LETTURA CRITICA DI BARTLEBY E GUIDA ALLA DISCUSSIONE IN CLASSE DI CELINE
H. Melville, Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street
Ho riletto un certo numero di volte questo racconto di Melville e non ho mai smesso di pensare che possa esserci un nesso fra la brevissima storia dello scrivano e la monumentale narrazione della caccia fatale intentata dal capitano Achab alla balena bianca attraverso le acque pressappoco infinite dell'Oceano. Rintracciarlo richiede una compiuta conoscenza di entrambe le creazioni, sicché al momento dobbiamo farne astrazione e solo alla fine mi limiterò a un fugace cenno a quella che mi pare possa essere non esattamente una risposta relativa al nesso in questione, ma l'inizio di un'ulteriore analisi.
Partirò dal prendere in esame il narratore interno: un avvocato che ha un ufficio in Wall Street, tuttora cuore della finanza internazionale insieme alla City londinese. Nella vita la via più facile è la migliore suona il motto con cui si presenta al lettore, proponendola come massima esistenziale che lo ha guidato a scegliere una sorta di quieta mediocrità. Avvocato senza ambizioni, sufficientemente cauto e fidato per essere considerato adatto a svolgere quell'assistenza di confine (fra legale e illegale) che è il patronato degli uomini d'affari, e poi per svolgere l'incarico di Giudice dell'Alta Corte di Equità, deputata a risolvere questioni ereditarie, abolita negli anni quaranta dell'Ottocento anche per via della proverbiale lungaggine delle sue procedure. Quello che si presenta quindi come biografo ufficiale di un rappresentante dell'ignorata (fino a quel momento, si legge a inizio racconto) categoria degli scrivani è un uomo di poche qualità, ch'egli stesso si premura di definire: si dice infatti metodico e prudente. In armonia con questo profilo psicologico è sicuramente il suo ufficio, al quale dedica una descrizione accurata: a un primo piano di Wall Street, chiuso fra casamenti molto alti, gode di una non vista su un cortile che, considerata la posizione al primo piano, è assimilabile al fondo di una cisterna quadrata. Il dettaglio, per la sua ripercussione sulla personalità del protagonista Bartleby, risulterà non trascurabile.
Il narratore interno pertanto dev'essere il punto di partenza di un'analisi che si proponga di capire qualcosa di più sul senso della storia, escludendo che Melville intendesse concentrare l'attenzione su un soggetto anomalo e patologico, un'eccentricità nel sistema fine a stessa, per così dire. Per questa ragione occorre completare la ricostruzione del contesto, che è composto anche da tre collaboratori, identificati con altrettanti nomignoli: Tacchino, Pince-nez e Zenzero. Più che persone, come preannuncia il fatto che si identifichino reciprocamente con soprannomi che riconducono a animali o cose, sembrano essere oggetti di scena, precisamente la scena sulla quale si muovono i due personaggi principali, ovvero quella Wall Street in cui si ambienta la storia, evocata attraverso tre luoghi fisici: il primo ufficio, il secondo ufficio (quello in cui il narratore trasloca) e il carcere di New York, denominato col nome sinistro di Le Tombe, un edificio in stile neo egizio nel quale si conclude il dramma di Bartleby.
Ora abbiamo a disposizione alcuni elementi per procedere con l'analisi. L'ambiente, comprensivo di luoghi e personaggi, e il sistema delle relazioni. Centrale quella che si stabilisce fra il narratore, l'avvocato con poche qualità, e il suo nuovo scrivano, Bartleby naturalmente, assunto per sopperire alle accresciute mansioni dello studio. Se il narratore è un uomo di poche qualità, il suo nuovo scrivano ne possiede un'unica: quella di trascrivere instancabilmente documenti. Macchina anche lui, personificazione della funzione scrittoria, efficiente, utile come richiede la sua stessa qualifica. Scrivano. Uno che scrive, o meglio, trascrive, senza inventare nulla, quello che altri hanno scritto. Il racconto ci pone quindi di fronte, attraverso una serie di dettagli (ne cito uno, come esempio: il paravento con cui il narratore isola dalla propria vista lo scrivano, per poterlo avere a portata di voce senza doverlo vedere continuamente), alla reificazione di un essere umano, la sua trasformazione in cosa, che sarà l'evento di cui si occuperà fra gli altri Marx, nel suo studio dei meccanismi fondativi della società capitalista nel secondo Ottocento (Il capitale risale al 1867). Notevole, a questo proposito, un rilievo del narratore interno: l'operosità del suo sottoposto lo colpisce e lo inquieta, perché troppo meccanica, non condita da nessun soprassalto (così si esprime) di allegria. Dunque si tratta di un'efficienza esagerata, incompatibile con un sistema che non vuole solo che essa ci sia, ma anche che si nasconda, si celi sotto altra apparenza, quella di un divertimento di una gioiosità nel fare. Un tratto, questo, che non si fatica a ricondurre alla categoria dell'ipocrisia. Presone atto, procediamo con l'analisi della narrazione, introducendo il motivo per così dire stupefacente nella storia, il colpo di scena che la rende memorabile ai più. Bartleby, il reificato, l'uomo macchina deputato alla copiatura, ha una volontà. Che si riassume nell'iterata locuzione, indisponente e squilibrante per il narratore, preferirei di no. La volontà oppositiva si manifesta prima nei riguardi di operazioni che esulano dalla unica e principale, per poi intaccare anche questa. Come potrebbe accadere a una macchina da scrivere alla quale si fosse imposto di tirare la pasta in alternativa alla sua funzione principale. Bartleby, parrebbe, a poco a poco si spegne per il sistema di cui è parte, ma assume sempre più definita consistenza per via della sua pertinace resistenza a fare qualunque cosa. Tale resistenza lo trasforma in una sorta di mostruosità inaccettabile per chiunque, a partire dal narratore, ma in estensione per tutti gli altri: gli scrivani dell'ufficio (per mere ragioni utilitaristiche: la sottrazione dagli incarichi da parte di Bartleby comporta un aggravio per loro), il nuovo occupante dell'ufficio medesimo dopo la fuga del narratore interno, e persino il vivandiere del carcere in cui Bartleby muore. Bartleby incarna allora, per via di questo passaggio accelerato attraverso la narrazione, l'inane (impossibile) opposizione ai meccanismi della produzione seriale, di cui allora un osservatorio come Wall Street poteva offrire una già estesa e variegata espressione. In questo tipo di ambiente risultano possibili e sensati solo due atteggiamenti: l'obbedienza e la contraffazione. Chi invece palesi una contraddizione viene considerato abnorme, nel senso letterale di fuori dalla norma e contrario a essa in un modo che genera al contempo paura e confusione. Basti pensare alla reazione di quelli che non riescono a liberarsi di Bartleby e devono ricorrere alla forza. Una forza immotivata, sproporzionata, come l'arresto perpetrato nei suoi riguardi, insostenibile nelle sue motivazioni se non ricorrendo al sotterfugio del comportamento contrario alla ragionevolezza, con tutta la genericità e approssimazione contenute in una simile espressione. Con tutta l'ipocrisia, anche, per riprendere un elemento introdotto in precedenza.
La conclusione, certo provvisoria, si riassume in un uno contro tutti e contro tutto. Bartleby come eco del capitano Achab, ammantato di mistero come lui, insondabile come lui, ostinato come lui. Ma mentre la balena bianca che attraversa come un fulmine gli oceani del mondo ha le caratteristiche di un soggetto mitico che risale a tempi antichissimi, incrociando multiple tradizioni, evocando demoni, trickster e divinità primordiali, lo scrivano Bartleby è il fantasma di un futuro che si sta preparando, come l'apparizione funesta che, nel celebre racconto dickensiano (che risale a pochi anni prima di questo), persuade l'ostinato e avaro banchiere Scrooge a cambiare totalmente la propria condotta di vita. Si può spiegare così, tra l'altro, la totale assenza di dati biografici su di lui, della quale doverosamente si scusa il narratore, dal momento che di un fantasma è spesso difficile conoscere la storia, ancor più se si tratti di un fantasma del futuro, che sarebbe possibile esorcizzare cambiando qualcosa nel presente. Ma accade a volte di non poterlo né saperlo fare, e allora non è possibile preferire niente, non si può che rannicchiarsi a terra, in posa fetale, come Bartleby nel cortile della Tomba, e smettere di esistere quasi senza lasciar tracce, a somiglianza di quello che accade dopo l'inabissamento di una nave: ...e il gran sudario d'acqua tornò a mareggiare come aveva fatto cinquemila anni fa. (H. Melville, Moby Dick)
CB
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Per quanto riguarda la narrazione di Céline, propongo invece per cominciare delle domande, che ci guideranno all'inizio della discussione.
1) Niente è gratuito in questo basso mondo si legge all'inizio della narrazione: quali sono le implicazioni, che Céline esplicita chiaramente e preliminarmente, di questa affermazione?
2) Il racconto è preceduto da una sorta di brevissima introduzione storica. Quale ne è il senso comunicativo?
3) Il racconto, in modo esplicito, tratta il tema del destino e della libertà degli esseri umani: identifica un passo attinente a questo tema, da commentare.
4) Ricostruisci i primi tasselli oggettivi della scoperta di Semmelweis.
5) A p. 51 (edizione Adelphi) si legge di un provvedimento assunto per diminuire i decessi delle puerpere che sortisce un fuorviante successo. Di che cosa si tratta e perché fuorviante?
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