TEMA MAGGIO

 maggio 2023

PARTE OBBLIGATORIA (ed. civica)

I giovani e la PA “Dobbiamo superare questo cliché del posto fisso come unica leva, per diventare un'organizzazione moderna, che offra, a chi decide di entrare, percorsi virtuosi di crescita. Un giovane deve avere l’opportunità di fare esperienze appaganti e di acquisire, quindi, orgoglio di appartenenza”.

Trovate riportato sopra uno stralcio del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza,  dal sito governativo Italia Domani. Esponi il contenuto del paragrafo e, dal momento che è rivolto esplicitamente alla tua generazione, esprimiti in merito a quello che viene auspicato. Il testo da te realizzato puo estendersi per una mezza pagina (una colonna intera) di foglio protocollo diviso a metà.

TRACCE A SCELTA

TIPOLOGIA  A - ANALISI E INTERPRETAZIONE DI UN TESTO LETTERARIO ITALIANO

Un re aveva un figlio unico e gli voleva bene come alla luce dei suoi occhi. Ma questo principe era sempre scontento. Passava giornate intere affacciato al balcone a guardare lontano.

 Ma cosa ti manca?  gli chiedeva il re,  Che cos'hai?

 Non lo so, padre mio, non lo so neanch'io.

Sei innamorato? Se vuoi una qualche ragazza dimmelo, e te la farò sposare, fosse la figlia del re più potente della terra o la più povera contadina!

No, padre, non sono innamorato.  E il re a riprovare tutti i modi per distrarlo! Teatri, balli, musiche, canti; ma nulla serviva, e dal viso del principe di giorno in giorno scompariva il colore di rosa. Il re mise fuori un editto, e da tutte le parti del mondo venne la gente più istruita: filosofi, dottori e professori. Gli mostrò il principe e domandò consiglio. Quelli si ritirarono a pensare, poi tornarono dal re.

Maestà, abbiamo pensato, abbiamo letto le stelle; ecco cosa dovete fare. Cercate un uomo che sia contento, ma contento in tutto e per tutto, e cambiate la camicia di vostro figlio con la sua. Quel giorno stesso, il re mandò gli ambasciatori per tutto il mondo a cercare l'uomo contento. Gli fu condotto un prete:

Sei contento? gli domandò il ee.

Io sì, maestà!

Bene.  Ci avrebbe piacere di diventare il mio vescovo?

Oh, magari, maestà!

Va' via! Fuori di qua! Cerco un uomo felice e contento del suo stato, non uno che voglia star meglio di com'è.

 E il re prese ad aspettare un altro.   C'era un altro re suo vicino, gli dissero, che era proprio felice e contento: aveva una moglie bella e buona, un mucchio di figli, aveva vinto tutti i nemici in guerra, e il paese stava in pace. Subito, il re pieno di speranza mandò gli ambasciatori a chiedergli la camicia. Il re vicino ha ricevuto gli ambasciatori e

Sì, sì, non mi manca nulla, peccato però che quando si hanno tante cose, poi si deve morire e lasciare tutto! Con questo pensiero, soffro tanto che non dormo alla notte!

E gli ambasciatori pensarono bene di tornarsene indietro. Per sfogare la sua disperazione, il re andò a caccia. Tirò a una lepre e credeva d'averla presa, ma la lepre, zoppicando, scappò via. Il re le tenne dietro e s'allontanò dal seguito. In mezzo ai campi, sentì una voce d'uomo che cantava la falulella. Il re si fermò:

Chi canta così non può che essere contento! e seguendo il canto s'infilò in una vigna, e tra i filari vide un giovane che cantava potando le viti.

Buon dì maestà, disse quel giovane.

Così di buon'ora già in campagna?  Benedetto te, vuoi che ti porti con me alla capitale? Sarai mio amico.

Ahi, ahi, maestà, no, non ci penso nemmeno, grazie. Non mi cambierei neanche col papa.

Ma perché, tu, un così bel giovane...

Ma no, vi dico. Sono contento così e basta.

Finalmente un uomo felice!  pensava il re.

Giovane, senti: devi farmi un piacere.

Se posso, con tutto il cuore, Maestà.

Aspetta un momento, e il Re, che non stava più nella pelle dalla contentezza, corse a cercare il suo seguito:

Venite! Venite! Mio figlio è salvo! Mio figlio è salvo .  E li porta da quel giovane.

Benedetto giovane, dice, ti darò tutto quel che vuoi! Ma dammi, dammi...

Che cosa, maestà?

Mio figlio sta per morire! Solo tu lo puoi salvare. Vieni qua, aspetta!  e lo afferra, comincia a sbottonargli la giacca. Tutt'a un tratto si ferma, gli cascano le braccia. L'uomo contento non aveva camicia .

 Italo Calvino, Fiabe Italiane, La camicia dell’uomo contento, vol. I, tradizione friulana.

1.       Comprensione e analisi

·         Riassumi la fiaba in 200 parole.

·         La fiaba fa parte di una raccolta di trascrizioni effettuate da Italo Calvino, che rientrano in tradizioni orali, in questo caso friulane. Individua nel testo due o tre indizi palesi del fatto che si tratti di trascrizioni che mimano il parlato.

·         Riconosci le componenti fiabesche presenti nel testo.

·         Rispetto a quale atteggiamento di suoi interlocutori il re manifesta delusione e insofferenza?

·         Che cosa esprime il gesto di cascare le braccia attribuito al re nelle ultime righe della fiaba?

2.       Interpretazione

Sviluppa, partendo dalla fiaba, ma muovendoti in tutte le direzioni che ritieni possano valorizzare tue conoscenze e esperienze, il tema della felicità, sia come intendimento della sua essenza sia come praticabilità del suo raggiungimento.

 

TIP. B – ANALISI E PRODUZIONE DI UN TESTO ARGOMENTATIVO

Un noto proverbio recita: “Non ascoltare quello che ti dicono... vai a vedere”. Questo vale assolutamente per il Bhutan. Questa popolare destinazione è uno dei Paesi più influenti in termini di ambiente e felicità e, senza dubbio, uno dei luoghi più trasformativi da visitare. Di recente Lonely Planet lo ha indicato come il Paese numero uno per chi ha questo obiettivo. Il piccolo regno, incastonato tra l’India e la Cina, è circondato dalla più grande e maestosa catena montuosa, l’Himalaya. Con il nuovo slogan “Bhutan Believe” e una forte impronta al turismo sostenibile (essendo un Paese vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico, il Bhutan intensificherà anche gli sforzi per mantenere lo status di essere uno dei pochi Paesi carbon-negative al mondo), ha da qualche settimana riaperto le sue porte al turismo e si candida a diventare una meta accessibile per tutta la famiglia. Ecco dieci esperienze da non perdere. (da “Il Sole24Ore” 11 novembre 2022, Le meraviglie del piccolo regno del Bhutan)

ROMA - Il  Bhutan è un piccolo regno incastrato fra due superpotenze, la Cina e l'India. Per questo capita spesso di sentire qualcuno fare dell'ironia sulla posizione un po' scomoda di questo minuscolo lembo di terra montuoso dell’Asia che - si legge sui giornali - "ha adottato la Felicità Interna Lorda" come unità misura del benessere della propria gente. Ma la sua storia è invece segnata da una pagina assai triste di deportazione e spopolamento forzato, che è stato raccontato da un bel documentario, disponibile su Rai Storia, dal titolo "Dimmi chi sono" . Una vicenda semi sconosciuta di pulizia etnica ordinata dal re del Bhutan negli anni '90, che il regista Sergio Basso ha reso nota in un modo del tutto originale. Si parla del popolo dei Lotshampa, cittadini bhutanesi di origine nepalese e di religione induista espulsi a centinaia di migliaia dal Bhutan.

La loro colpa: stavano diventando troppi. E' una questione antica, questa dei Lotshampa, nata alla fine del XIX secolo quando migliaia di contadini del Nepal sudorientale emigrarono nelle pianure meridionali del Bhutan per trovare nuove terre da coltivare. Il governo di Thimphu (capitale del Buthan) all'inizio poco interessato a quell'area, lasciò che l'ingresso dei Lotshampa avvenisse senza difficoltà. Anzi, la loro presenza contribuì a rendere coltivabili migliaia e migliaia di ettari di terreno. Gli insediamenti, dunque, proseguirono per tutta la prima metà del XX secolo. Ma a partire dagli anni settanta si cominciò a registrare una forte crescita demografica dei Lotshampa che iniziò a preoccupare la maggioranza della popolazione bhutanese, di etnia tibetana e di religione buddhista. Negli anni ottanta furono quindi varate diverse leggi (tra cui il Driglam namzha) che imponevano alla minoranza dei Lotshampa la prima cosa che in genere s'impone ad una minoranza, quando la si vuole espellere da una nazione: lingua ufficiale nepalese. Non solo, ma si impose anche di adeguarsi alla cultura e agli usi della maggioranza.

La fuga e i lunghi anni nei campi profughi. Ne seguirono disordini in tutto il Paese che indussero decine di migliaia di Lotshampa a lasciare il Bhutan per rifugiarsi all'interno di alcuni campi profughi gestiti dall'ONU in Nepal, vicino alla cittadina di Damak. In quelle tendopoli - le solite, simili a quelle che l'UNHCR allestisce laddove c'è gente che scappa da guerre, catastrofi naturali o persecuzioni - ci vissero oltre centomila rifugiati che rivendicavano il diritto di rientrare nella loro patria d'origine e che spesso tentavano di ritornare in Bhutan, dove però erano respinti dalla polizia di frontiera. Per molti anni durarono negoziati trilaterali tra il governo del Bhutan, quello nepalese e le Nazioni Unite  per trovare una soluzione al problema. Alla fine si ottenne la disponibilità di alcuni Stati (gli USA, il Canada, l'Australia e la Norvegia) di ospitare i profughi, attraverso un piano di immigrazione graduale. Solo gli Stati Uniti eccepirono sulla composizione sociale dei rifugiati, avanzando l'ipotesi anche che alcuni di loro, nati o cresciuti nei campi profughi, si uniscano alla guerriglia maoista guidata dal Partito Comunista Bhutanese.

Le tristezze e le angosce dei giovani spaventati dal futuro. Nel documentario di Sergio Basso, i rifugiati raccontano il loro passato e spiegano cosa significhi per le persone perdere la propria identità. Emergono le angosce per l'obbligo di lasciare la terra dove si è nati e cresciuti, dove si abbandonano affetti e sono fioriti i primi ricordi di vita, le amicizie. Ed emergono le grandi paure per il futuro, per luoghi lontani e sconosciuti dove reimpiantare la propria esistenza. Tutti sentimenti che vengono incarnati dalla giovanissima protagonista del documentario, Sarita, una ragazzina di 13 anni. Nel lavoro di Basso tanti ragazzi Lotshampa cantando e danzando, usano l’ironia per far conoscere quella che per loro è una vera tragedia.(da “La Repubblica”, giugno 2022, Riguardò la minoranza dei Lotshampa, i cittadini bhutanesi di origine nepalese e di religione induista espulsi a centinaia di migliaia dal Bhutan dopo una vera e propria pulizia etnica degli anni novanta).

1.       Analisi

·         I due stralci proposti rappresentano due fotogragie molto diverse di uno stesso Stato. Restituiscine il contenuto, in modo da rilevare gli elementi oppositivi.

·         Qual è la spiegazion del titolo Dimmi chi sono scelto per il documentario citato nel secondo articolo?

2.       Produzione

Utilizza, per ragionare sul tema della felicità come valore collettivo, non individuale, anche quanto attivato dall’articolo tratto da Carmilla on line, fornito come materiale preparatorio per lo svolgimento.

TIPOLOGIA C  - RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO SU TEMATICHE DI ATTUALITÀ

La chiave di lettura di questo breve excursus sul primato finlandese in “felicità”, si trova nel Sustainable development network, dove balza allo sguardo l’ossimoro dello “sviluppo sostenibile”. Già nel 1973, in un articolo dal titolo Sviluppo e progresso, che non fu pubblicato dal «Corriere della Sera» per cui era editorialista, Pier Paolo Pasolini si chiedeva se le due parole fossero sinonimi e affermava che no, non lo erano: “Il progresso è […] una nozione ideale (sociale e politica), […] lo “sviluppo” è un fatto pragmatico ed economico”. Per lo scrittore, poeta e regista, lo sviluppo, è nient’altro che la crescita economica secondo la visione dell’industrialismo, del consumismo, del modello economico angloamericano, imposto attraverso il potere politico e la propaganda alle masse come origine del benessere e fonte della felicità. Pasolini, prendeva le mosse dal celebre rapporto I limiti dello sviluppo, pubblicato l’anno prima dal Club di Roma in un libro divenuto best seller e tradotto in più di 30 lingue, che scatenò un acceso dibattito sul futuro dell’umanità.

Mezzo secolo dopo, i sostenitori dello “sviluppo” hanno prodotto l’ossimoro affiancando al loro totem il suadente termine “sostenibile”, sicché, ancora una volta come gattopardi [il riferimento conduce al romanzo Il Gattopardo di G.T. di Lampedusa, 1958, in cui  Tancredi, il nipote del protagonista, nobile borbonico all’avvento dell’Unità d’Italia sotto i Savoia, dichiara: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.], si fa credere che dalla crescita economica (infinita) dipenda il benessere dei popoli e la felicità. Ecco dunque, seppur dilaniati da enormi contraddizioni ben lungi dal garantire felicità, che attraverso il modello statistico generato dalla macchina ideologica statunitense, con la società come arena di competizione tra individui rivolti all’imperativo del guadagno in un mercato finanziario senza limiti spaziali e temporali, gli USA agguantano la quindicesima posizione dietro a un drappello di micro-nazioni, per lo più scandinave, e ai satelliti anglofoni dell’ex impero britannico, giganti geografici ma nani demografici. Il World happiness report 2023, è allora un documento neocoloniale, un prodotto dalla cultura tecno-scientifica angloamericana, innestata sul pensiero filosofico europeo emerso tra XVII e XVIII secolo e confluito sotto l’etichetta di “illuminismo”, uno strumento spettacolare per colonizzare l’immaginario globale.

Sorge il sospetto che con ben altro sguardo antropologico, probabilmente il popolo più felice del mondo potrebbe essere in realtà un gruppo di Masai dell’Africa orientale, dove gli etnografi registrano un indice di soddisfazione della vita (felicità) simile a quello dei 400 americani più ricchi nella lista di Forbes…[da Carmilla.on line, articolo di Carlo Modesti Pauer, La Finlandia, il paese più felice del mondo]

 

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