A PROPOSITO DEL DOCUMENTARIO LES GLANEURS ET LA GLANEUSE: LA MIA RIFLESSIONE

Un film, come un romanzo, una poesia, un quadro, contiene in sé l'offerta di un punto di vista differente dal nostro. Anche quando diciamo di rispecchiarci interamente in uno sguardo artistico, c'è sempre qualche differenza, per quanto impercettibile, che rende l'accostamento all'arte un'avventura permanente. A maggior ragione ciò si verifica quando un punto di vista è del tutto inedito, ossia quando un film, un romanzo, una poesia, un quadro  o rappresentano  qualcosa che non conoscevamo del tutto o ci fanno vedere in modo totalmente diverso qualcosa che avevamo guardato  mille volte, ma mai davvero.

Il film di Agnès Varda  può servire, per cominciare, a farci riflettere su quanta differenza corra fra vedere davvero e soltanto guardare.

Ti guardo, ma non ti vedo. Perché per vedere bisogna avvicinarsi, non solo fisicamente, ma anche con l'occhio interiore, al cui acume compartecipano la mente e il cuore, oppure l'anima, se preferite.  

La mano rugosa, la testa di capelli che s'imbiancano. Pelle di dinosauro, peli che si diradano e scoloriscono. Orrore o bellezza? Bellezza dell'orrore, forse, ma possiamo anche arrenderci alla visione e restare senza parole.

Le macchie di muffa sulla parete come quadri di artisti concettuali. Tergicristalli come segni da interpretare, confini, limiti, espressioni linguistiche. I totem di bambole sfigurate, la nuova vita dei frigoriferi. E poi, vista sconcertante per chi è abituato alle immagini laccate di tavole imbandite con stoviglie scintillanti  e tovaglie di fiandra, la festa del cibo raccolto per terra e nei cassonetti, ali e cosce di pollo cucinate in abbondanza per regalarle agli amici, con un caloroso e soddisfatto sorriso. Case che sono caverne delle meraviglie, piene di oggetti che vogliono vivere ancora. 

Una sfida al nostro modo di pensare sempre improntato alla netta separazione: noi e loro. I fortunati che guardano (non di rado senza vederli) gli sfortunati. Che non si sentono affatto tali. 

Storie di vita raccontate senza pregiudizi né volontà di orientare il nostro giudizio. Non c'è patetismo in questa rappresentazione, ma  educazione dello sguardo, perché diventi vista interiore e esterna. 

Non emergiamo dalla visione col desiderio di cambiare il mondo, che è quasi sempre molto velleitario e presuntuoso, ma un po' cambiati noi. 

No, non diventermo l'uomo con gli stivali o il laureato in biologia che si alimenta in modo equilibrato come un cultore della fitness sponsorizzato dai social, ma raccogliendo il cibo da terra,  e di sera insegna da volontario la lingua francese agli stranieri. 

Non andremo a spigolare nei campi insieme ai rom e non rimesteremo in un cassonetto alla sera girando per la città in bicicletta. 

Però sapremo che alcune parole hanno diversi significati a seconda di chi le usa. Che nessuno è una volta per tutte fatto come decidono altri che sia e qualche volta nemmeno come lui ha deciso di essere ua volta. 

La vita è movimento e trasformazione permanenti. La vita è metamorfosi. Essere consapevoli di questo, rende più ricco lo sguardo, per cominciare, poi più profondo il pensiero. 

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