ANCORA UN MODELLO CALVINO PER RACCONTARE OTTAVE (11-14)

Il baldo Rinaldo, vestito di tutto punto con la pesante, e ingombrante, armatura dei cavalieri antiqui di cui non di rado Ariosto sorride sotto i baffi (i pretesti per farlo sono molti), corre nel bosco leggero come un contadinotto seminudo impegnato in una corsa campestre. Da parte sua Angelica lo fugge, annota pur sempre malizioso il poeta, come si trattasse d'un serpente velenoso. Tant'è che le fontane dell'amore e del disamore agiscono sul serio: se l'uno non riesce a fare a meno di desiderarla, la seconda non può controllare la sua totale repulsione. E ancora, se a Rinaldo è sufficiente, per mettergli le ali ai piedi, l'apparizione fugace di lei, a Angelica basta scorgerlo, per affidarsi a un galoppo forsennato e cieco del suo cavallo. Così s'innescano quei furibondi caroselli che caratterizzano il I canto, in cui i sentieri che si biforcano nella foresta si rendono complici di inattesi incontri fra persone che si cercano (alcune) e si fuggono (altre), oppure che stanno pensando ad altro quando sono improvvisamente costrette a occuparsi di qualche inopinata situazione creata dal caso.