e di essere lui solo protetto dall’udirle. Vide fugacemente sulle prime il movimento delle loro gole, il respiro profondo, gli occhi pieni di lacrime, le bocche socchiuse, ma credette che questo facesse parte delle melodie che non udite risuonavano intorno a lui. Ma tutto ciò sfiorò appena il suo sguardo fisso nella lontananza, le Sirene sparirono davanti alla sua determinazione e, proprio quando era più vicino alle Maliarde, non seppe più niente di loro. Esse però – più belle che mai – si stirarono e si girarono, lasciando ondeggiare al vento le loro orride capigliature e graffiavano furiosamente con gli adunchi artigli gli scogli. Non volevano più sedurre, volevano solo farsi penetrare il più a lungo possibile dallo sguardo dei grandi occhi di Ulisse.
Se le Sirene fossero dotate di consapevolezza, quella volta sarebbero state annientate.
Ma sopravvissero, e solo Ulisse sfuggì a loro.
A questo punto, si tramanda ancora un’appendice di quest’antica leggenda. Ulisse, si dice, era così astuto, era una tale volpe, che neppure la Parca, filatrice del destino, poteva penetrare nel suo intimo. Forse egli, benché questo non si possa capire con l’intelletto umano, si è realmente accorto che le Sirene tacevano e non ha fatto altro che opporre, sia a loro che agli Dei, come fosse uno scudo, la finzione precedentemente narrata.
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