Il titolo sopra proposto propone una
prospettiva in contrasto con la favola di Fedro. Infatti, l'autore latino
vuole esaltare chi preferisce la libertà a qualsiasi agio. Ma la realtà
spesso è diversa: tutti noi siamo circondati da un mondo crudele, in cui
forse la migliore opzione è proprio non vedere, per riuscire a
ottenere agi e scalate sociali, se non per vivere anche solo
tranquillamente. Fingere di non vedere è una scelta che comporta
apparentemente uno sgravio di responsabilità: non si può dare la
colpa a qualcuno che non ha visto. E’ questo che successe nella Germania
nazista quando gli ebrei vennero deportati e uccisi in massa, e l’intera
popolazione tedesca non ne sapeva (sosteneva di non saperne) niente.
Spesso è la stessa mente che, addirittura, manipola i ricordi per farci
sentire meglio con noi stessi, senza porci troppe domande che potrebbero
condurci a ammettere crudeli e dolorose verità. il ‘’tutto sta’’ del
titolo sembra essere un consiglio, e si riferisce all’obiettivo, che ci si
può allenare a raggiungere, di stare bene e ottenere la felicità data dagli
agi e dai beni materiali. Infatti, il lupo magro che, invece, ha visto e
ha agito rimarrà nella sua condizione di fame e continuerà a faticare
per procurarsi da mangiare. Ma si è veramente felici quando si impara a non
vedere? Fedro, il quale ha sperimentato la condizione di schiavitù, e il
lupo da lui reso protagonista della favola filosofica, non la
pensano affatto così.
Tutto sta nel non vedere la catena (Martina)
La favola filosofica sintetizza un tema che tuttora rappresenta e
caratterizza gran parte della nostra società: l’importanza, per alcune persone, di mantenere un determinato status,
anche se questo comporta da parte loro qualche perdita morale o forme
pesanti di sottomissione. Tali persone infatti, proprio come il cane, si
comportano come se non si rendessero conto o semplicemente ignorassero il
fatto che, in cambio di ciò che vogliono ottenere, perdono una parte della
loro libertà, cosa che implica la dipendenza da qualcun altro, che dunque
detiene il potere su tali persone.
Il cane infatti, sembra oscurare completamente, e anzi, minimizzare le sue
mansioni e ancor di più la presenza della catena legata attorno al suo
collo per costringerlo a riposarsi durante il giorno, e riprendere le sue
attività solo al crepuscolo. Per questo il cane, che inizialmente sembra al
lettore più astuto del lupo, per la scelta di vita confortevole
compiuta, successivamente diventa meschino ai suoi occhi, in quanto
l’animale mette la propria libertà su un piano inferiore rispetto al
sostentamento. Al contrario il lupo, non volendo rinunciare e avendo il
coraggio di proteggere la sua libertà, rifiuta il compito di guardiano
notturno della casa, rendendo palese la posizione di Fedro a riguardo del
tema portante, la libertà. Il poeta, infatti, ritiene fondamentale
comportarsi allo stesso modo del predatore, per evitare di vivere in una
sorta di prigione, all’interno della quale non ci si rende neanche conto di
essere, pur di avere la pancia piena.
BREVITAS: UN ESPEDIENTE STILISTICO PER
NON ESSERE CENSURATO (Lorenzo)
A Fedro viene attribuito il
grandissimo merito di aver introdotto la favola nel mondo latino e di
averla resa un genere a sé stante. Riesce nell’ardua operazione grazie al
proposito che dichiara fin dal prologo del suo primo libro: rendere in
forma poetica, riservata solitamente ad un genere letterario elevato, la
materia che ha trattato Esopo prima di lui. Naturalmente, la sua opera non
si limita alla conversione delle favole in versi senari, ma introduce anche
innovazioni relativamente alla trama, alla tipologia di personaggi e
all’articolazione del racconto.
Proprio su quest’ultimo aspetto si
concentra il lavoro di Fedro, con l’obiettivo di risultare il più breve ed
espressivo possibile nei suoi componimenti, che devono suscitare talvolta
anche il riso, lasciando però un insegnamento al lettore. L’espediente che
gli permette di risparmiare sulla descrizione caratteriale dei personaggi è
legato proprio alla natura animale di questi, perché il fatto che scelga un
animale anziché un altro è connesso con le qualità che sono
convenzionalmente, ovvero attraverso il genere stesso, attribuite al
soggetto. Inoltre, tale tecnica gli permette di semplificare la
comunicazione con il lettore, che viene conquistato dagli
insegnamenti anche quando sembra si stia parlando di storielle tra
animali.
Nella maggior parte dei componimenti
si riscontra questa funzione pregnante legata alla scelta dei protagonisti
che permette subito al lettore di ricavare delle informazioni. Ne è un
esempio la favola intitolata Vulpis ad personam tragicam (Liber
1,7), una delle più brevi presenti nella raccolta, che condensa in soli 4
versi la critica nei confronti di quelle persone che hanno ottenuto onore e
gloria ma peccano di stoltezza, mancando di sensum communem. In
questo caso Fedro è abile nell’utilizzare una volpe come protagonista e, di
conseguenza, far percepire al lettore la sua affermazione come una sentenza
pronunciata da qualcuno dotato di intelligenza e furbizia.
Allo stesso modo nella favola Lupus
et gruis (Liber 1,8) non è necessario che si
specifichi a chi sia affidato ciascun ruolo nella vicenda, perché è chiaro
fin dal primo istante che il lupo ricopra la figura del “malvagio” evocata
nel primo periodo introduttivo. Nella favola del Canis fidelis (Liber
1,23) si comprende come Fedro voglia attribuire all’animale in questione
una certa astuzia pratica, poiché si insospettisce di fronte alla
generosità improvvisa di un ladro che vuole ammansirlo con un pezzo di
pane. Risulta interessante riscontrare in altre occasioni la stessa
mentalità che caratterizza la figura del cane, come nella favola Canis
et Lupus (Liber 3,7) dove risalta il senso di praticità e
furbizia del cane che si assicura pasti per tutta la vita in cambio della
propria libertà, a differenza del lupo che compie una scelta più attinente
al piano morale.
In maniera molto simile, è possibile
constatare come le rane siano presenti in diverse favole sempre sotto la
veste di personaggi sciocchi e arroganti. Ne sono un esempio Rana rupta
et bos (Liber 1,24) in cui una rana finisce per scoppiare nel
tentativo di gonfiarsi fino ad assumere le dimensioni di un bue, e Ranae regem
petunt (Liber 1,2) in cui una comunità di rane che si lamenta
del re fannullone (in quanto essere inanimato, ovvero il pezzo di
legno mandato beffardamente da Giove come prima elargizione a
seguito della loro richiesta) si ritroverà come sovrano un terribile
serpente intenzionato a mangiarsele tutte.
Inoltre, inserendo un motto
riassuntivo e moraleggiante al
principio o sul finire di ogni favola, Fedro riesce a sintetizzare in modo
lapidario ed estremamente conciso il messaggio formativo che intende
comunicare.
Spesso sono presenti veri e propri suggerimenti
interpretativi, come si legge nella favola De vulpe et uva (Liber
4,3) “Chi sminuisce a parole quello che non è in grado di fare, dovrà
riferire a sé stesso questo esempio” o delle sentenze sulla natura
dell’uomo. Ne è un esempio il celebre ammonimento che suona “Per questo
motivo non possiamo vedere i nostri difetti, ma non appena gli altri
sbagliano, diventiamo censori”, presente nella favola intitolata De
vitiis hominum (Liber 4,10).
Nell’Appendix Perrottina, una
sezione di racconti di Fedro rinvenuti e riordinati dall’umanista Niccolò
Perrotti, è presente un caso esemplare di componimento lapidario. È
intitolato Nulla rimane a lungo nascosto ed è composto dal solo
periodo destinato all’educazione del lettore: “I vizi, se nascosti,
talvolta giovano all'uomo, ma col passare del tempo appare la verità”.
Possibile che la brevitas sia anche funzionale alla necessità, da
parte di Fedro, di non rendersi inviso alla corte imperiale, sospettosa nei
confronti di voci anche minimamente dissidenti già a partire dall’età
illuminata di Ottaviano Augusto, ma sempre meno disposta a concessioni con
i suoi successori Tiberio e Claudio: non articolando le sue critiche, ma
mettendo in scena il teatrino della sopraffazione animalesca, di rado
corretta da sporadiche rivincite dell’innocenza, Fedro denuncia con
leggerezza e protegge al contempo la sua posizione.
Un pizzicotto ai beati inconsapevoli (Filippo M.)
Per esprimere una chiave di lettura della favola [Il lupo magro e il
cane grasso] è necessario un breve riassunto. Un lupo magro incontra un
cane pasciuto e subito gli chiede come riesca a procurarsi una
quantità di cibo talmente abbondante da apparire così in
forma, e il cane risponde che difende una casa dai ladri e per questo
il padrone gli offre molto per saziarsi. Il lupo, incuriosito, segue il
cane verso la casa, e intanto nota una parte del suo collo spelacchiata,
sicché gli viene naturale domandargli cosa gli procuri simile danno. Con
noncuranza, l’animale risponde che di giorno rimane sempre alla
catena, perché il padrone non vuole che si stanchi, e che però questo
non conta niente in confronto a quello che ha in cambio. A quel punto il
lupo, inorridito dalla situazione di cattività che il suo simile subisce,
dice che rinuncerebbe a tutto, compreso cibo abbondante e facilmente
ottenuto, pur di avere la libertà.
La favola del cane e del lupo di Fedro può prestarsi a tante interpretazioni, che ben si
ricollegano alla società dell’epoca. Tuttavia è possibile fare
astrazione dal periodo, e cogliere
la scottante universalità dell'argomento
esistenziale proposto dall'antico poeta. Partendo dall’ottica che il
lupo rappresenti la posizione sociale di Fedro, gli si può associare la
caratteristica principale degli intellettuali, ovvero quella che sembra per
diversi motivi essere tipicamente associabile a questo ruolo.
L’intellettuale, per il suo vasto sapere (per via teorica, se non
anche pratica), conosce la brutalità della vita, e scopre gli inganni che
tengono intrappolato il resto delle persone che, per supportare il
ragionamento, deve essere immaginato composto da soggetti ignoranti. Questi
ultimi nella favola sono rappresentati dal cane, che invece, ovvero
rispetto agli intellettuali incarnati dal lupo, sembrerebbe essere più
sfortunato, perché vittima di trappole impossibili da notare da uno come
lui. Diciamo che però questo non è detto: il fatto di ignorare il
giogo da cui siamo tenuti non ci fa considerare la possibilità che si
potrebbe vivere senza, e questo non vuol dire che il cane abbia una vita
felice perché inconsapevole di quello di cui viene privato, ma di
sicuro i suoi dilemmi saranno di natura più semplice. Il lupo ha una
prospettiva più aperta, vive appartato, un po’ come tanti poeti del tempo,
oppure come alcuni degli intellettuali di cui ho appena scritto, ed è
consapevole che la sua condizione sia irreversibile, dal momento che è
impossibile imporsi di non sapere qualcosa che si è scoperto o
mentire riguardo a quella che nel fondo dell’animo si ritiene una certezza.
Potremmo dire che questa visione si avvicina molto a quella di Tonio Kroger
nel romanzo omonimo di Thomas Mann, il quale fa dire al suo
protagonista, un intellettuale e artista molto tormentato, che l’unica via
per stare al mondo per uno come lui è escludere i problemi esterni,
materiali, e liberarsi da tutto quello
che un uomo semplice (uno che non sia un intellettuale) riterrebbe un
problema da affrontare. Questo però non lo risparmia da una costante
frustrazione, derivante pur sempre dal confronto con quelli che, magari
meno dotati intellettualmente, mostrano di vivere immersi nel reale, ma
anche di divertirsi e di godere della vita materiale. Ritornando al
probabile caso che sia Fedro l’individuo che rappresenta il predatore
appassionato di libertà, secondo questa visione, il lupo che pone la
domanda riguardo al collare, potrebbe già conoscere la risposta, e
rapidamente dire la sua trasmettendo al cane lo sdegno verso la scelta
banale, dettata da pigrizia e contrassegno di mancanza di
personalità, che lo ha condotto a vivere così. Un po’ come se
Fedro, per un attimo, abbia qualcosa da dire a tutto quel gruppo di persone
che continua a farsi soggiogare dal potere rendendo impossibile raggiungere
la giustizia, senza però esprimere rimproveri troppo duri perché, magari
per fortuna, si tratta di persone che non sanno. Si tratterebbe,
allora di una specie di pizzicotto con cui spera di
svegliare qualcuno dal sonno.
PAURA DELLA LIBERTA’ (Ettore) La favola del Lupo magro e il
cane grasso, è stata scritta da Fedro (nato alla fine del I sec a.C.)
ed è la settima favola del terzo libro delle Fabulae, composte da
cinque libri.
In essa si racconta di un confronto tra un lupo e
un cane, da cui emergono due stili vita assai contrastanti tra
loro. Il primo animale, emaciato e consumato dalla fame, incontra un
cane che, al contrario, presenta un aspetto robusto e vivacità di
movimenti. A tale vista, il lupo, stupito dalla floridezza del cane
(che per natura gli è inferiore), gli chiede come abbia raggiunto una tale
forma. Il cane gli risponde che svolge una ridicola, minima, mansione
per il suo padrone, ovvero sorvegliare la casa di notte, e in cambio può
ricevere tutto il quantitativo di cibo che desidera. Il lupo è meravigliato
e non vedrebbe l’ora di unirsi al cane, se non fosse che, camminandogli
accanto, nota dei segni sul collo, dovuti alla presenza di una catena.
Il lupo apprende a quel punto che il cane, che gli è appena
parso bello grasso e felice, in realtà non gode della libertà e non
ha diritto di scelta sulle sue azioni, dato che il suo padrone può, quando
vuole, tenerlo alla catena. Il cane, significativamente, sminuisce la
questione dicendo al lupo che quei segni in realtà non sono nulla di grave,
ma l’animale selvatico gli risponde dicendo che non accetterebbe nemmeno di
essere re, se non potesse mantenere indenne la sua libertà, e nel contempo
decide di continuare a vivere procurandosi da solo il cibo.
Il cane, nella sua ignoranza e nell’assurda
accettazione di essa, non si accorge di essere un prigioniero e si
accontenta semplicemente di godere delle ingenti quantità di cibo che gli
offre il padrone. Al contrario di lui, il lupo è ben consapevole della sua
debilitazione e della precarietà in cui vive, ma la accetta e le
attribuisce un valore aggiunto, in quanto è appagato dalla sua libertà e di
sicuro non la baratterebbe con una condizione materialmente migliore ma
lesiva di quella.
È evidente che le aspettative esistenziali qui
esemplificate sono differenti: da un lato vi è il cane, che ricerca
l’agiatezza e la sicurezza (datagli dal padrone), e dall’altro vi è il
lupo, che ritiene sia necessaria la libertà assoluta al conseguimento di
una vera vita. Il principio del lupo è chiaro e imprescindibile, mentre il
cane lo trascura e anzi, accetta la sua subordinazione ad un esterno,
rifiutando, di fatto (o meglio, dal punto di vista del lupo), di
vivere. Se dovessimo seguire la strada che posso
provvisoriamente definire secondo natura, non potremmo assolutamente
seguire il cane, in quanto esso di per sé appartiene ad una famiglia
animale (quella del lupo) che coi secoli si è addomesticato,
arrivando a convivere con l’uomo e rinunciando e mettendo da parte (anche
se così gli attribuisco una volontà che non ha a che vedere con l’evento in
questione), gli istinti primitivi e selvaggi. Il lupo invece rappresenta
perfettamente il prototipo di questa purezza originaria, per così dire, in
quanto rifiuta i benefici che l’uomo potrebbe dargli, e sceglie invece di
affrontare una vita nell’incertezza e nel rischio, zeppa di
difficoltà e necessità, ma pur sempre libera. Il cane sceglie la comodità,
il lusso, la garanzia di essere ben nutrito per tutta la vita, e non si
accorge (o forse sì, ma fa finta di non vederlo) di essere imprigionato,
incatenato al giogo umano. Tuttavia, se ci collochiamo nella prospettiva di
vita adattata e addomesticata del cane, non ci sono contraddizioni di sorta
nel suo comportamento: lo scotto da pagare per il fatto di essere mantenuto
dall’uomo è perdere la libertà. Possibile che, non avendo conosciuto
alternative (nel caso specifico, la vita nella foresta, la vita da lupo) il
cane non sia nemmeno in grado di cogliere che cosa gli venga sottratto.
Difficile, anzi, inutile quindi stabilire quale dei due adotti
lo stile di vita più favorevole al conseguimento di felicità, poiché da un
lato il cane ha molteplici privilegi ma è privato di libertà, e dall’altro
il lupo beneficia di indipendenza ma non gioisce degli stessi vantaggi del
cane. Provando ad adattare la favola all’attualità, viene in mente
un’analogia: il cane è alle prese, quanto all’organizzazione padronale
brevemente delineata da Fedro, con un sistema vagamente simile a quello cui
il capitalismo sottopone una parte cospicua delle sue vittime fondamentali:
mi riferisco ai consumatori, ovvero la maggioranza dei cittadini del mondo,
che pur di soddisfare bisogni che (a differenza di quelli del cane) non di
rado sono ben lungi dall’essere quelli basilari dal momento che sono stati
invece indotti dal medesimo sistema in questione, accettano gioghi anche
più pesanti della catena che spelacchia il collo dell’animale un tempo
libero e selvaggio. Mi è però difficile, in questo momento, capire chi,
nella contemporaneità, interpreti la parte nobile del lupo disposto a
essere estromesso dal sistema pur di detenere la sua libertà...
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