ANALISI DEL "CANTO DI ORFEO ALLE OMBRE DEL TARTARO" - compito 2 per il 15 marzo

Riporto nuovamente sotto i versi (e la relativa traduzionedi Sermonti) che contengono tutto il canto di Orfeo alle ombre (già presente nel post dedicato al X libro). Dovete continuare a analizzare le parole in grassetto (ho aggiunto evidenziazioni oltre a quelle dell'altra volta), la traduzione letterale (eravate arrivati a monstri)  e realizzare un commento del contenuto (aiutandovi con la traduzione di Sermonti, ovviamente) in cui riportiate come sempre citazioni significative dal testo latino.  Imposto il commento del contenuto: come potete vedere, nell'esempio non ricorro esattamente alla traduzione di Sermonti, ma la vario. Provateci anche voi.  

"Orfeo, durante il suo passaggio nel regno dei morti (una discesa, catabasi, seguita da una risalita, anabasi), leva un canto intriso di pathos ai numi inferi: primo motivo di pena, nonché di recriminazione, la morte del tutto prematura di Euridice, i cui crescentes annos, ovvero una vita che stava sbocciando, un morso fatale  di vipera (vipera calcata venenum diffudit) ha  stroncato." 

O positi sub terra numina mundi,
in quem reccidimus, quicquid mortale creamur,

si licet et falsi positis ambagibus oris
vera loqui sinitis, non huc, ut opaca viderem
Tartara, descendi, nec uti villosa colubris
terna Medusaei vincirem guttura monstri:
causa viae est coniunx, in quam calcata venenum
vipera diffudit crescentesque abstulit annos.
Posse pati volui nec me temptasse negabo:
vicit AmorSupera deus hic bene notus in ora est;
an sit et hic, dubito: sed et hic tamen auguror esse,
famaque si veteris non est mentita rapinae,
vos quoque iunxit Amor. Per ego haec loca plena timoris,
per Chaos hoc ingens vastique silentia regni,
Eurydices, oro, properata retexite fata.

Omnia debemur vobis, paulumque morati
serius aut citius sedem properamus ad unam.
Tendimus huc omnes, haec est domus ultima, vosque
humani generis longissima regna tenetis.

haec quoque, cum iustos matura peregerit annos,
iuris erit vestri: pro munere poscimus usum;
quodsi fata negant veniam pro coniuge, certum est
nolle redire mihi: leto gaudete duorum”.

 “Santi numi, che abitate qui sotto terra, dove, senza scelta, noi tutti mortali verremo a finire, se posso permettermi di dirvi la verità, senza tanti sotterfugi retorici: be’, non sono sceso quaggiù per dare un’occhiata al Tartaro, e tantomeno per mettere a catena i tre colli villosi di serpi di Cerbero il mostro: la ragione del viaggio è mia moglie, che ha pestato una vipera, e quella le ha iniettato veleno, mozzandole una vita che stava sbocciando. Me la volevo cavare da solo, e ho tentato, non nego; ma ha vinto Amore! che è un dio lassù da noi famosissimo; non so se anche qui sotto, ma mi auguro proprio di sì: se non è inventata la favola di un ratto del tempo che fu, Amore ha congiunto anche voi. Per questi posti tremendi, l’immenso vuoto e i silenzi del regno d’abisso, vi supplico, ritessete le fila strappate del destino di lei, di Euridice! A voi tutto dobbiamo, e dopo una minima dilazione, più presto che tardi, tutti piombiamo in un unico posto. Finiremo tutti quaggiù: questo è l’estremo soggiorno, dove sul genere umano regnerete in perpetuo voi due. Lei stessa una volta compiuti gli anni giusti per lei, sarà di vostra spettanza: non vi chiedo un regalo, ma un prestito. Se poi questa grazia il destino me la nega, io, state certi, di qui non mi muovo: potrete godervi un raddoppio di morte”.

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