PIANIFICAZIONE DELLA SETTIMANA 13-15

 Per il 13 aprile:

  •  Promessi sposi, leggere capitoli XXIII e XXIV. 
  • Concepire uno  scritto intitolato Il Nibbio e la compassione, servendosi come punto di partenza del passo letto in classe, che qui riporto: 

Intanto l’innominato, ritto sulla porta del castello, guardava in giù; e vedeva la bussola venir passo passo, come prima la carrozza, e avanti, a una distanza che cresceva ogni momento, salir di corsa il Nibbio. Quando questo fu in cima, il signore gli accennò che lo seguisse; e andò con lui in una stanza del castello.

“Ebbene?” disse, fermandosi lì.

“Tutto a un puntino ” rispose, inchinandosi, il Nibbio: “l’avviso a tempo, la donna a tempo, nessuno sul luogo, un urlo solo, nessuno comparso, il cocchiere pronto, i cavalli bravi, nessun incontro: ma...”

“Ma che?”

“Ma... dico il vero, che avrei avuto più piacere che l’ordine fosse stato di darle una schioppettata nella schiena, senza sentirla parlare, senza vederla in viso.”

“Cosa? cosa? che vuoi tu dire?”

“Voglio dire che tutto quel tempo, tutto quel tempo... M’ha fatto troppa compassione.”

“Compassione! Che sai tu di compassione? Cos’è la compassione?”

“Non l’ho mai capito così bene come questa volta: è una storia [p. 396 modifica]la compassione un poco come la paura: se uno la lascia prender possesso, non è più uomo.”

“Sentiamo un poco come ha fatto costei per moverti a compassione.”

“O signore illustrissimo! tanto tempo...! piangere, pregare, e far cert’occhi, e diventar bianca bianca come morta, e poi singhiozzare, e pregar di nuovo, e certe parole...”

— Non la voglio in casa costei, — pensava intanto l’innominato. — Sono stato una bestia a impegnarmi; ma ho promesso, ho promesso. Quando sarà lontana... — E alzando la testa, in atto di comando, verso il Nibbio, “ora,” gli disse, “metti da parte la compassione: monta a cavallo, prendi un compagno, due se vuoi; e va’ di corsa a casa di quel don Rodrigo che tu sai. Digli che mandi... ma subito subito, perchè altrimenti...”

Ma un altro no interno più imperioso del primo gli proibì di finire. “No,” disse con voce risoluta, quasi per esprimere a sè stesso il comando di quella voce segreta, “no: va’ a riposarti; e domattina... farai quello che ti dirò!”

Per il 15 aprile:

  • Ripresa di epica, Odissea. Leggere e riassumere la profezia riportata nella traduzione di Pindemonte. 
L’XI dell’Odissea, la cosiddetta nékya («evocazione dei morti»), costituisce il documento più autorevole sulle primitive concezioni dell’Oltretomba, e allo stesso tempo il principale modello per tutte le successive elaborazioni letterarie che hanno per tema la catàbasi, la discesa agli Inferi . Vi si ispira Virgilio nel VI libro dell’Eneide, poema che propone, strutturalmente, nei primi sei libri la ripresa dell'Odissea, nei successivi sei quella dell'Iliade.   La discesa nel regno dei morti di Ulisse avviene dopo che l’eroe ha abbandonato l’isola Eèa, dove la maga Circe lo aveva tenuto prigioniero per un anno insieme ai suoi compagni trasformati in porci; spintosi con una sola nave fino ai confini dell’Oceano, egli giunge nel paese dei Cimmeri, avvolto nella nebbia, dove discende nel regno dei morti per incontrare l’indovino Tiresia e interrogarlo sul proprio destino. Oltre al vate Tiresia, Ulisse incontra nell’Ade il compagno insepolto Elpenore, la madre Anticlea, i propri compagni d’armi durante la guerra di Troia, Agamennone, Achille e Patroclo, Antiloco e Aiace, e infine i grandi dannati, Minosse, Orione, Tizio, Tantalo, Sisifo ed Eracle. Quella compiuta da Ulisse non è però una vera e propria visita del regno dei morti: manca nel testo omerico una precisa topografia dell’Ade, che caratterizza invece il racconto di Virgilio; l’eroe greco si limita ad arrestarsi sulla soglia, dove le ombre dei morti gli appaiono davanti una dopo l’altra, attratte dal sangue sacrificale. Le anime presentano caratteristiche diverse: alcune appaiono come fantasmi, corpi aerei, reali ma dotati di scarsa attività vitale; inutilmente infatti Ulisse cerca di abbracciare la madre Anticlea: «E mi slanciai tre volte, il cuore mi obbligava a abbracciarla: / tre volte dalle mie mani, all’ombra simile o al sogno, / volò via» (XI, 206-207). Le anime possono tuttavia rinvigorirsi bevendo il sangue sacrificale, come risulta dalle parole di Tiresia: «Ma levati dalla fossa, ritira la spada affilata, / che beva il sangue e poi il vero ti dica» (XI, 95-96). Le anime dei grandi dannati possiedono invece un grande vigore fisico, a cui è legato il loro eterno tormento: Sisifo spinge un enorme macigno; Tizio è tormentato da due avvoltoi che «annidati ai suoi fianchi, rodevano il fegato, / penetrando nei visceri» (XI, 578-579); Tantalo, circondato da acqua e frutti, soffre pene atroci nell’impossibilità di toccarli. I due brani che seguono si riferiscono all’incontro con Tiresia e alla sua profezia, che costituisce lo scopo del viaggio e della catàbasi di Ulisse, e a quello con Achille. 
La profezia di Tiresia, trad. Ippolito Pindemonte, vv. 121 - 185

 Levossi al fine
Con l’aureo scettro nella man famosa
L’alma Tebana di Tiresia, e ratto
Mi riconobbe, e disse: Uomo infelice,
Perchè, del Sole abbandonati i raggi,125
Le dimore inamabili de’ morti
Scendesti a visitar? Da questa fossa
Ti scosta, e torci in altra parte il brando,
Sì ch’io beva del sangue, e il ver ti narri.
     Il piè ritrassi, e invaginai l’acuto130
D’argentee borchie tempestato brando.
Ma ei, poichè bevuto ebbe, in tal guisa
Movea le labbra: Rinomato Ulisse,
Tu alla dolcezza del ritorno aneli,
E un Nume invidïoso il ti contende.135
Come celarti da Nettun, che grave
Contra te concepì sdegno nel petto
Pel figlio, a cui spegnesti in fronte l’occhio?
Pur, sebbene a gran pena, Itaca avrai,
Sol che te stesso, e i tuoi compagni affreni,140
Quando, tutti del mar vinti i perigli,
Approderai col ben formato legno
Alla verde Trinacria isola, in cui

[p. 301 modifica]

Pascon del Sol, che tutto vede, ed ode,
I nitidi montoni, e i buoi lucenti.145
Se pasceranno illesi, e a voi non caglia,
Che della patria, il rivederla dato,
Benchè a stento, vi fia. Ma dove osiate
Lana, o corno toccargli, eccidio a’ tuoi,
E alla nave io predico, ed a te stesso.150
E ancor che morte tu schivassi, tardo
Fora, ed infausto, e senza un sol compagno,
E su nave straniera, il tuo ritorno.
Mali oltra ciò t’aspetteranno a casa:
Protervo stuol di giovani orgogliosi,155
Che ti spolpa, ti mangia; e alla divina
Moglie con doni aspira. È ver, che a lungo
Non rimarrai senza vendetta. Uccisi
Dunque o per frode, o alla più chiara luce,
Nel tuo palagio i temerarj amanti,160
Prendi un ben fatto remo, e in via ti metti:
Nè rattenere il piè, che ad una nuova
Gente non sii, che non conosce il mare,
Nè cosperse di sal vivande gusta,
Nè delle navi dalle rosse guance,165
O de’ politi remi, ali di nave,
Notizia vanta. Un manifesto segno
D’esser nella contrada io ti prometto.

[p. 302 modifica]

Quel dì, che un altro pellegrino, a cui
T’abbatterai per via, te quell’arnese,170
Con che al vento su l’aja il gran si sparge,
Portar dirà su la gagliarda spalla,
Tu repente nel suol conficca il remo.
Poi, vittime perfette a Re Nettuno
Svenate, un toro, un arïete, e un verro,175
Riedi; e del cielo agli abitanti tutti
Con l’ordine dovuto offri ecatombe
Nella tua reggia, ove a te fuor del mare,
E a poco a poco da muta vecchiezza
Mollemente consunto, una cortese180
Sopravverrà morte tranquilla, mentre
Felici intorno i popoli vivranno.
L’oracol mio, che non t’inganna, è questo.
     Tiresia, io rispondea, così prescritto,
Chi dubbiar ne potrebbe? hanno i Celesti.

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