POST CON TUTTO IL MATERIALE RELATIVO A FEDRO E MODELLO DI COMPITO DEFINITIVO
Presentazione dell'autore
Fedro è il primo favolista latino di cui ci sia giunta l'opera. Nato in Macedonia, verso la fine del I secolo a. C., fu presumibilmente portato a Roma come schiavo in giovanissima età. Una prima informazione in questo senso giunge dall'epiteto libertus Augusti, con cui è accompagnato il suo nome nel manoscritto che contiene le sue Fabulae. Liberato dal princeps, potè completare l'istruzione e dedicarsi a insegnare e a scrivere. Tra le poche notizie biografiche ricostruibili figura, per essere stata annotata da lui stesso, una sorta di persecuzione da parte del famigerato ministro di Tiberio di nome Seiano, che avrebbe sferrato un attacco personale nei confronti di Fedro, reo di aver larvatamente criticato il potere dell'epoca e la quasi permanente sopraffazione di deboli e umili da parte dei potenti. Analogamente ricostruibile da sue annotazioni, lo scarso successo goduto dalla sua opera presso i contemporanei: la fama di Fedro, infatti, nasce tardivamente, di sicuro dopo l'età umanistico-rinascimentale, anche in ragione dello sfruttamento in ambito scolastico dei suoi componimenti, rappresentativi di una lingua semplice e chiara e di un contenuto morale edificante.
L'opera di Fedro si è fissata nel tempo in cinque volumi di favole in versi, per un totale di cento componimenti. L'umanista Niccolò Perotti nel 1470 ha integrato il manoscritto con una scelta di 32 favole dell'Autore, nota come Appendix Perottina. Sebbene a Roma Fedro sia pioniere del genere favolistico, esso non ha in lui il suo primo praticante. Infatti fra il VII e il VI secolo a. C. in Grecia Esopo, anch'egli schiavo, scrive le prime favole note nel mondo occidentale, in forma prosastica. Da Esopo Fedro trae ispirazione secondo il principio di aemulatio, riprendendo quindi la forma dominante della sua opera, ovvero l'apologo animalesco, ma variandolo sostanzialmente dal punto di vista formale (adotta appunto i versi, in particolare i senari giambici in uso nella commedia) e contenutistico, inserendo anche personaggi umani. L'origine schiavile di entrambi i favolisti viene spesso utilizzata per spiegare il tipo di visione del mondo che, nell'insieme, si può ricavare dalle loro opere: sotto le apparenze animalesche, vizi e virtù si contrappongono sulla scena del mondo, e dal conflitto, nonché dai vincitori del medesimo, prevale l'impressione che i forti e gli arroganti siano destinati ad avere la meglio in quella sorta di lotta per la vita alla quale si è chiamati a partecipare dalla nascita alla morte.
Presentazione della favola
La favola sotto riportata è antologizzata col titolo Il lupo magro e il cane grasso, anche se ben potrebbe addirle un titolo come Quanto vale la libertà. Protagonisti, come da prevalente impostazione delle favole esopiche e fedriane, sono due animali: un cane, connotato secondo tradizione come deputato a tutelare, proteggere, favorire, in cambio del mantenimento, gli interessi materiali del padrone, e un lupo, anche lui canonicamente descritto come creatura libera e selvaggia, refrattaria a qualsiasi forma di addomesticamento. L'impostazione dialogica, spesso prescelta dal poeta, consente una caratterizzazione dei due animali fin dall'inizio precisa. Il lupo manifesta subito il suo stupore per l'aspetto florido del cane, in contrasto con la condizione di magrezza in cui versa lui, che pure è dalla natura ben più dotato in termini di forza predatoria. Il cane gli rivela immediatamente quale sia il segreto delle sue ottime condizioni di salute e gli suggerisce di abbandonare la vita raminga per affidarsi alle cure d'un padrone, in cambio di minimi servigi. Sedotto dalla prospettiva allettante di avere cibo in abbondanza e senza soverchia fatica, il lupo si predispone a seguire il suggerimento del cane, ma lungo la strada s'accorge di una dettaglio dal suo punto di vista non trascurabile: il collo del cane reca i segni di una catena, che gli viene rivelato essere una sorta di scotto da pagare in cambio del mantenimento in precedenza magnificato. La morale della favola, come da topos favolistico proposta alla fine, è affidata a un'orgogliosa proclamazione del lupo: nemmeno un regno accetterebbe, se in cambio dovesse cedere la sua libertà.
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Cani perpasto macie confectus lupus | Casualmente un lupo dall’aspetto emaciato incontra un cane bello florido; salutatisi reciprocamente, si fermarono a discorrere: “Da dove ti viene questa splendida forma? Come hai fatto a procurarti un simile aspetto? Io, che sono ben più forte di te, muoio di fame.” Il cane, in poche parole, gli spiega: “Ti troveresti nella mia medesima condizione, se potessi rendere un servizio come quello che fornisco io al padrone”. “Quale servizio?” chiede il lupo. “Custode alla porta, in difesa dai ladri e della casa di notte. Si ottiene pane a volontà; il padrone lascia gli avanzi della mensa; i servi gettano i bocconi e gli scarti. Così mi riempio la pancia senza fatica.” “Eccomi pronto: ora patisco le intemperie, conducendo una vita difficile nei boschi. Quanto è più semplice vivere in una casa e saziarsi abbondantemente in totale agio!” “Vieni con me, allora”. Mentre procedono, il lupo s’accorge del collo del cane spelacchiato da una catena. “Da dove viene questo segno, amico mio?” “Non è nulla”. “Ma dimmelo comunque, per piacere”. “Poiché sembro vivace, qualche volta mi legano, perché di giorno io stia quieto e sia bello sveglio quando sopraggiunga la notte: al crepuscolo, libero, vado in giro dove mi pare e piace”. “Ma se uno ne ha voglia, è libero di andarsene?” “No di certo” rispose. “Caro il mio cane, goditi pure ciò di cui fai vanto; da parte mia, non vorrei essere re, a scapito della mia libertà”. CB |
Prologus
Lupus et Agnus, I, 2
Superior stabat lupus, longeque inferior agnus.
Tunc fauce improba latro incitatus iurgii causam intulit:
"Cur - inquit - turbulentam fecisti mihi aquam bibenti?"
Laniger contra timens:
"Qui possum - quaeso - facere quod quereris, lupe? A te decurrit ad meos haustus liquor."
Repulsus ille veritatis viribus:
"Ante hos sex menses male - ait - dixisti mihi".
Respondit agnus:
"Equidem natus non eram!"
"Pater, hercle, tuus - ille inquit - male dixit mihi!"
Atque ita correptum lacerat iniusta nece.
Haec propter illos scripta est homines fabula qui fictis causis innocentes opprimunt.
Ranae regem petunt I, 3
Athenae cum florerent aequis legibus,procax libertas civitatem miscuit,
frenumque solvit pristinum licentia.
Hic conspiratis factionum partibus
arcem tyrannus occupat Pisistratus.
Cum tristem servitutem flerent Attici,
(non quia crudelis ille, sed quoniam grave
omne insuetis onus), et coepissent queri,
Aesopus talem tum fabellam rettulit.
'Ranae, vagantes liberis paludibus,
clamore magno regem petiere a Iove,
qui dissolutos mores vi compesceret.
Pater deorum risit atque illis dedit
parvum tigillum, missum quod subito vadi
motu sonoque terruit pavidum genus.
Hoc mersum limo cum iaceret diutius,
forte una tacite profert e stagno caput,
et explorato rege cunctas evocat.
Illae timore posito certatim adnatant,
lignumque supra turba petulans insilit.
Quod cum inquinassent omni contumelia,
alium rogantes regem misere ad Iovem,
inutilis quoniam esset qui fuerat datus.
Tum misit illis hydrum, qui dente aspero
corripere coepit singulas. Frustra necem
fugitant inertes; vocem praecludit metus.
Furtim igitur dant Mercurio mandata ad Iovem,
adflictis ut succurrat. Tunc contra deus
"Quia noluistis vestrum ferre" inquit "bonum,
malum perferte". Vos quoque, o cives, ait,
hoc sustinete, maius ne veniat, malum.
Graculus superbus et pavo, I, 4
Ne gloriari libeat alienis bonis,suoque potius habitu vitam degere,
Aesopus nobis hoc exemplum prodidit.
Tumens inani graculus superbia
pinnas, pavoni quae deciderant, sustulit,
seque exornavit. Deinde, contemnens suos,
immiscet se ut pavonum formoso gregi;
illi impudenti pinnas eripiunt avi,
fugantque rostris. Male mulcatus graculus
redire maerens coepit ad proprium genus,
a quo repulsus tristem sustinuit notam.
Tum quidam ex illis quos prius despexerat
'Contentus nostris si fuisses sedibus
et quod Natura dederat voluisses pati,
nec illam expertus esses contumeliam
nec hanc repulsam tua sentiret calamitas'.
bis peccat: primum quoniam indignos adiuvat,
impune abire deinde quia iam non potest.
Os devoratum fauce cum haereret lupi,
magno dolore victus coepit singulos
inlicere pretio ut illud extraherent malum.
Tandem persuasa est iureiurando gruis,
gulae quae credens colli longitudinem
periculosam fecit medicinam lupo.
Pro quo cum pactum flagitaret praemium,
'Ingrata es' inquit 'ore quae nostro caput
incolume abstuleris et mercedem postules'.
Canis per fluvium carnem ferens , I, 5
Amittit merito proprium qui alienum adpetit.Canis, per flumen carnem dum ferret, natans
lympharum in speculo vidit simulacrum suum,
aliamque praedam ab altero ferri putans
eripere voluit; verum decepta aviditas
et quem tenebat ore dimisit cibum,
nec quem petebat potuit adeo adtingere.
Numquam est fidelis cum potente societas.
Testatur haec fabella propositum meum.
Vacca et capella et patiens ovis iniuriae
socii fuere cum leone in saltibus.
Hi cum cepissent cervum vasti corporis,
sic est locutus partibus factis leo:
"Ego primam tollo nominor quoniam leo;
secundam, quia sum fortis, tribuetis mihi;
tum, quia plus valeo, me sequetur tertia;
malo adficietur si quis quartam tetigerit'.
Sic totam praedam sola improbitas abstulit
Personam tragicam forte vulpes viderat;
quam postquam huc illuc semel atque iterum verterat,
'O quanta species' inquit 'cerebrum non habet!'
Fortuna tribuit, sensum communem abstulit.
verum peritis inritos tendit dolos.
Nocturnus cum fur panem misisset cani,
obiecto temptans an cibo posset capi,
'Heus', inquit 'linguam vis meam praecludere,
ne latrem pro re domini? Multum falleris.
Namque ista subita me iubet benignitas
vigilare, facias ne mea culpa lucrum'.
FEDRO, III, 59 Cicada et noctua
Humanitati qui se non accommodat
plerumque poenas oppetit superbiae.
Cicada acerbum noctuae convicium
faciebat, solitae victum in tenebris quaerere
cavoque ramo capere somnum interdiu.
Rogata est ut taceret. Multo validius
clamare occepit. Rursus admota prece
accensa magis est. Noctua, ut vidit sibi
nullum esse auxilium et verba contemni sua,
hac est adgressa garrulam fallacia:
"Dormire quia me non sinunt cantus tui,
sonare citharam quos putes Apollinis,
potare est animus nectar, quod Pallas mihi
nuper donavit; si non fastidis, veni;
una bibamus." Illa, quae arebat siti,
simul gaudebat vocem laudari suam,
cupide advolavit. Noctua, obsepto cavo,
trepidantem consectata est et leto dedit.
Sic, viva quod negarat, tribuit mortua.
IV, 81
Plus esse in uno saepe quam in turba boni | Spesso, uno vale più di molti |
Plus esse in uno saepe quam in turba boni
donate moechae. Nulla poterit perpeti | Voglio lasciare memoria di come spesso uno solo valga più di tanti. Un padre, morendo, lasciò tre figlie, una attraente e civetta, una abile nella filatura e rozza, una terza ripugnante, sempre attaccata alla bottiglia. Il vecchio assegnò l’eredità destinata a costoro alla madre, imponendo la condizione che suddividesse equamente l’intera fortuna fra loro tre in tal modo, ossia “Di non renderle né proprietarie né usufruttuarie” e poi “di assegnare sesterzi in quantità centuplicata alla madre sia in caso di rinuncia sia in caso di accettazione dell’eredità.” Ad Atene le chiacchiere abbondano, la madre in tutta fretta consulta esperti avvocati; nessuno capisce come possano ricavare una rendita da un possesso inesistente; e poi, come possano dare soldi se non hanno preso nulla. Dopo aver trascorso molto tempo senza essere riusciti ad assegnare un significato al testamento, la madre, messo da parte il diritto, s’appellò alla sua coscienza. Alla civetta assegnò vestiti e belletti, suppellettili eleganti, eunuchi; all’industriosa filatrice campi, pecore, fattoria, braccianti, buoi giumente e attrezzi rustici; alla beona la cantina piena di orci, la casa elegante e i bei giardini. Mentre così si apprestava alla distribuzione e il popolo approvava, data la conoscenza che aveva di loro tre, all’improvviso ecco Esopo tra la folla che dice: “Se il povero padre dalla tomba potesse sentirvi, come sopporterebbe di mala grazia la totale incomprensione della sua volontà da parte degli abitanti dell’Attica!” Richiesto quindi di rimediare all’errore collettivo: “Date casa e suppellettili, giardino e vino d’annata alla filatrice; abiti, perle, schiavi alla dissipatrice; campi e fattoria, pecore e pastori alla beona. Nessuna riuscirà a tenere qualcosa di così estraneo ai propri costumi. Quella brutta venderà per procurarsi vino, la civetta svenderà campi per procurarsi abiti; quella dedita alla filatura e a cui piacciono le pecore darà via a qualsiasi prezzo la casa lussuosa. Così nessuna possiederà ciò che le è stato dato e dal prezzo della vendita ricaveranno il denaro dovuto alla madre.” Fu così che l’avvedutezza di uno solo sopperì alla mancanza di senno di molti. CB |
quam opprimere captans alapam sibi duxit gravem.
Tunc illa irridens: "Punctum volucris parvulae
voluisti morte ulcisci; quid facies tibi,
iniuriae qui addideris contumeliam?"
Respondit: "Mecum facile redeo in gratiam,
quia non fuisse mentem laedendi scio.
Sed te, contempti generis animal improbum,
quae delectaris bibere humanum sanguinem,
optem necare vel maiore incommodo".
Hoc argumentum veniam ei dari docet
qui casu peccat. Nam qui consilio est nocens,
illum esse quamvis dignum poena iudico.
- Utilizzando le favole III, 59 (Cicada et noctua) e I, 8 (Vulpis ad personam tragicam) concepisci un focus sulla natura umana attraverso due favole di Fedro, all'interno del quale devi dimostrare di saper utilizzare la tecnica delle citazioni (almeno tre per favola) in latino, da riportare in latino e in traduzione, e adeguatamente commentare per ricondurle al tema del focus. Nel compito ovviamente riporterò le due (o tre) favole di cui servirsi senza traduzione, solo in latino.
Asinus ad lyram, Appendix Perottina, 113
Asinus iacentem vidit in prato lyram.Accessit et temptavit chordas ungula;sonuere tactae. "Bella res, sed, mehercules,male cessit" inquit "artis quia sum nescius.Si repperisset aliquis hanc prudentior,divinis aures oblectasset cantibus."Sic saepe ingenia calamitate intercidunt.
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