DOMANDE - RIFLESSIONI
- Manzoni, I promessi sposi, dal cap. XVIII
- Manzoni, I promessi sposi, cap. XIX
- Nel capitolo XVIII viene presentato il Conte zio: forniscine una caratterizzazione.
- Nel capitolo XIX intenzioni e comportamenti di fra Cristoforo sono soggetti a una deformazione da parte del Conte zio: precisa a che cosa sia funzionale tale deformazione, con quali argomentazioni sia condotta, come operi in difesa il padre provinciale e quale sia l'esito finale dell'incontro (con le sue più dirette conseguenze sulla vicenda centrale del romanzo).
- La monaca di Monza, sia pur lottando con se stessa, tradisce Lucia. Racconta l'evento in sé e poi soffermati su questo sua dramma interiore.
- Don Abbondio non era nato con un cuor di leone, scrive icasticamente Manzoni descrivendo originariamente il curato. Ricorri a due esempi testuali attraverso i quali dimostrare quanto sia fondato il ricorso a questa celebre litote.
Manzoni, I promessi sposi, capitolo XXIII
Il cardinal Federigo, intanto che aspettava l’ora d’andar in chiesa a celebrar gli ufizi divini, stava studiando, com’era solito di fare in tutti i ritagli di tempo; quando entrò il cappellano crocifero, con un viso alterato.
“Una strana visita, strana davvero, monsignore illustrissimo!”
“Chi è?” domandò il cardinale.
“Niente meno che il signor...” riprese il cappellano; e spiccando le sillabe con una gran significazione, proferì quel nome che noi non possiamo scrivere ai nostri lettori. Poi soggiunse: “è qui fuori in persona; e chiede nient’altro che d’esser introdotto da vossignoria illustrissima.”
“Lui!” disse il cardinale, con un viso animato, chiudendo il libro, e alzandosi da sedere: “venga! venga subito!”
“Ma...” replicò il cappellano, senza moversi: “vossignoria illustrissima deve sapere chi è costui: quel bandito, quel famoso...”
“E non è una fortuna per un vescovo, che a un tal uomo sia nata la volontà di venirlo a trovare?”
“Ma...” insistette il cappellano: “noi non possiamo mai parlare di certe cose, perchè monsignore dice che le son ciance: però, quando viene il caso, mi pare che sia un dovere... Lo zelo fa de’ nemici, monsignore; e noi sappiamo positivamente che più d’un ribaldo ha osato vantarsi che, un giorno o l’altro...”
“E che hanno fatto?” interruppe il cardinale.
“Dico che costui è un appaltatore di delitti, un disperato, che tiene corrispondenza co’ disperati più furiosi, e che può esser mandato...”
“Oh, che disciplina è codesta,” interruppe ancora sorridendo Federigo, “che i soldati esortino il generale ad aver paura?” Poi, divenuto serio e pensieroso, riprese: “san Carlo non si sarebbe trovato nel caso di dibattere se dovesse ricevere un tal uomo: sarebbe andato a cercarlo. Fatelo entrar subito: ha già aspettato troppo.”
- Manzoni, Promessi sposi, cap. XXIII
Il cappellano uscì, e andò nella stanza dov’eran que’ preti riuniti: tutti gli occhi si rivolsero a lui. Lui, con la bocca tuttavia aperta, col viso ancor tutto dipinto di quell’estasi, alzando le mani, e movendole per aria, disse: “signori! signori! haec mutatio dexterae Excelsi.” E stette un momento senza dir altro. Poi, ripreso il tono e la voce della carica, soggiunse: “sua signoria illustrissima e reverendissima vuole il signor curato della parrocchia, e il signor curato di ***.”
Il primo chiamato venne subito avanti, e nello stesso tempo, uscì di mezzo alla folla un: “io?” strascicato, con un’intonazione di maraviglia.
“Non è lei il signor curato di ***?” riprese il cappellano.
“Per l’appunto; ma...”
“Sua signoria illustrissima e reverendissima vuol lei.”
“Me?” disse ancora quella voce, significando chiaramente in quel monosillabo: come ci posso entrar io? Ma questa volta, insieme con la voce, venne fuori l’uomo, don Abbondio in persona, con un passo forzato, e con un viso tra l’attonito e il disgustato. Il cappellano gli fece un cenno con la mano, che voleva dire: a noi, andiamo; ci vuol tanto? E precedendo i due curati, andò all’uscio, l’aprì, e gl’introdusse.
- Due risposte di don Abbondio ti guidino in una ricostruzione della psicologia del personaggio . Cioè… – rispose, con voce tremolante, don Abbondio: – cioè. (I capitolo) e Me? (XXIII).
- Manzoni, Promessi sposi, cap. XXIII
- Manzoni, Promessi sposi, cap. XXIV
Allora, quello di cui si parlava, spinse l’uscio, e si fece vedere; Lucia, che poco prima lo desiderava, anzi, non avendo speranza in altra cosa del mondo, non desiderava che lui, ora, dopo aver veduti visi, e sentite voci amiche, non potè reprimere un subitaneo ribrezzo; si riscosse, ritenne il respiro, si strinse alla buona donna, e le nascose il viso in seno. L’innominato, alla vista di quell’aspetto sul quale già la sera avanti non aveva potuto tener fermo lo sguardo, di quell’aspetto reso ora più squallido, sbattuto, affannato dal patire prolungato e dal digiuno, era rimasto lì fermo, quasi sull’uscio; nel veder poi quell’atto di terrore, abbassò gli occhi, stette ancora un momento immobile e muto; indi rispondendo a ciò che la poverina non aveva detto, - è vero, - esclamò: “ perdonatemi! ”
- Manzoni, Promessi sposi, cap. XXIV
Sentiva ora, molto più che nell’andare, l’incomodo di quel modo di viaggiare, al quale non era molto avvezzo; e specialmente sul principio, nella scesa dal castello al fondo della valle. Il lettighiero, stimolato da’ cenni dell’innominato, faceva andar di buon passo le sue bestie; le due cavalcature andavan dietro dietro, con lo stesso passo; onde seguiva che, a certi luoghi più ripidi, il povero don Abbondio, come se fosse messo a leva per di dietro, tracollava sul davanti, e, per reggersi, doveva
appuntellarsi con la mano all’arcione; e non osava però pregare che s’andasse più adagio, e dall’altra parte avrebbe voluto esser fuori di quel paese più presto che fosse possibile. Oltre di ciò, dove la strada era sur un rialto, sur un ciglione, la mula, secondo l’uso de’ pari suoi, pareva che facesse per dispetto a tener sempre dalla parte di fuori, e a metter proprio le zampe sull’orlo; e don Abbondio vedeva sotto di sè, quasi a perpendicolo, un salto, o come pensava lui, un precipizio. — Anche tu, — diceva tra sè alla bestia, — hai quel maledetto gusto d’andare a cercare i pericoli, quando c’è tanto sentiero! —E tirava la briglia dall’altra parte; ma inutilmente. Sicché, al solito, rodendosi di stizza e di paura, si lasciava condurre a piacere altrui. I bravi non gli facevan più tanto spavento, ora che sapeva più di certo come la pensava il padrone. — Ma, — rifletteva però, — se la notizia di questa gran conversione si sparge qua dentro, intanto che ci siamo ancora, chi sa come l’intenderanno costoro! Chi sa cosa nasce! Che s’andassero a immaginare che sia venuto io a fare il missionario! Povero me! mi martirizzano! — Il cipiglio dell’innominato non gli dava fastidio. — Per tenere a segno quelle facce lì, — pensava, — non ci vuol meno di questa qui; lo capisco anch’io; ma perché deve toccare a me a trovarmi tra tutti costoro! —
- Personaggi principali e personaggi secondari dei Promessi sposi. Dopo aver chiarito come distinguere tra queste due categorie, introduci il personaggio, sicuramente secondario, della buona donna che accompagna don Abbondio a liberare Lucia dalla sua prigionia nel castello dell'Innominato.
- Manzoni, I promessi sposi, cap. XXIV
Lucia, tornatele alquanto le forze, e acquietandosele sempre più l’animo, andava intanto assettandosi, per un’abitudine, per un istinto
di pulizia e di verecondia: rimetteva e fermava le trecce allentate e arruffate, raccomodava il fazzoletto sul seno, e intorno al collo. In far questo, le sue dita s’intralciarono nella corona che ci aveva messa, la notte avanti; lo sguardo vi corse; si fece nella mente un tumulto istantaneo; la memoria del voto, oppressa fino allora e soffogata da tante sensazioni presenti, vi si suscitò d’improvviso, e vi comparve chiara e distinta. Allora tutte le potenze del suo animo, appena riavute, furon sopraffatte di nuovo, a un tratto: e se quell’animo non fosse stato così preparato da una vita d’innocenza, di rassegnazione e di fiducia, la costernazione che provò in quel momento, sarebbe stata disperazione. Dopo un ribollimento di que’ pensieri che non vengono con parole, le prime che si formarono nella sua mente furono: — oh povera me, cos’ho fatto! —
Ma non appena l’ebbe pensate, ne risentì come uno spavento. Le tornarono in mente tutte le circostanze del voto, l’angoscia intollerabile, il non avere una speranza di soccorso, il fervore della preghiera, la pienezza del sentimento con cui la promessa era stata fatta. E dopo avere ottenuta la grazia, pentirsi della promessa, le parve un’ingratitudine sacrilega, una perfidia verso Dio e la Madonna; le parve che una tale infedeltà le attirerebbe nuove e più terribili sventure, in mezzo alle quali non potrebbe più sperare neppur nella preghiera; e s’affrettò di rinnegare quel pentimento momentaneo. Si levò con divozione la corona dal collo, e tenendola nella mano tremante, confermò, rinnovò il voto, chiedendo nello stesso tempo, con una supplicazione accorata, che le fosse concessa la forza d’adempirlo, che le fossero risparmiati i pensieri e l’occasioni le quali avrebbero potuto, se non ismovere il suo animo, agitarlo troppo. La lontananza di Renzo, senza nessuna probabilità di ritorno, quella lontananza che fin allora le era stata così amara, le parve ora una disposizione della Provvidenza, che avesse fatti andare insieme i due avvenimenti per un fine solo; e si studiava di trovar nell’uno la ragione d’esser contenta dell’altro. E dietro a quel pensiero, s’andava figurando ugualmente che quella Provvidenza medesima, per compir l’opera, saprebbe trovar la maniera di far che Renzo si rassegnasse anche lui, non pensasse più... Ma una tale idea, appena trovata, mise sottosopra la mente ch’era andata a cercarla. La povera Lucia, sentendo che il cuore era lì lì per pentirsi, ritornò alla preghiera, alle conferme, al combattimento, dal quale s’alzò, se ci si passa quest’espressione, come il vincitore stanco e ferito, di sopra il nemico abbattuto: non dico ucciso.
- Manzoni, I promessi sposi, XXV
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