Mettendo in ordine miei file di qualche anno or sono, ho trovato questa raccolta di citazioni di cui (devo provare a immaginare, perché non ricordo) forse mi sono servita per un tema in classe. Mi sono subito sembrate adatte al qui e ora, perciò le condivido con voi. Magari serviranno.
1)
«Quando uso una parola», Humpty Dumpty
disse in tono piuttosto sdegnato, «essa significa esattamente quello che voglio
– né di più né di meno.»
«La domanda è», rispose Alice, «se si può fare in modo che le parole abbiano
tanti significati diversi.»
«La domanda è,» replicò Humpty Dumpty, «chi è che comanda – tutto qui.» (Lewis
Carroll, Alice nel paese delle meraviglie)
2) Ghiannis
Ritsos, poeta greco, “le parole sono come vecchie prostitute, che tutti usano
spesso e male”.
3)
Alice rise: «È inutile che ci provi»,
disse; «non si può credere a una cosa impossibile.» «Oserei dire che non ti sei allenata molto», ribatté la Regina. «Quando ero
giovane, mi esercitavo sempre mezz'ora al giorno. A volte riuscivo a credere
anche a sei cose impossibili prima di colazione.» (L. Carroll, Dietro lo specchio)
4) Meglio tacere e dare l’impressione di essere
stupidi, piuttosto che parlare e togliere ogni dubbio (Confucio (551
– 479 a.C)).
5) “Ripetete una cosa qualsiasi cento,
mille, un milione di volte e diventerà verità”, così sosteneva Joseph Goebbels,
ministro della propaganda ai tempi della Germania nazista.
6) "ho cambiato idea e non parlo più di "male
radicale". […] Quel che ora penso veramente è che il male non è mai
"radicale", ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né
una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché
si espande sulla sua superficie come un fungo. Esso "sfida" […] il
pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle
radici, e, nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova
nulla. Questa è la sua "banalità". Solo il bene è profondo e può
essere radicale". (da una lettera a un amico di Annah Arendt, autrice
della Banalità del male)
7) Assolutamente». Un avverbio e un
aggettivo apparentemente innocenti, da qualche tempo, condiscono i nostri
discorsi e in modo così pervasivo che non ce ne accorgiamo «assolutamente» più:
per l´appunto, assolutamente e assoluto. Tutto è assolutamente, tutto è
assoluto. Facciamoci caso. È perfino superfluo esemplificare: tutto ciò che si
fa e si dice è sotto il segno dell'assoluto. Neppure più il «sì» e il «no» si
sottraggono alla dittatura dell'assoluto: «assolutamente sì», «assolutamente
no» (G. Zagrebelsky, giurista, scrittore, da Sulla
lingua del tempo presente)
8) Pensando e ripensando, non trovo altro
fondamento della democrazia che questo solo. Solo, ma grande: il rispetto di
sé. La democrazia è l'unica forma di reggimento politico che rispetta la mia dignità
nella sfera pubblica, mi riconosce capace di discutere e decidere sulla mia
esistenza in rapporto con gli altri. Nessun altro regime mi presta questo
riconoscimento, poiché mi considera indegno di autonomia, fuori della cerchia
stretta delle mie relazioni puramente private. (G. Zagrebelsky, giurista,
scrittore)
9) Ben di rado avviene che le parole
affermative e sicure d'una persona autorevole, in qualsivoglia genere, non
tingano del loro colore la mente di chi le ascolta. (Promessi sposi, cap. X)
10) Caro Augias, leggevo queste parole del
prof Guido Rossi: «La trasparenza e la cultura della vergogna paiono l' unica
arma contro la prepotenza delle oligarchie palesi o simulate, che hanno
definitivamente corrotto il concetto fondamentale di Stato». Giusto. Ma noto la
totale assenza di vergogna, dalle fisionomie degli uomini pubblici chiamati a
vario titolo in causa per ragioni discutibili o abominevoli. Nemmeno dinanzi
alle domande su fatti riprovevoli e accertati viene mai meno quella
"arrogante autoesaltazione", per usare ancora parole di Rossi, che si
fissa in maschere anche molto diverse fra loro, ma che sembrano tutte forgiate
nel "bronzo". Altro che "cultura della vergogna", non si
trova più traccia nemmeno di una pur minima briciola di pudore, e nemmeno pare
che abbia più valore da noi quello che nel resto del mondo risulta ancora una
sorta di arma invincibile, quello sprofondare nel ridicolo che giustifica l'
affermazione, "una risata vi seppellirà". Una positiva "cultura
della vergogna", può essere rimessa in circolo solo da noi cittadini, noi
dobbiamo cominciare, possibilmente, a vergognarci. Almeno delle nostre scelte
elettorali. Vittorio Melandri (Lettera pubblicata sul "Corriere della Sera", 2013)
11) Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale
soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare
senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice
Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo.
Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle
sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine
dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e
le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi
che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini.
Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche
la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce
con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che
aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità
della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la
bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza
del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto
né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di
noi.
Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra
saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al
nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente
degna di essere vissuta.
Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di
essere americani. (R. Kennedy, discorso tenuto durante le presidenziali del 1968, pochi mesi prima di essere ucciso)
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