SCHEDE PROVVIDENZA e COMICITA'
Scheda provvidenza (Sara)
La provvidenza è il senso del disegno complessivo che Dio ha in mente per tutti gli esseri umani; tutto ha un senso, anche il dolore e le sofferenze dei singoli, come quelle degli innocenti Renzo e Lucia.
Manzoni, nelle varie stesure del romanzo, si è posto il problema di lasciare o meno all’interno della narrazione dei Promessi Sposi alcune digressioni, come la storia della Monaca di Monza. Questo racconto, contenente ogni dettaglio riguardante la relazione tra Egidio e Gertrude e l’uccisione della conversa, viene rimosso, poiché Manzoni, attraverso il romanzo, intende essere persuasivo rispetto ai principi fondanti della religione cristiana, rendendo il romanzo educativo e non distraendo il lettore dal punto focale: il messaggio cristiano e la provvidenza. La storia della monaca sarebbe potuta diventare una divagazione, nociva dal punto di vista educativo, dalla storia provvidenziale, in quanto la forza comunicativa consiste nel trasmettere l’idea di Dio che porta sempre a realizzazione il bene di tutti.
Una metafora per capire il concetto di provvidenza in chiave cristiana è quella dell’arazzo, che contiene un disegno preciso e completo in cui ognuno ha la sua parte; rappresenta il punto di vista di Dio su com’è stato, com’era e come sarà il mondo. Dio vede l’arazzo nella sua interezza, dal diritto, mentre gli uomini, che riescono a guardare solo il retro, vedono una figura senza senso, un groviglio che corrisponde al dolore immeritato delle persone, ad esempio di Lucia che, non potendosi sposare, è costretta a lasciare il suo paesello. È perciò necessario fidarsi del fatto che tutto abbia un senso e che sul davanti dell’arazzo ci sia un disegno, un bellissimo fiore. Ai cristiani è richiesto di credere che vi sia un arazzo nella mente di Dio: Manzoni, attraverso il romanzo, cerca di convincere i suoi lettori che la provvidenza esiste, anche se lui stesso, forse, non è del tutto convinto. Per evitare distrazioni, crea uno stato di concentrazione, che non comporti perdersi in vicende come quella della monaca di Monza, attraente dal punto di vista romanzesco ma appunto non conforme con l’intento educativo.
Nel capitolo XVIII, nel quale la caratteristica di romanzo di formazione si palesa in modo evidente, Renzo compie importanti scoperte su sé stesso e su come va il mondo, cioè l’andamento delle vicende umane, ed è da qui che proviene uno dei più interessanti riferimenti alla provvidenza. “Nell'uscire, vide… e riprese la sua strada”: è in corso il cammino di Renzo verso il fiume Adda, che segna il confine di una sua svolta interiore; in questo viaggio compie diverse esperienze, tra cui quella della povertà assoluta. La scena evocata nella citazione ha un impatto molto forte su Renzo, che decide di donare ad una famiglia prossima alla morte i suoi ultimi soldi. Egli compie questo atto generoso poiché pensare che dal bene nasca altro bene fa parte del suo retaggio ideologico religioso. Inoltre la provvidenza a volte agisce in maniera azzardata, e in questo caso utilizza come mezzo di sollievo per quella famiglia una persona: Renzo. Egli, per un attimo, diventa uno strumento di questa entità, perciò si sente un salvatore; possiede quella generosità che non gli fa fare nessun calcolo, nonostante sia sull’orlo della povertà assoluta. Renzo, dal canto suo, inizia a pensare che la provvidenza esista poiché lui stesso la incarna per quella famiglia, arrivando quindi alla conclusione che qualcuno potrebbe diventare la sua provvidenza. Il significato di “La c’è la provvidenza” è quindi “Io sto facendo la parte della Provvidenza”. In questo passaggio vi sono delle informazioni storiche che rappresentano un sottofondo nella scena: la carestia, il mal governo degli spagnoli che non riescono a tenere sotto controllo la situazione nei territori periferici e le malattie come la peste.
Nel capitolo VI si legge: “Ecco un filo... neppure di cercarlo”. SI tratta del momento in cui fra’ Cristoforo, appena uscito dalla sala in cui ha discusso con Don Rodrigo, incontra un vecchio servitore del signorotto che, confessandogli di origliare molte conversazioni del suo padrone, decide di raccontare al curato che cosa ha sentito. Fra Cristoforo rimane molto colpito dal grande aiuto che gli fornisce il vecchio servitore. In questo passaggio Manzoni inserisce un dato riconducibile al modo di agire della Provvidenza. Essa sfugge ad una comprensione razionale, poiché l’idea che il palazzotto di don Rodrigo sia l’ultimo posto dove trovare aiuto è sbagliata. Ciò è riconducibile alla metafora dell’arazzo. Fra Cristoforo è colpito da questa contraddizione, poiché, per lui, è strano che nella tana del lupo ci sia uno disposto ad aiutarlo concretamente. Il vecchio servitore è uno strumento della provvidenza, nonostante abbia sbagliato ad origliare e a riferire il tutto a fra' Cristoforo; la Provvidenza può anche non stare alle norme se la conseguenza è la salvezza di qualcuno.
Nel capitolo XIV, dove si legge “Al pane…. Ecco il pane della provvidenza!”, l’Autore sta delineando un contesto di degradazione morale in cui si trova Renzo nell’osteria della Luna piena. Egli infatti, da quando arriva a Milano e fino all’arrivo nel bergamasco, vive delle esperienze che incidono su di lui prima nel male e poi nel bene; appena viene lasciato solo e senza conforto a Milano, piomba in una specie di inferno, ma, con il passaggio all’episodio della fuga e del cammino verso il fiume Adda, avviene una sorta di rinascita. La Provvidenza è una forza che agisce per vie imperscrutabili attraverso persone diverse, ma in questo contesto, citata con la p minuscola, è associata ad un pane che è stato rubato. Questo è un ambiente degradato sul piano morale, quindi può succedere che un pane, frutto di una violenza, si trasformi nel pane della provvidenza. Quest’ultima, in questa situazione, si presenta in un modo totalmente diverso dal solito.
Nel capitolo XVI, “È una provvidenza, vedete; era una cosa necessaria”, siamo a Gorgonzola, Renzo è scappato da Milano ed entra in una locanda per rifocillarsi: all’interno vi sono molte persone coscienti di ciò che sta avvenendo e aspettano notizie da un mercante sui fatti accaduti quel giorno. In questo caso la Provvidenza, evocata dal mercante, viene vista come un corrispettivo di una giustizia vendicativa. Egli fa parte della categoria dei cosiddetti galantuomini che, sentendosi persone per bene, giudicano gli avvenimenti in base a questa autoproclamazione (tutta da provare, naturalmente), e per questo motivo la parola Provvidenza assume un significato del tutto appiattito sul piano della pura giustizia vendicativa. Il mercante, nel suo discorso, definisce le persone che si sono ribellate per il pane dei delinquenti, assetati di sangue, che saranno puniti dalla Provvidenza e giudica negativamente gli episodi avvenuti a Milano poiché una situazione di disordine sociale danneggerebbe i suoi commerci. Il movente delle sue parole è quindi del tutto egoistico e utilitaristico, e il concetto di provvidenza, sulle sue labbra, si svilisce molto.
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SCHEDA PROVVIDENZA (Virginia)
Capita spesso di sentir definire i Promessi sposi il romanzo della Provvidenza. Manzoni, prima di pubblicare la quarantana, ossia l'edizione del 1840 che leggiamo oggi, è passato attraverso diverse riedizioni, effettuando tagli consistenti, come quelli che, apportati al Fermo e Lucia, hanno prodotto l'eliminazione della storia dell’omicidio della conversa, lasciandone solo una traccia, in quanto quella originale poteva distrarre dal fil rouge della Provvidenza che attraversa tutta la narrazione.
Manzoni ritiene occorra pensare che tutto ciò che accade, sia male o bene, avvenga per il meglio: a tal fine è necessario fare affidamento nella Provvidenza. L’intento di Manzoni si può facilmente comprendere attraverso la metafora dell’arazzo. Come se davanti agli occhi di Dio ci fosse un grande arazzo, con ricamato il disegno dell’umanità. Di questo arazzo però gli uomini vedono solo il rovescio, che appare ai loro occhi come un grande groviglio privo di senso. L’unica cosa che gli esseri umani possono fare è quella di affidarsi alla Provvidenza, e di credere che dietro il rovescio dell’arazzo ci sia una tela in cui tutti i mali e i beni si uniscono a dare un senso a tutte le esperienze degli umani.
Nell’arazzo di Dio, le sofferenze delle persone innocenti, come Renzo e Lucia, hanno un senso nel disegno complessivo e quindi bisogna accettarle. Manzoni, mentre cerca di convincere gli altri che la Provvidenza esista, cerca anche di convincere sé stesso, e proprio per questo motivo non lascia nel romanzo parti che possano distrarre da questo obiettivo. L’autore si interroga dunque sulla Fede e sulla Provvidenza e, non trovando la risposta, crea il personaggio di Lucia, così naturaliter chistiana, come probabilmente nemmeno lui è. Naturalmente si tratta di un’interpretazione, non di una verità assoluta, ma certo il testo può essere analizzato alla luce di essa.
I Promessi Sposi viene definito talvolta anche un romanzo polifonico, cioè narrato a più voci, ed è proprio sul tema della Provvidenza che la polifonia si manifesta in modo accentuato. Sembra che Manzoni non abbia voluto dare una definizione precisa della Provvidenza una volta per tutte, ma piuttosto suscitare il dilemma di cosa essa effettivamente sia e di come operi. La polifonia si manifesta per via di una proposta problematica del tema della Provvidenza, per trattare il quale vengono sfruttati tutti i personaggi, nonché il narratore onnisciente, e ognuno di essi esprime la sua idea attraverso la propria sensibilità.
L’intento dell’autore si palesa attraverso le citazioni riguardanti la Provvidenza che possiamo trovare nei diversi capitoli del libro.
Nel XVII capitolo, Renzo, che è un personaggio dinamico e in continua evoluzione, nel suo viaggio verso l’Adda, fiume che segna la sua svolta interiore, vive delle esperienze, e tra queste anche quella della povertà assoluta. In questo capitolo, nel riquadro descrittivo della scena di povertà, l’autore fa leva sulla sensibilità di Renzo e del lettore. Il giovane, nonostante anche lui sia povero, si toglie di tasca gli ultimi soldi che gli rimangono per aiutare chi sta evidentemente peggio. Renzo esclama La c’è la Provvidenza!, come per dire “La Provvidenza sono io!”, perché in quel momento diventa strumento della Provvidenza. Manzoni ha voluto tratteggiare in lui l’identificazione, per un attimo, in un salvatore. In quell’occasione inoltre anche Renzo, proprio in quanto compie il gesto di generosità, si convince che la Provvidenza esista e che qualcuno possa fare un miracolo per aiutare qualcun altro, esattamente come lui.
“Ecco un filo, – pensava, – un filo che la provvidenza mi mette nelle mani. E in quella casa medesima! E senza ch’io sognassi neppure di cercarlo!” Attraverso questa citazione, che risale al capitolo VI ed è un pensiero in cui fra’ Cristoforo manifesta il suo stupore nel trovare qualcuno che sia disposto ad aiutare proprio nel palazzotto di don Rodrigo, possiamo definire la Provvidenza come un’entità che nel manifestarsi non passa attraverso le vie della razionalità umana, e per questo è in grado di spiazzare anche coloro che sono provvisti di grande intelligenza. Con questa citazione possiamo aggiungere un altro importante tassello al nostro mosaico della Provvidenza. Il vecchio servitore che aiuta fra’ Cristoforo, origliando la conversazione, fa una cosa scorretta: lo stesso Manzoni nel passaggio seguente si interroga se quel gesto sia stato lecito o meno. Ma la Provvidenza talvolta, nel suo manifestarsi, comporta delle trasgressioni che il sentire comune trova deprecabili. La Provvidenza può ben sfruttare le eccezioni alle regole del bene se il fine ultimo è quello di aiutare qualcuno.
Nel capitolo XIV Renzo si trova all’osteria dopo essersi avvicinato al tumulto, e durante un discorso ai presenti esclama Al pane, ci ha pensato la provvidenza! Renzo è un personaggio evolutivo, che nel corso del romanzo cambia, apprende, plasma il suo carattere. L’osteria è un ambiente di degradazione morale, e Renzo stesso in quel luogo subirà, per cominciare, la sua degradazione. La Provvidenza viene quindi citata, nell'occasione riportata, in un ambiente degradato, e il pane di cui sta parlando Renzo è un pane rubato, illecito, segno di violenza. Non a caso Manzoni la cita con la p minuscola; in questo episodio, insomma, subisce anch'essa una degradazione che deriva dall’ambiente e non ha niente a che vedere con la categoria di Provvidenza citata nell’episodio dell’elemosina.
La gente? anderà a vedere, – disse il mercante. – Avevan tanta voglia di veder morire un cristiano all'aria aperta, che volevano, birboni! far la festa al signor vicario di provvisione. In vece sua, avranno quattro tristi, serviti con tutte le formalità, accompagnati da' cappuccini, e da' confratelli della buona morte; e gente che se l'è meritato. È una provvidenza, vedete; era una cosa necessaria. Cominciavan già a prender il vizio d'entrar nelle botteghe, e di servirsi, senza metter mano alla borsa; se li lasciavan fare, dopo il pane sarebbero venuti al vino, e così di mano in mano... Pensate se coloro volevano smettere, di loro spontanea volontà, una usanza così comoda. E vi so dir io che, per un galantuomo che ha bottega aperta, era un pensier poco allegro. In questo passaggio, dal capitolo XVI, è un mercante, che appartiene alla categoria di coloro che si definiscono galantuomini da soli (e se davvero fossero tali il mondo sarebbe un posto magnifico). L’uomo si definisce una persona per bene e attraverso questo filtro giudica gli avvenimenti, assumendo la parola Provvidenza con un significato completamente appiattito su un piano di giustizia vendicativa. Infatti le motivazioni per le quali il mercante afferma cha i “delinquenti” verranno puniti dalla Provvidenza sono altre rispetto a una tendenza a delinquere di un certo numero di persone. L’uomo in realtà, a causa del disordine che regna in città non può compiere i suoi consueti spostamenti per vendere le merci.
La provvidenza può diventare sinonimo di giustizia sulla bocca di chi si considera un galantuomo, quindi nel parlarne dobbiamo considerare la rete di interessi del soggetto. Il gesto di Renzo, rispetto al discorso della provvidenza come giustizia, suona come un gesto che ispira generosità.
Con il mercante e Renzo abbiamo due estremi. Quella di Renzo è una generosità irrazionale, un uomo sull’orlo della povertà che compie un gesto per aiutare chi sta peggio di lui. È il volto della Provvidenza: irrazionale, imperscrutabile, un’entità che azzarda e talvolta infrange le regole.
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SCHEDA PROVVIDENZA (Lorenzo)
L’educazione di Manzoni era stata inizialmente affidata al padre e poi condotta in collegi religiosi, nei quali il giovane Alessandro aveva maturato una certa insofferenza verso quello che gli era parso il formalismo estremo dei suoi educatori. Nel periodo trascorso assieme alla madre a Parigi, invece, egli cambia profondamente la sua disposizione nei confronti della religione. Se in precedenza aveva sperimentato solo rigidità unita a ipocrisia, a Parigi, anche attraverso il confronto con una guida spirituale giansenista, aveva riscoperto e rivalutato la fede cattolica, tanto da convertirsi ad essa.
Una volta fatto ritorno a Milano comincia a scrivere la prima edizione del suo unico romanzo, intitolata Fermo e Lucia, con l’intento principale di educare. La prima redazione risulta completamente differente da quella che siamo abituati a leggere oggi, persino nel titolo. Questo perché Manzoni, guidato dalla sua eterna insoddisfazione, ha apportato ingenti modificazioni alla versione iniziale, arrivando a riscriverlo addirittura quattro volte. Le revisioni sono state di tipo stilistico, con operazioni quali l’inserimento di illustrazioni e la cosiddetta risciacquatura dei panni in Arno, finalizzata a trasformare la lingua ricca di lombardismi nel fiorentino colto.
Tuttavia sono state numerose anche le modifiche riguardanti il contenuto, con l’eliminazione di alcune digressioni storiche o romanzesche, ma anche di alcune porzioni della narrazione.
L’esempio più significativo, adatto anche a definire l’obiettivo che ha guidato Manzoni a rivedere così profondamente il romanzo, è sicuramente l’eliminazione di un’ampia porzione riguardante la vita della monaca di Monza, comprendente la relazione con Egidio e l’uccisione della conversa, eventi appena accennati nei Promessi sposi. Queste sezioni, contenenti alcuni episodi decisamente scioccanti, sarebbero infatti risultate distraenti dall’intento dell’autore, quello di educare. E proprio dal fatto che, per Manzoni, l’unica strada che possa condurre all’educazione sia quella della religione cristiana cattolica, deriva la denominazione con cui molti hanno etichettato il romanzo: romanzo della Provvidenza.
Il tema della Provvidenza, infatti, è sicuramente uno di quelli portanti nel romanzo, ma non è corretto circoscrivere l’intero senso della narrazione in questi termini. Certo, l’intento dell’autore nell’essere persuasivo rispetto ai principi fondanti della religione cristiana svolge un ruolo fondamentale, ma non è questa l’unica direzione in cui Manzoni ha convogliato tutte le sue energie creative. Il romanzo è ricco di analisi psicologiche e situazioni interessanti e non è solo la Provvidenza ad agire, sono rilevanti (e si possono cogliere) anche tutti i tormenti dell’autore.
Il concetto della Provvidenza, come molte altre tematiche, viene trattato in una modalità che il critico Raimondi ha definito polifonica, a più voci. Per comprendere le motivazioni analitiche che hanno spinto a questa definizione è sufficiente ricercare nel testo le ricorrenze del termine provvidenza, che talvolta appare con una “p” minuscola, ed in altre con una “P” maiuscola. Proprio a partire da questa differenziazione, apparentemente di scarsa rilevanza, è possibile intuire che non in tutti i casi i significati che la parola implica nelle diverse occasioni narrative sono identici.
Ne è un esempio un episodio nel capitolo XVII, fase della narrazione in cui si palesa la caratteristica di romanzo di formazione, coincidente con un percorso di crescita morale di Renzo, che fa delle scoperte su se stesso e sull’andamento di vicende umane che comportino, per esempio, la povertà assoluta. In concomitanza con l’attraversamento dell’Adda, infatti, effettua il superamento di un limite interiore, compie una svolta che coincide con un atto di estrema generosità. Il promesso sposo ha infatti appena finito di mangiare e gli è rimasta una scarsa quantità di denaro. All’uscita dal locale si imbatte in due donne, un uomo e un bambino che, dopo aver succhiata invano l'una e l'altra mammella, piangeva, piangeva; tutti del color della morte. Appena questi si rivolgono a Renzo chiedendo l’elemosina, questi esclama la c’è la Provvidenza! [esiste la provvidenza!] E senza rifletterci troppo si svuota le tasche di que' pochi soldi. Ed anche se è vero che da bene nasce bene, sarebbe riduttivo, un appiattimento del significato, dire che Renzo agisca così in un’ottica utilitarista. Egli, piuttosto, come possiamo dedurre dalla descrizione successiva dell’autore, rappresenta per quella famiglia la Provvidenza, funge da strumento di quest’ultima e si mette al suo servizio. Ecco che si rivela un lato caratteristico della Provvidenza, vista come un’entità capace di agire in maniera azzardata, audace e attraverso i mezzi più inaspettati. Renzo, infatti, pur essendo a corto di soldi aiuta la famiglia in difficoltà, probabilmente salvandola da tristi conseguenze, almeno nell'immediato. Inoltre, la buona azione produce un innalzamento del tenore del suo pensiero, si sente un salvatore e percepisce la presenza della Provvidenza. Riacquista così la consapevolezza di non essere solo nel suo viaggio, e scaccia i turbamenti che lo infastidiscono e potrebbero addirittura bloccarlo nel suo cammino che è, anche, di rinnovamento interiore. La Provvidenza si dimostra in questo caso come avvolta da un’aura di nobiltà e riesce addirittura ad attuare due miracoli.
Un’altra sfaccettatura dell’idea di Provvidenza manzoniana è rintracciabile nel VI capitolo, in una situazione appena successiva all’incontro che oppone fra’ Cristoforo a don Rodrigo. Il confronto non ha avuto l’esito sperato dal frate, ma non tutte le speranze sembrano perse, poiché nell’atto di andarsene si è imbattuto in un anziano servitore del signorotto che si è detto disposto a rivelare i piani malvagi di don Rodrigo.
Fra’ Cristoforo, che mai si sarebbe aspettato di trovare aiuto nella casa del nemico esclama: “Ecco un filo, un filo che la provvidenza mi mette nelle mani. E in quella casa medesima! E senza ch'io sognassi neppure di cercarlo!” Si manifesta così un agire della provvidenza inaspettato, che procede per vie che non sono quelle della ragione. Questa contraddizione colpisce fra’ Cristoforo che, pur essendo un uomo molto intelligente, non si sarebbe mai prefigurato una simile occasione. L’anziano servitore funge da strumento della provvidenza, anche se il suo agire non è totalmente rispettoso delle regole, in quanto origlia la discussione tra il frate ed il padrone.
Altri episodi, invece, vedono il medesimo concetto privato della sua nobiltà, in un certo senso abbassato. Accade ad esempio nel capitolo XIV, quando Renzo si trova all’osteria della Luna Piena ed esclama: “Ecco il pane della provvidenza!”. La provvidenza abbinata ad un pane rubato, trattata con la p minuscola. Renzo è un bravo ragazzo, il suo intento non era sicuramente quello di commettere un furto, ma tratta il concetto come qualcosa di terreno, un servizio che ha risolto il suo problema, la fame. Non è come nel caso dell’anziano servitore che contravviene alle regole per raggiungere la salvezza altrui.
Una simile visione si può ricavare dal capitolo XVII, quando Renzo sta cenando in un’osteria di Gorgonzola. Giunge sul luogo un cliente abituale del locale, un mercante proveniente da Milano, pronto a raccontare le vicende dei tumulti ai curiosi commensali. Questi però, essendo uno di quei soggetti che si autodefinisce galantuomo, offre una prospettiva filtrata dalla sua posizione. In qualità di mercante, i tumulti risultano dannosi per il suo lavoro, che necessita di avere strade libere e venditori che possano acquistare le merci. Così ritiene che l’arrivo della provvidenza si sia verificato in concomitanza con l’intervento della giustizia sopraggiunta a sedare i tumulti e a punire i responsabili diretti dei medesimi, che egli stesso critica come tutti delinquenti. Sicuramente non si può affermare che i suoi ragionamenti siano corretti, e non si può abbinare un concetto nobile come quello della provvidenza a quello della giustizia terrena che si serve tra l’altro della violenza e non si possono identificare tutti i manifestanti come delinquenti solo perché rendono difficile il suo lavoro.
Il concetto di Provvidenza potrebbe essere riassunto per mezzo di un’efficace metafora, che vede coinvolto un arazzo, rappresentazione della distanza che s’interpone fra Dio e esseri umani. L’arazzo, infatti, si troverebbe nelle mani di Dio, e rappresenterebbe l’interezza delle vite umane, un disegno preciso e completo dell’umanità. Agli uomini, tuttavia, sarebbe disponibile esclusivamente la vista del retro di quest’arazzo che, ad una prima osservazione, apparirebbe privo di senso ed aggrovigliato, sortendo un senso di spaesamento, proprio come accade quando ci si trova inspiegabilmente vittime di una sofferenza immeritata. Se si riesce però a guardare oltre, ci si accorge che il fronte dell’arazzo ha la forma di un bellissimo fiore.
Questo ovviamente non significa che Dio possieda veramente un tale arazzo, ma vuole rappresentare quello che chiede la religione cristiana ai suoi fedeli: di credere che ci sia un arazzo di cui essi vedono solo il retro e che nel disegno complessivo la loro sofferenza abbia un senso.
È questo quindi l’obiettivo di Manzoni, portare il lettore, e forse anche se stesso, a credere nella Provvidenza e pensare che la sofferenza di persone come Lucia abbia un senso. Proprio in quest’ultimo personaggio, che ama particolarmente, ha infatti incarnato lo spirito di un’anima naturaliter christiana, disposta per natura ad affidarsi alla Provvidenza.
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La comicità di Perpetua e don Abbondio (Lorenzo)
Nell’ampio catalogo di generi narrativi che vengono praticati nel romanzo di Manzoni, si può certamente annoverare quello psicologico, vista la grande attenzione che l’autore riserva al pensiero e al carattere dei personaggi.
Ne è sicuramente un esempio la comicità, che volge all'umorismo (secondo la lezione di PIrandello) con cui Manzoni ha dipinto i personaggi di Perpetua e, soprattutto, don Abbondio, rintracciabile in maniera eclatante in un episodio contenuto all’interno del II capitolo, in un momento successivo all’incontro fra Renzo e il curato. Il promesso sposo è infatti venuto a conoscenza del nome di don Rodrigo dopo aver appreso da Perpetua che qualcuno cerca di ostacolare il suo matrimonio, e non ci sono di mezzo solo le procedure legali evocate da don Abbondio.
Appena il giovane lascia la casa del curato, quest’ultimo rimane in preda al panico e le sue caratteristiche più buffe vengono messe in evidenza dall’autore. L’immagine che appare al lettore è quella di un don Abbondio che respira affannosamente, forse un po’ trasandato, disorientato e percorso da brividi di tensione. Abbondio si siede sul suo seggiolone, probabilmente un’alta sedia con i braccioli, che però viene comicamente denominata come le sedie che utilizzano i bambini piccoli per mangiare.
Comincia così a chiamare la fidata domestica con voce tremebonda, ed è l’ingresso nella stanza di quest’ultima ad eliminare ogni dubbio sulla comicità della scena. Questa si presenta con un grosso cavolo sotto il braccio, completamente in contrasto con la situazione di tensione che si respirava guardando il curato. Si scatena allora un lungo e animato confronto tra i due, con il curato che accusa Perpetua di aver detto troppo a Renzo e la domestica che s'ingegna con protervia di difendersi. Tutti e due sono perfettamente consapevoli della corretta versione dei fatti, ma continuano a litigare suscitando, per cominciare, ilarità nel lettore.
Addirittura il curato, per paura delle minacce che aveva ricevuto dai bravi, si rifugia in casa e ordina a Perpetua di sbarrare la porta e comunicare a tutti i visitatori che il curato è ammalato.
Ultimo dettaglio curioso è quello riguardante la camminata del curato fino alla propria camera. Egli infatti ogni tre scalini pronuncia la frase son servito, come ad affermare che la frittata sia ormai fatta.
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