VERIFICA DEL 17 MARZO

La verifica sarà suddivisa in DUE PARTI e darà luogo a DUE VALUTAZIONI SEPARATE.

Una prima parte, di letteratura, verterà sul teatro comico (greco/latino), Aristofane e Plauto, con particolare riguardo all'Anfitrione. I materiali per prepararsi sono i seguenti: gli  appunti presi sul teatro dall'inizio dell'anno (può servire, senza entrare in dettagli, anche quanto spiegato a proposito della tragedia e di Edipo re); il materiale su Aristofane, compresa la sintesi e il commento della commedia, nel post del 13 gennaio,  la presentazione di Plauto e l'esercizio di analisi dell'Anfitrione realizzato il 10 marzo in classe; quanto incollo sotto a proposito di fescennini. saturae e atellane.

FORME PRELETTERARIE TEATRALI  A ROMA: FESCENNINI, SATURAE E ATELLANE

Fescennino, satura e atellana rappresentano delle forme preletterarie teatrali. Col termine preletterario vengono identificate manifestazioni artistiche collettive, che non si possono quindi far risalire a singoli autori, alle quali nella cosiddetta età storica si sono ispirati autori identificabili, che hanno realizzato opere giunte fino a noi appunto sotto il loro nome. Plauto, per esempio, è il primo autore comico di età storica romana. Nelle sue commedie sono riconoscibili influenze derivanti da forme preletterarie teatrali come appunto i citati fescennini,  satire e atellane.

Il fescennino, o iocatio fescennina,  è un'espressione del mondo agricolo arcaico romano: si compone di versi rozzi e improvvisati, che i contadini scambiavano tra loro durante cerimonie e feste, come i Liberalia,  indette in onore di Libero, il dio della fecondità,  previste in occasione della fine del raccolto. Li si considera forme embrionali di rappresentazione drammatica perché impostati dialogicamente e perché i contadini indossavano maschere grottesche, in corteccia d'albero, mentre procedevano alla iocatio. I fescennini vennero in uso anche durante le feste nuziali, come testimonia una legge del XII tavole (V secolo) che li vieta in quanto diffamatori. 

La satura ha un'origine discussa. La più probabile, la associa a satur lanx che si traduce come piatto [lanx] colmo [satur], con riferimento a un'offerta sacrificale di cibi svariati che si utilizzava per onorare i defunti. Per analogia, il termine iniziò a essere utilizzato per contrassegnare uno spettacolo composito, che histriones ossia attori [il termine è di origine etrusca] mettevano in scena durante ludi scaenici che avrebbero iniziato a essere istituiti nel 364 (lo testimonia lo storico Livio, attivo nell'età augustea). In particolare, nelle saturae gli attori danzavano al suono del flauto, cantavano e, forse, recitavano versi. Da questo embrione si sarebbe evoluta poi una forma scenica, di cui però ovviamente non abbiamo testimonianze dirette, simile a un mimo. 

Molto più importante per la storia del teatro romano, e anche più documentata, è la nascita (a fine IV secolo a. C.) della fabula atellana, farsa di origine Osca [gli Osci erano un popolo italico stanziato nei territori dell'attuale Campania], che prende il nome da una città del territorio in questione di nome Atella. Gli attori indossavano maschere che manifestavano immediatamente le loro caratteristiche peculiari di personaggi fissi, dai quali gli spettatori si attendevano comportamenti, modi di comunicare definiti. Una volta fissati i personaggi, gli attori dovevano poi improvvisare a partire da un canovaccio, ovvero una traccia prestabilita, di argomento comunque burlesco e comico, non esente da volgarità e oscenità. Tra i tipi fissi più comuni della farsa italica o atellana  vi sono il Pappus, il vecchio rimbambito, il Maccus, lo sciocco facile da ingannare e millantatore, il Bucchus, il servo spaccone, ciarliero e smodato nel nutrirsi, il Dossennus, il vecchio approfittatore e malvagio. Anche l'Atellana prevedeva il ricorso a versi, forse in particolare un antichissimo e poco documentato  versus  quadratus, dalla struttura semplice e ritmata, facile da ascoltare. Così come le satire, anche le fabulae atellanae  continuarono a essere utilizzate in età storica come momento d'intrattenimento del pubblico tra una rappresentazione e l'altra.

Nella seconda parte, interamente dedicata a Fedro, proporrò una favola scelta fra le otto già analizzate, con testo solo in latino. Di questa dovrete realizzare il commento strutturato, come da modello che INCOLLO NUOVAMENTE QUI:

Nella favola intitolata [titolo in latino in corsivo, ovvero sottolineato: il titolo corrisponde al nome del personaggio principale accompagnato dall'aggettivo che più lo caratterizza nella favola] , Fedro racconta che [sintesi della favola]. Dal punto di vista sintattico, la favola risulta caratterizzata dalla presenza di [indicare la prevalenza di proposizioni subordinate/coordinate/discorsi diretti]; inoltre si segnalano costrutti come [indicare qualche costrutto sintattico interessante, ad esempio relative proprie o improprie, nessi relativi, periodi ipotetici, cum narrativi, finali, consecutive, sempre indicando i termini fondamentali che li compongano]. I termini che servono al favolista per esprimere il senso principale della sua composizione sono [indicare singoli termini, sostantivi, aggettivi, verbi, che possano, se commentati adeguatamente, rendere esplicita la morale della favola].

Della medesima favola fornirete RIORDINO e LABOR LIMAE. 

Come SECONDA RICHIESTA proporrò un'OPZIONE tra un'altra favola tra le OTTO,  con RICHIESTE DI ANALISI  FORMULATE DA ME e UNA FAVOLA MAI TRADOTTA INSIEME, col solo testo latino, DA TRADURRE ARRIVANDO ALMENO AL RIORDINO (se non ANCHE al LABOR LIMAE). 

OCCORRE PORTARE IL DIZIONARIO DI LATINO





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