MARCO POLO - TESTI - LEZIONE 14 FEBBRAIO/lavoro di gruppo 18 febbraio

LAVORO DI GRUPPO (COPPIE) DEL 18 FEBBRAIO

Marco Polo, mercante e viaggiatore

Obblighi: inserire almeno tre citazioni dai passi, riassumerle e commentarle; sviluppare sia la dimensione "mercante" sia quella "viaggiatore" ; inserire la vita di Marco Polo (con dati e date) ma non di seguito; dare un titolo alla propria rielaborazione; usare solo appunti e questo post. 

Consiglio di lettura

Maria Bellonci, Marco Polo 

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Scelta di capitoli del Milione (fonti varie)

xxxi (xli-xliii)

Del veglio della montagna, e come fece il paradiso, e gli assessini.

Milice (Mulchet) è una contrada dove il veglio della montagna soleva dimorare anticamente. Or vi conteremo l’affare, secondo  che messer Marco intese da piú uomini. Lo veglio è chiamato in lor lingua Aloodyn (Aloadin). Egli avea fatto fare fra due montagne in una valle lo piú bello giardino e ’l piú grande del mondo; quivi avea tutti frutti e li piú belli palagi del mondo, tutti dipinti ad oro e a bestie e a uccelli. Quivi era condotti: per tale veniva acqua, e per tale mèle e per tale vino. Quivi era donzelli e donzelle, gli piú belli del mondo e che meglio sapevano cantare e sonare e ballare; e faceva Io veglio credere a costoro che quello era lo paradiso. E per ciò il fece, perchè Malcometto disse che chi andasse in paradiso avrebbe di belle femmine tante quante volesse, e quivi troverebbe fiumi di latte e di miele e di vino; e perciò lo fece simile a quello che avea detto Malcometto. E gli saracini di quella contrada credevano veramente che quello fosse lo paradiso; e in questo giardino non entrava se non colui cui egli voleva fare assassino. All’entrata del giardino avea un castello sí forte, che non temeva niuno uomo del mondo. Lo veglio teneva in sua corte tutti giovani di dodici anni, li quali li paressono da diventare prodi uomini. Quando lo veglio ne faceva mettere nel giardino, a quattro, a dieci, a venti li faceva loro dare bere oppio, e quegli dormivano bene tre dí; e facevagli portare nel giardino, e al tempo gli faceva isvegliare. Quando gli giovani si svegliavano, egli si trovavano lá entro e vedevano tutte queste cose, veramente si credevano essere in paradiso. 

E queste donzelle sempre istavano con loro in canti e in grandi sollazzi; donde egli aveano sì quello che volevano, che mai per lo volere si sarebbono partiti di quello giardino. Il veglio tiene bella corte e ricca, e fa credere a quegli di quella montagna che cosí sia com’io v’ho detto. E quando egli ne vuole mandare niuno di quelli giovani in niuno luogo, li fa loro dare beveraggio che dormono, e fargli recare fuori del giardino in sul suo palagio. Quando coloro si svegliono, trovansi quivi, molto si maravigliano, e sono molto tristi che si trovano fuori del paradiso. Egli se ne vanno incontanente dinanzi al veglio, credendo che sia un gran profeta, e inginochiansi. Egli gli domanda: — Onde venite? — Rispondono: — Del paradiso, — e contangli quello che v’hanno veduto entro, e hanno gran voglia di tornarvi. E quando il veglio vuole fare uccidere alcuna persona, egli fa tôrre quello lo quale sia piú vigoroso e fagli uccidere cui egli vuole; e coloro lo fanno volentieri, per ritornare nel paradiso. Se scampano, ritornano al loro signore; se è preso, vuole morire, credendo ritornare al paradiso. E quando lo veglio vuole fare uccidere niuno uomo, egli lo prende e dice: — Va’, fa’ tal cosa; e questo ti fo perchè ti voglio fare ritornare al paradiso. — E gli assassini vanno e fannolo molto volentieri. E in questa maniera non campa niuno uomo dinanzi al veglio della montagna, a cui egli lo vuole fare; e si vi dico che piú re li fanno tributo per quella paura. Egli è vero che negli anni 1277, Alau, signore dei tarteri del levante, che sapeva tutte queste malvagitá, egli pensò tra se medesimo di volerlo distruggere e mandò de’ suoi baroni a questo giardino. E istettonvi tre anni attorno al castello prima che l’avessono; nè mai non lo avrebbono avuto, se non per fame. Allotta per fame fu preso, e fu morto lo veglio e sua gente tutta; e d’allora in qua non vi fu piú veglio niuno: 
in lui fu finita tutta la signoria. Or lasciamo qui e andiamo piú innanzi.

81
De la fattezza del Grande Kane.
Lo Grande Signore de' signori, che Cob(l)ai Kane è chiamato, è di bella grandezza, né piccolo né grande, ma è di mezzana fatta. Egli è ca(r)nuto di bella maniera; egli è troppo bene tagliato di tutte le membre; egli à lo suo viso bianco e vermiglio come rosa, gli occhi neri e begli, lo naso bene fatto e ben li siede.
Egli àe tuttavia 4 femine, le quali tiene per sue dirette moglie. E 'l magiore figliuolo ch'egli àe di queste 4 moglie dé essere per ragione signore de lo 'mperio dopo la morte di suo padre.
Elle sono chiamate imperadrici, e ciascuna è chiama[t]a per su' nome, e ciascuna di queste donne tiene corte per sé, e non vi n'à niuna che non abbia 300 donzelle, e ànno molti valetti e scudieri e molti altri uomini e femine, sicché ciascuna di queste donne à bene in sua corte 10.000 persone. E quando vuole giacere con niuna di queste donne, egli la fa venire in sua camera e talvolta vae alla sua.
Egli tiene ancora molte amiche; e diròvi come: (e)gli è vero ch'egli è una generazione di Tartari, che sono chiamati Ungrac, che sono molto bella gente e avenante, e di queste sono scelte 100 le piú belle donzelle che vi sono, e sono menate al Grande Kane. Egli le fa guardare a donne nel palagio e falle giacere apresso lui in uno letto per sapere se ell'àe buono fiato, e per sapere s'ella è pulcella e ben sa(na) d'ogni cosa. E quelle che sono buone e belle di tutte cose so' messe a servire lo signore in tal maniera com'io vi dirò. Egli è vero che ogne 3 die e 3 notti, 6 di queste donzelle servono lo signore in camera e a letto e a ciò che bisogna, e 'l signore fa di loro quello ch'egli vuole. E di capo di 3 dí e di 3 notti vegnono l'altre 6 donzelle, e cosí va tutto l'anno di 6 in 6 donzelle.
82
De' figliuoli del Grande Kane.
Ancora sappiate che 'l Grande Kane à di sue 4 moglie 22 figliuoli maschi; lo maggiore avea nome Cinghi Kane, e questi dovea essere Grande Kane e segnore di tutto lo 'mperio. Or avenne ch'egli morío, e rimase uno figliulo ch'a nome Temur, e questo Temur dé essere (Grande) Kane e signore, (e) è ragione, perché fu figliuo(lo) del magiore figliuolo. E sí vi dico che questi è savio uomo e prode, e bene à provato in piú battaglie.
Sappiate che 'l Grande Kane à 25 figliuoli di sue amiche, e ciascuno è grande barone. E ancora dico che degli 22 figliuoli ch'egli à de le 4 mogli, gli 7 ne sono re di grandissimi reami, e tutti mantegno bene loro regni, come savi e prodi uomini. E ben è ragione, ché risomiglino dal padre: di prodezza e di senno è 'l migliore rettore di gente e d'osti di niuno signore che mai-fosse tra' Tartari.
Or v'ò divisato del Grande Kane e di sue femini (e) di suoi figliuoli; or vi diviserò com'egli tiene sua corte e sua maniera.
83
Del palagio del Grande Kane.
Sappiate veramente che 'l Grande Kane dimora ne la mastra città - e è chiamata Canbalu -, 3 mesi dell'anno, cioè dicembre, gennaio e febraio; e in questa città à suo grande palagio, e io vi diviserò com'egli è fatto.
Lo palagio è d'un muro quadro, per ogne verso uno miglio, e su ciascheuno canto di questo palagio è uno molto bel palagio; e quivi si tiene tutti gli arnesi del Grande Kane, cioè archi, turcassi, selle, freni, corde, tende e tutto ciò che bisogna ad oste e a guerra. E ancora tra questi palagi à 4 palagi in questo circuito, sicché in questo muro atorno atorno sono 8 palagi, e tutti sono pieni d'arnesi, e in ciascuno non à se non d'una cosa.
E in questo muro verso la faccia di mezzodie, à 5 porte, e nel mezzo è una grandissima porta che non s'apre mai né chiude, se non qua(n)do 'l Grande Kane vi passa, cioè entra e esce. E dal lato a questa porta ne sono due piccole, da ogne lato una, onde entra tutta l'altra gente; dall'altro canto n'àe un'altra grande, per la quale entra comunemente ogni uomo.
E dentro a questo muro è un altro muro, e atorno àe 8 palagi come nel primaio, e cosí sono fatti; ancora vi stae gli arnesi del Grande Kane. Nella faccia verso mezzodie àe 5 porte, nell'altre pure una.
E in mezzo di questo muro è 'l palagio del Grande Kane, ch'è fatto com'io vi conterò. Egli è il magiore che giamai fu veduto: egli non v'à palco, ma lo spazzo è alto piú che l'altra terra bene 10 palmi; la copertura è molto altissim[a]. Le mura delle sale e de le camere sono tutte coperte d'oro e d'ariento, ov'è scolpito belle istorie di cavalieri e di donne e d'uccegli e di bestie e d'altre belle cose; e la copertura è altresí fatta che non si potrebbe vedere altro che oro e ariento. La sala è sí lunga e sí larga che bene vi mangia 6.000 persone, e v'à tante camere ch'è una maraviglia a credere. La copertura di sopra, cioè di fuori, è vermiglia, bioia, verde e di tutti altri colori, e è sí bene invernicata che luce come cristallo, sicché molto da la lunga si vede lucire lo palagio; la covertura è molto ferma.
Tra l'uno muro e l'altro dentro a questo ch'io v'ò contato di sopra, àe begli prati e àlbori, e àvi molte maniere di bestie salvatiche, cioè cervi bianchi, cavriuoli, dani, le bestie che fanno lo moscado, vai e ermellini, e altre belle bestie. La terra dentro di questo giardino è tutto pieno dentro di queste bestie, salvo la via onde gli uomini entrano.
E da la parte ve(r)so 'l maestro àe uno lago molto grande, ov'à molte generazione di pesci. E sí vi dico che un grande fiume v'entra e esce, e è sí ordinato che niuno pesce ne puote uscire; e àvi fatto mettere molte generazione di pesci in questo lago, e questo è co reti di ferro. E anco vi dico che verso tramontana, di lungi dal palagio da una arcata, àe fatto fare uno monte ch'è bene alto 100 passi e gira bene uno miglio; lo quale monte è pieno tutto d'àlbori che per niuno tempo non perdono foglie, ma sempre sono verdi. E sappiate, quando è detto al Grande Kane d'uno bello àlbore, egli lo fa pigliare con tutte le barbe e co molta terra e fallo piantare in quello monte; e sia grande quanto vuole, ch'egli lo fa portare à lieofanti. E sí vi dico ch'egli à fatto coprire totto 'l monte della terra dell'azurro, che è tutta verde, sicché nel monte non à cosa se non verde, perciò si chiama lo Monte Verde.
E sul colmo del monte à uno palagio tutto verde, e è molto grande, sicché a guardallo è una grande meraviglia, e non è uomo che 'l guardi che non ne prenda alegrezza. E per avere quella bella vista l'à fatto fare lo Grande Signore per suo conforto e sollazzo.
84
Ancora d'uno palagio del nipote.
Ancora vi dico ch'apresso a questo palagio n'à un altro né piú né meno fatto, ove istàe lo nipote del Grande Kane che dé regnare dopo lui; e questo è Temur, figliuolo di Cinghi, ch'era lo magiore figliuolo del Grande Kane. E questo Temur che dé regnare, tiene tutta quella maniera che fae lo suo avolo, e àe già bolla d'oro e sugello d'imperio, ma non fa l'uficio infino che l'avolo è vivo.
Dacché v'ò contato de' palagi, sí vi conterò de la grande città de Canblau, ove sono questi palagi e perché fu fatta, e come egli è vero che apresso a questa città n'avea un'altra grande e bella, e avea nome Garibalu, che vale a dire in nostra lingua 'la città del signore'. E 'l Grande Kane, trovando per astorlomia che questa città si dovea ribellare [e] dare grande briga a lo 'mperio, e però lo Grande Kane fece fare questa città presso a quella, che non v'è in mezzo se non uno fiume. E fece cavare la gente di quella città e mettere in quest'altra, la quale è chiamata Canblau.
Questa città è grande in giro da 24 miglie, cioè 6 miglia per ogni canto, e è tutta quadra, che non à piú dall'uno lato che da l'altro. Questa città è murata di terra e sono grosse le mura 10 passi e alte 20, ma non sono cosí grosse di sopra come di sotto, perché vegnono sí asottigliando che di sopra sono grosse da 3 passi; e sono tutte merlate e bianche. E quivi àe 10 porti, e 'n su ciascuna porta àe uno grande palagio, sicché su ciascuna quadra àe 3 porti e 5 palagi. Ancora su ciascuna quadra di questo muro àe uno grande palagio, ove stanno gli uomini che guardano la terra.
E sappiate che l(e) rughe della terra sono sí ritte che l'una porta vede l'altra; di tutte quante encontra cosí. Nella terra àe molt[i] palagi; e nel mezzo n'àe uno ov'è suso una campana molto grande che suona la sera 3 volte, che niuno non puote andare poscia per la terra sanza grande bisogna, de femmina che partorisse o per alcuno malato. Sappiate ch'a ciascheuna porta guarda 1.000 uomini; e non che crediate che vi si guardi per paura d'altra gente, ma fassi per reverenzia del signore che là entro dimora, e perché li ladroni non facciano male per la città.
Or v'ò conta[to] de la città; or vi dico com'egli tiene corte e de' suoi grandi fatti, cioè del Grande Signore.
85
Delle guardie.
Or sappiate che 'l Grande Kane si fa guardare per sua grandezza a 12.000 uomini a cavallo e chiamansi Quesitan, ciò è a dire 'cavalieri fedeli del signore'; e questo non fae per pagura. E tra questi 12.000 cavalieri sono 4 capitani, sicché ciascuno n'àe 3.000 sotto di sé, degli quali sempre ne stae nel palagio l'una capitaneria, che sono 3.000; e guardano 3 dí e 3 notti, e màngiarvi e dormonvi. Di capo degli tre die questi se ne vanno e gli altri vi vengono, e cosí fanno tutto l'anno.
E quando il Grande Kane vuole fare una grande corte, le tavole istanno in questo modo. La tavola del Grande Kane è alta piú dell'altre; egli siede verso tramontana e tiene lo volto verso mezzodie. La sua prima moglie siede lungo lui dal lato manco, e dal lato ritto, piú basso un poco, li figliuoli e gli nipoti e i suoi parenti che sono de lo 'mperiale legnaggio, sicché lo loro capo viene agli piedi del Grande Signore. E poscia sedono gli altri baroni piú a basso, e cosí va de le femmine, ché le figliuole del Grande Signore e (le nipote e) le sue parenti istanno piú basse da la sinistra parte; e ancora piú basso di loro tutte l'altre mogli degli altri baroni; e ciascheuno sae lo suo luogo ov'egli dee sedere per l'ordinamento del Grande Kane. Le tavole sono poste per cotale modo che 'l Grande Kane puote vedere ogni uomo, e questi sono grandissima quantitade. E di fuoro da questa sala mangiano piú di 40.000, perché vi viene molti uomini co molti presenti, che vegnono di strane contrade co strani presenti, e di ta' ve n'àe ch'ànno segnoria. E questa cotale gente viene in questo cotal die che 'l signore fae nozze e tiene corte.
E in mezzo di questa sala ove 'l Grande Signore tiene corte e tavola è uno grandissimo vaso d'oro fino, che tiene di vino come una (gran) botte, e da ogni lato di questo vaso ne sono due piccoli: di quella grande si cava vino, e de le due piccole beveraggi. [Àvi] vasegli vernicati d'oro che tiene (l'uno) tanto vino che n'avrebbe assai bene otto uomini, e ànne per le tavole tra 2 l'uno, e anche àe ciascuno una coppa d'oro co manico, con che beono.
E tutto questo fornimento è di grande valuta, e sappiate che 'l Grande Signore àe tanti vasellamenti d'oro e d'ariento che nol potrebbe credere chi nol vedesse. E sappiate che quegli che fanno la credenza al Grande Signore sono grandi baroni, e tengono fasciata la bocca e 'l naso con begli drappi di seta e d'oro, acciò che loro fiato non andasse nelle vivande del signore.
E quando 'l Grande Signore dé bere, tutti gli stormenti suonano, che ve n'à grande quantità; e questo fanno quando àe in mano la coppa: e alotta ogni uomo s'inginocchi(a), e i baroni e tutta gente, e fanno segno di grande umi(l)tade; e cosí si fa tuttavia ch'e' bee. Che vivande non vi dico, però che ogni uomo dé credere ch'egli n'àe en grande abondanza, né no v'à niuno baro(ne) né cavaliere che non vi meni sua moglie [a] che mangi coll'altre donne. Quando 'l Grande Signore à mangiato e le tavole sono levate, molti giucolari vi fanno grandi sollazzi di tragettare e d'altre cose; poscia se ne va ogni uomo a suo albergo.
100
Del vino.
Ancora sappiate che la magiore parte del Catai beono uno cotale vino com'io vi conterò. Egli fanno una pogione di riso e co molte altre buone spezie, e cóncialla in tale maniera ch'egli è meglio da bere che nullo altro vino. Egli è chiaro e bello, e inebria piú tosto ch'altro vino, perciò ch'è molto caldo.
Or lasciamo di questo, e conteròvi de le priete ch'ardono come bucce.
101
De le pietre ch'ardono.
Egli è vero che per tutta la provincia del Catai àe una maniera di pietre nere, che si cavano de le montagne come vena, che ardono come bucce, e tegnono piú lo fuoco che no fanno le legna. E mettendole la sera nel fuoco, se elle s'aprendono bene, tutta notte mantengono lo fuoco. E per tutta la contrada del Catai no ardono altro; bene ànno legne, ma queste pietre costan meno, e sono grande risparmio di legna.
Or vi dirò come il Grande Sire fa, acciò che le biade non siano troppe care.
102
Come 'l Grande Kane fa ri[porre] la biada (per) soccorere sua gente.
Sappiate che 'l Grande Kane, quando è grande abondanza di biada, egli ne fa fare molte canove d'ogne biade, come di grano, miglio, panico, orzo e riso, e falle sí governare che non si guastano; poscia, quando è il grande caro, sí 'l fa trarre fuori. E tiello talvolta 3 o 4 anni, e fa 'l dare per lo terzo o per lo quarto di quello che si vende comunemente. E in questa maniera non vi può essere grande caro; e questo fa fare per ogni terra ov'egli àe signoria.
Or lasciamo di questa matera; e diròvi della carità che fa 'l Grande Kane.
103
De la carità del Signore.
Or vi conterò come 'l Grande Signore fa carità a li poveri che stanno in Canbalu. A tutte le famiglie povere de la città, che sono in famiglia 6 o 8, o piú o meno, che no ànno che mangiare, egli li fa dare grano e altra biada; e questo fa fare a grandissima quantità di famiglie. Ancor non è vietato lo pane del Signore a niuno che voglia andare per esso; e sappiate che ve ne va ogne die piú di 30.000; e questo fa fare tutto l'anno. E questo è grande bontà di signori, e per questo è adorato come per idio dal popolo.
Or lasciamo de la città di Canbalu, e enterremo nel Catai per contare di grandi cose che vi sono.

 170

Quando l’uomo si parte de l’isola di Silla e va ver’ ponente da 60 miglia, truova la grande provincia di Maabar, ch’è chiamata l’India magiore. E questa è la miglior India che sia, ed è de la terra ferma. E sapiate che questa provincia à cinque re che sono fratelli carnali, ed io dirò d’alcun per sé. E sapiate che questa è la piú nobile provincia del mondo e la piú ricca. Sapiate che da questo capo de la provincia regna un di questi re, ch’à nome Senderban re de Var. In questo regno si truova le perle buone e grosse, ed io vi dirò com’elle si pigliano le perle.

Sapiate ch’egli àe in questo mare un golfo ch’è tra l’isole e la terra ferma, e non v’à d’acqua piú di 10 passi o 12, e in tal luogo non piú di due; e in questo golfo si pigliano le perle, e diròvi come. Gli uomini pigliano le navi grandi e piccole e vanno in questo golfo, del mese d’aprile insino in mezzo maggio, in un luogo che si chiama Baccalar. È vanno nel mare 60 miglia, e quini gittano loro ancore, ed entrano in barche piccole e pescano com’io vi diròe. E sono molti mercatanti, e fanno compagnia insieme, e aluogano molt[i] uomini per questi 2 mesi, tanto come la pescheria dura. È mercatanti donano al re de le 10 parti l’una di ciò che pigliano; e ancora ne donano a colui che incanta i pesci, che non facciano male agli uomini che vanno sott’acqua per (trovare) le perle: a costui donano de le 20 parti l’una. E questi sono abrinamani incantatori. E questo incantesimo non vale se no ’l die, sí che di notte neuno non pesca; e costoro (ancora) incantano ogne bestia e ucello. Quando questi uomini alogati vanno sott’acqua, 2 passi o 4 o 6 insino a 12, e’ vi stanno tanto quanto possono, e pigliano cotali pesci che noi chiamiamo areghe: in queste areghe si pigliano le perle grosse e minute d’ogne fatta.

E sapiate che le perle che si truovano in questo mare si spandono per tutto il mondo, e questo re n’à grande tesoro. Or v’ò detto come si truovano le perle; e da mezzo maggio inanzi no vi si ne truova piúe. Ben è vero che, di lungi di qui 300 miglia, si ne truova di settembre insino ad ottobre.

E sí vi dico che tutta questa provincia di Maabar non li fa bisogno sarto, però che vanno tutti ignudi d’ogne tempo, però ch’egli ànno d’ogne tempo temperato, cioè né freddo né caldo; però vanno ignudi, salvo che cuoprono lor natura con un poco di panno. E cosí vae il re come gli altri, salvo che porta altre cose, com’io vi dirò.

È porta a la natura piú bel panno che gli altri, e a collo un collaretto tutto pieno di pietre preziose, sí che quella gorgiera vale bene 2 grandissimi tesori. Ancor li pende da collo una corda di seta sottile che li va giú dinanzi un passo, e in questa corda àe da 104 tra perle grosse e rubini, lo quale cordone è di grande valuta. E diròvi perch’elli porta questo cordone, perché conviene ch’egli dica ogne die 104 orazioni a’ suoi idoli; e cosí vuole lor legge, e cosí fecero gli altri re antichi, e cosí fanno questi. Ancora porta a le braccia bracciali tutti pieni di queste pietre carissime e di perle, e ancora tra le gambe in tre luoghi porta di questi bracciali cosí forniti. Anche vi dico che questo re porta tante pietre adosso che vagliono una buona città: e questo non è maraviglia, se n’à cotante com’io v’ò contato.

E sí vi dico che neuno può trare neuna pietra né perla fuori di suo reame, che pesi da un mezzo saggio in su; e ’l re ancora fa bandire per tutto suo reame che chi à grosse pietre e buone o perle grosse, che le porti a lui, ed elli ne farà dare due cotanti che no li costano. E quest’è usanza del regno, di donare lo doppio; e’ mercatanti e ogn’uomo, quando n’ànno, volentieri le portano al segnore, perché sono ben pagati.

Or sappiate che questo re à bene 500 femine, cioè moglie, ché, come vede una bella femina o donzella, incontanente la vòle per sé, e sí ne fa quello ch’io vi dirò. Incontanente che elli vide una bella moglie al fratello, sí lile tolse e tennela per sua, e ’l fratello, perch’era savio, lo soferse e no volle briga co lui.

Ancora sappiate che questo re àe molti figliuoli che sono grandi baroni, che li vanno atorno sempre quando cavalca. E quando lo re è morto, lo corpo suo s’arde, e tutti questi suoi figliuoli s’ardono, salvo il maggiore che dé retare; e questo fanno per servirlo ne l’altro mondo.

Ancora v’è una cotale usanza, che del tesoro che lascia il re al figliuolo, mai non ne tocca, ché dice ch[e] no vòle mancare quello che li lasciò il suo padre, anzi il vòle acrescere; e catuno sí l’acresce, e l’uno il lascia a l’attro, e perciò è questo re cosí ricco.

Ancora vi dico che in questo reame no vi nasce cavalli, e perciò tutta la rendita loro o la maggiore parte, ogn’anno si cunsuma in cavalli. E diròvi come: i mercatanti di Quisai e de Dufar e d’Eser e de Adan - queste province ànno molti cavalli - e questi mercatanti empiono le navi di questi cavalli, e pòrtali a questi 5 re che sono fratelli, e vendeno l’uno bene 500 saggi d’oro, che vagliono bene piú di 100 marchi d’ariento. E questo re n’accatta bene ogn’anno 2.000 o piú, e li fratelli altretanti: di capo de l’anno tutti sono morti, perché non v’à marescalco veruno, perch’elli no li sanno governare. E questi mercatanti no vi ne menano veruno, perciò che vogliono che tutti questi cavalli muoiano, per guadagnare.

Ancora v’à cotale usanza: quando alcuno omo à fatto malificio veruno che debbia perdere persona, e quello cotale uomo dice che si vòle uccidere elli istesso per amor e per onore di cotale idolo, e ’l re li dice che bene li piace. Alotta li parenti e li amici di questo cotale malefattore lo pígliaro e pongolo in su una caretta, e dannoli bene 12 coltella e portal[o] per tutta la terra, e vanno dicendo: «.Questo cotale prod’uomo si va ad uccidere elli medesimo per amore di cotale idolo». E quando sono al luogo ove si dé fare la giustizia, colui che dé morire piglia uno coltello e grida ad alta boce: «Io muoio per amore di cotale idolo». Com’à detto questo, elli si fiede del coltello per mezzo il braccio, e piglia un altro e dassi ne l’altro (braccio), e poscia de l’altro per lo corpo; e tanto si dà ch’elli s’ucide. Quand’è morto, li parenti l’ardono con grande alegrezza.

Ancora v’à un altro costume, che quando neiuno uomo morto s’arde, la moglie si gitta nel fuoco e arde co lui; e queste femine che fanno questo sono molto lodate da le genti, e molte donne il fanno.

Questa gente adorano l’idole, e la magiore parte il bue, ché dicono ch’è buona cosa; e veruno v’à che mangiasse di carne di bue, né nullo l’ucciderebbe per nulla. Ma e’ v’à una generazione d’uomini, ch’ànno nome gavi, che mangiano i buoi, ma non li usarebbero uccidere; ma se alcuno ne muore di sua morte, sí ’l mangiano bene. E sí vi dico ch’elli ungono tutta la casa del grasso del bue.

Ancora ci à un altro costume, che li re e baronia e tutta altra gente non siede mai se no in terra; e dicono che questo fanno perché sono di terra e a la terra debbono tornare, sí che non la possono troppo inorare.

E questi gavi che mangiano la carne del buoi, sono quelli i cui antichi ucisero santo Tommaso apostolo anticamente; e veruno di questa generazione no potrebbe intrare colà ov’è il corpo di santo Tomaso. Ancora vi dico che 20 uomini no vi ne potrebbero mettere uno, di questa cotale generazione de’ gavi, per la virtú del santo corpo. Qui non à da mangiare altro che riso. Ancora vi dico che se un grande destriere amontass[e] una cavalla, non ne nascerebbe se no uno piccolo ronzino co le gambe torte, che no vale nulla e non si può cavalcare. E questi uomini vanno in bataglie co scudi e co lance, e vanno ignudi, e non sono prod’uomini, anzi sono vili e cattivi. Eglino non uciderebbero alcuna bestia, ma quando vogliono mangiare alcuna carne, sí la fanno ucidere a’ saracini ed ad altra gente che no siano di loro legge. Ancora ànno un’altra usanza, che maschi e femine ogne dí si lavano due volte tutto il corpo, la mattina e la sera; né mai no mangerebbero se questo non avessero fatto, né no berebbero; e chi questo no facesse, è tenuto come sono tra noi i paterini.

Ed in questa provincia sí si fa molto grande giustizia di quelli che fanno mecidio o che imbolino, e d’ogne maleficio. E chi è bevitore di vino non è ricevuto a testimonianza per l’ebrietà; ed ancora chi va per mare dicono ch’è disperato. E sapiate ch’elli no tengono a pecato nulla lussuria.

E v’à sí grande caldo ch’è maraviglia. È vanno ignudi; e no vi piuove se no tre mesi dell’anno, giugno e luglio e agosto; e se no fosse questa acqua che renfresca l’aire, e’ vi sarebbe tanto caldo che veruno vi potrebbe campare.

Quivi àe molti savi uomini di fi[sonomia], cioè di conoscere li costumi de li uomini a la vista. Elli guatano ad agure piú che uomini del mondo e piú ne sanno, ché molte volte tornano adietro di loro viaggio per uno istarnuto [o] per la vista d’uno uccello. A tutti loro fanciulli, quando nascono, sí scrivono lo punto e la pianeta che regna allotta, perciò che v’à molti astrolagi e indivini.

E sappiate che per tutta l’India li uccelli loro sono divisati da’ nostri, salvo la quaglia; li pipistrelli vi sono grandi come astori, e tutti neri come carbone. Elli danno a li cavalli carne cotta co riso e molte altre cose c[otte].

Qui àe molti monasteri d’ idole, ed àvi molte donzelle e fanciulli oferti da li ro padri e madri per alcuna cagione. E ’l segnore del monistero, quando vòle fare alcuno solazzo a li idoli, sí richieggiono questi oferti; ed elli sono tenuti d’andarvi e quivi ballano e trescano e fanno grande festa. Queste sono molte donzelle; e piú volte queste donzelle portano da mangiare a questi idoli, ove sono oferte; e pongono la tavola dina(n)zi a l’idolo e pongovi suso vivande, e lasciavile istare suso una grande pezza, e tuttavia le donzelle cantando e ballando per la casa. Quando ànno fatto questo, dicono che lo spirito de l’idolo à mangiato tutto il sottile de la vivanda, e ripongolo e vànnosine. E questo fanno le pulcelle tanto che si maritano.

Or ci partimo di questo regno, e diròvi d’un altro ch’à nome Multifili.

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Mostra al Museo Correr di Venezia del 2005  

In occasione dell’uscita di una nuova edizione del celeberrimo Milione di Marco Polo edito da Nuages, con prefazione di Giandomenico Romanelli, il Museo Correr di Venezia espone fino al 2 aprile, le ventuno tavole originali di Emanuele Luzzati che accompagnano il testo scritto nella versione toscana trecentesca.

Immagine articolo Fucine Mute

Vivaci colori a pastello che lasciano la loro traccia morbida e ludica sulla carta, gli inserti a collage di caleidoscopiche fantasie, creano i personaggi, le barche, i cammelli, le città e le atmosfere di un viaggio-sogno da fiaba; le illustrazioni, condotte con uno spirito positivamente “infantile” ma calibrato, ci accompagnano nel percorso espositivo o nella lettura del testo, catapultandoci in un oriente di marionette bidimensionali che vivono questo viaggio come fosse la messa in scena di un teatrino spensierato.
Le forme non sono pretenziose, lasciano vedere i segni veloci dei pastelli che riassumono bene ciò che serve in pochi tratti, mentre gli inserti di carte a collage dagli strappi evidenti, formano toppe damascate in incredibili ma perfette combinazioni di linee, cerchi, fiori, spirali, a creare mantelli, turbanti, grandi tappeti ed elementi architettonici.
Partirsi da Vinegia tutti e tre… apre la mostra e il volume con i Polo che a bordo di una piccola barca rossa attraversano lo sfondo di una Venezia coloratissima e scenografica; il banchetto dato dal Gran Kahn è una quinta teatrale in miniatura che fuoriesce dalla superficie, in cui gli astanti divengono sagome sorridenti di carta.
E v’à si gran caldo ch’è meraviglia esprime tutto l’esotismo di un clima tropicale con una tavola sfarzosa di colori caldi, con giovani bellezze confuse tra fiori lussureggianti e scimmie e grandi pappagalli a collage. [...] La Geographia Universalis di Claudius Ptolenaeus, 1540, è in linea con il preconcetto (letterario) occidentale di un Oriente strabiliante, di un esotismo del tutto immaginario, popolato da esseri impossibili per noi, ma veritieri tra quelle lande di seducente barbarie o meglio, di meraviglioso rigòglio: gli uomini dalle teste di cane della Isole Andamane, cannibali, ciclopedi e ciclopi.

Immagine articolo Fucine Mute

Luzzati stesso dice di Polo: “…ho sempre ammirato in lui l’aver fatto cose incredibili uscendone sempre indenne, Marco Polo è una figura felice, persino in prigione poteva dettare a Rustichello le sue avventure, e sempre con leggerezza…anche le cose più terrificanti sono state vissute come una favola, le sue avventure sono senza drammi, senza mai paura. Un’altra cosa che mi ha sempre affascinato è come potesse comunicare in tutte quelle lingue… che straordinario viaggiatore è stato…”
Il viaggio di Marco Polo ben presto perde ai nostri occhi l’originario intento mercantile da buon veneziano, per divenire il Viaggio per antonomasia, partecipe dell’idea romantica di avventura, di lungo percorso, di ignoto e di incredibili e continue sorprese.
Quasi Marco Polo fosse il commerciante “buono” disposto ad accantonare la mercatura per la necessità tutta intellettuale e spirituale di conoscere il mondo al di fuori del proprio cortile.

E così è stato nella storia, divenendo, caso più unico che raro, l’ambasciatore, il consigliere, probabilmente l’amico di un re lontano ma forse schietto e curioso come lui.
Coronamento a modo di romanzo di questa grande esperienza umana, è il ritorno nella Venezia delle Repubbliche Marinare in lotta, che sempre ci evocano odori di mare dalla carta dei libri di scuola, con la cattura e la prigionia da parte dei genovesi.
Nella buia prigione di Genova, Marco Polo mette a frutto non solo le sue conoscenze “d’oltre mare” ma anche il suo carattere ormai forte di viaggiatore impavido e trova e energia e desiderio di fare parole scritte del suo Oriente.
Appare allora Rustichello da Pisa come un fedele trascrittore ossianico dei racconti di Polo che immagino in qualche modo allietare e rendere meno penosa la prigionia propria e dei compagni.
Ecco che l’Asia arriva a noi in un bel volgare toscano che ci accompagna tra mari che non sono il “nostrum”, deserti e montagne, fiumi e reami, battaglie e animali, uomini, uomini mostruosi, città fantastiche e ricchezze.

Il bello che a proteggere questo “best seller” sta in buona parte la Storia, la biografia, le geografia, che rendono quel percorso infinito così realistico da sentirne i chilometri sulle gambe, i pericoli sul cuore, gli anni impiegati per il solo ritorno sul viso.
Gli spazi e i tempi per percorrerli erano estesi in modo uguale, solidale quasi, affidandosi ai propri piedi o all’inalienabile amicizia con gli animali da trasporto, non come ora, che spazi e tempi non si riconoscono più come fratelli, spezzati nell’armonia dalla grande invenzione del veloce aereoplano, che ci fa giungere direttamente dov’era la corte del Gran Kahn nel tempo in cui noi leggiamo seduti a bordo metà del diario di Polo.
Come si vede oggi la luce di una stella collassata da anni, così si può misurare il tempo di quei ritorni antichi, nel divario tra la decisione del ritorno e l’arrivo reale posteriore di molto lustri.

Immagine articolo Fucine Mute

Marco Polo nasce a Venezia nel 1254, figlio di una ricca famiglia di mercanti; negl’anni intorno alla sua nascita il padre Niccolò e lo zio Matteo intraprendono un viaggio a scopo di allacciare rapporti commerciali in oriente, stabilendosi prima a Costantinopoli e poi in Crimea.
Già in questo viaggio i fratelli Polo si recano fino alla corte del grande Qubilai (1265), ottenendo privilegi e forse la nobiltà mongola da questo sovrano che conquistò e unifico la Cina.
Ritornati nel 1269 ripartono per la Cina con Marco diciassettenne nel 1271 arrivando alla corte di Qubilai Kahn nel 1275.
Marco dopo aver assolto alcune importanti mansioni di controllo del territori del reame, viene ufficialmente legato al re con il titolo di “messere” divenendo l’informatore e ambasciatore personale del sovrano presso tutti i popoli dell’impero, visitandolo in numerose lunghe ambascerie.
Il ritorno via mare iniziato nel 1292 si concluderà nel 1295, anno in cui durante una battaglia navale tra veneziani e genovesi Marco viene fatto prigioniero; nelle carceri genovesi troverà come compagno Rustichello da Pisa a cui detta il resoconto del suo viaggio, inizialmente chiamato Le Divisament du Monde in lingua franco-italiana.
Liberato nel 1299 al ritorno nella città lagunare Marco si sposa e ha tre figlie; si occuperà fino alla morte avvenuta nel 1324 di commercio e della diffusione del suo libro in lingua volgare ora chiamato il Milione dal nome di Emilione, antenato dei Polo.


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