MATERIALE SU ARISTOFANE (per guidare discussione di giovedì 13 gennaio) sito altervista

Ambientazione: Atene Data della prima rappresentazione: 423 a.C. 

Personaggi: Strepsiade, vecchio ateniese Fidippide, figlio di Strepsiade Socrate Il Discorso Migliore Il Discorso Peggiore Servo di Strepsiade Primo creditore di Strepsiade Secondo creditore di Strepsiade Discepoli di Socrate Coro di Nuvole. 

 N.B.: la commedia andò in scena alle Grandi Dionisie del 423 a.C., ma ottenne un clamoroso insuccesso. La versione che leggiamo oggi è un rifacimento posteriore, redatto in un periodo tra il 421 e il 418 a.C. e probabilmente mai messo in scena dall’autore. 

Le Nuvole prime 

Quando l’opera venne rappresentata per la prima volta, alle Grandi Dionisie del 423 a.C., in una versione oggi perduta, gareggiò con altre due commedie: la Damigiana, l’ultima opera del grande commediografo Cratino, ed il Conno (dal nome del maestro di musica di Socrate) di Amipsia, comico giovane ed ancora poco conosciuto, la cui commedia annoverava anch'essa Socrate tra i personaggi. Circa le ragioni dell'insuccesso, e del conseguente rifacimento, siamo male informati: che il fiasco ci sia stato è certo, sia perché lo stesso Aristofane se ne lamenta nella parabasi delle Vespe (422), sia perché la prefazione alle Nuvole seconde scritta da Aristofane di Bisanzio, bibliotecario della Biblioteca di Alessandria, ci dà informazioni sulle differenze tra le due versioni, lasciando quindi intendere che l'autore si sia sentito in dovere di riscrivere il dramma, evidentemente per emendare alcuni "errori" che gli erano costati cari. Chi però, e perché, ne abbia decretato l'insuccesso, non è chiaro. Claudio Eliano, nella sua Storia varia (II, 13), ci dà una versione dei fatti che discolpa il pubblico: bisogna tuttavia osservare che l'autore non è sempre attendibile, essendo vissuto fra l'altro a sei secoli di distanza da Aristofane. Egli racconta che, poiché al teatro non tutti gli spettatori erano ateniesi, Socrate si alzò in piedi, in modo che anche chi non lo conosceva sapesse chi si stava prendendo in giro, ed afferma che la commedia piacque, tanto che alla fine delle rappresentazioni il pubblico cominciò a rumoreggiare perché fosse data la vittoria ad Aristofane. La giuria fu però di diverso avviso: assegnò il primo posto alla Damigiana di Cratino e il secondo al Conno di Amipsia, relegando le Nuvole in fondo alla classifica. È possibile, ma ovviamente non verificabile, che su tale verdetto abbiano influito le pressioni politiche di Alcibiade, favorevole a Socrate e deciso a difenderne l’onore. Dalla lettura della parabasi delle Vespe (422), tuttavia, si ricava tutt'altra impressione, e cioè che artefice della sconfitta sia stato lo stesso pubblico, al quale Aristofane rivolge i seguenti rimproveri: "Ora fate attenzione, se amate la schiettezza. Il poeta desidera rivolgere un rimprovero a voi spettatori. Dice che l'avete trattato ingiustamente, lui che per il passato vi aveva fatto tanto bene. [...] E voi che avete trovato un tale difensore, un tale liberatore della patria, l'altro anno l'avete tradito il poeta; proprio quando seminava le sue idee più nuove, non le avete comprese e le avete stroncate sul nascere." Sia come sia, la sconfitta fu cocente per Aristofane, tanto più che la sua feroce parodia di Socrate non passò affatto inosservata, come dimostra il fatto che nel 399 a.C. Socrate la additò come la fonte principale delle accuse mossegli nel celebre processo da lui subìto, che gli costò la morte: «Voi stessi avete visto […] la commedia di Aristofane: un certo Socrate che andava su e giù per la scena dicendo di camminare per aria e spacciando altre simili stupidaggini, a proposito delle quali io non ho proprio nulla da spartire, né poco né tanto» (Platone, Apologia di Socrate, 19c). Le Nuvole seconde Subita quella sconfitta, Aristofane scrisse una nuova versione delle Nuvole, quella che conosciamo oggi, che grazie ad indicazioni presenti nel testo stesso può essere datata tra il 421 ed il 418 a.C.: infatti al v. 553 dell’opera si fa riferimento alla commedia Maricante di Eupoli, messa in scena nel 421 a.C., mentre il v. 623 lascia intendere che Iperbolo (un politico ostracizzato nel 418-417 a.C.) fosse ancora in città: questo ci fornisce il terminus post quem ed il terminus ante quem. Questa seconda versione, però, per ragioni ignote ed incomprensibili, non venne mai messa in scena dall’autore, e reca anche alcuni segni di incompiutezza, il più importante dei quali è la mancanza di un canto corale dopo il v. 888. Aristofane di Bisanzio ci informa che tra la prima e la seconda versione le modifiche furono notevoli in tutto il testo, ma riguardarono soprattutto l’introduzione di una nuova parabasi e di due scene: quella della disputa tra i due Discorsi (Giusto e Ingiusto) e quella finale del Pensatoio in fiamme. Quest'ultima informazione è sconcertante: se infatti la scena più violenta e giustizialista della commedia, che è proprio quella finale, non era presente nella prima versione, si capisce sempre meno quali possano essere state le ragioni del dissenso del pubblico e della giuria. 

Trama

Prologo: il contadino Strepsìade (= Tirchione), che ha sposato una donna altolocata e viziata, è perseguitato dai creditori a causa delle forti spese sostenute per lei e soprattutto a causa dei soldi che suo figlio Fidippide (= Risparmiacavalli) ha dilapidato alle corse dei cavalli; pensa allora di mandare il figlio alla scuola di Socrate, filosofo che, aggrappandosi ad ogni sofisma, insegna come avere la meglio negli scontri dialettici, anche se in posizione di evidente torto [N.B.: Socrate è volutamente "confuso" con i Sofisti]. In questo modo, Strepsiade si illude che il figlio sarà in grado di vincere qualsiasi causa che i creditori gli intenteranno. Fidippide però si rifiuta di recarsi al Pensatoio (Phrontistérion) del filosofo e così il povero vecchio, disperato e perseguitato dagli strozzini, decide di recarvisi lui stesso, per imparare quel che può. Appena giunto, s'imbatte in curiosi figuri dall'aspetto pallido e stralunato, intenti in attività stravaganti come ad esempio escogitare il modo migliore di misurare il salto di una pulce e scoprire da dove provenga il ronzio emesso dalle zanzare. Più in generale, nel Pensatoio si osservano le cose di sotterra e le cose del cielo. Finalmente appare Socrate che, appeso in una cesta, contempla il cielo [N.B.: Socrate è ora "confuso" con i physikòi ed in particolare con Anassagora, sebbene notoriamente si occupasse solo dell'uomo e non della natura]. Il filosofo, dopo un breve dialogo, decide di provare ad istruirlo: gli mette indosso un mantello e una corona ed invoca l'arrivo delle Nuvole, le divinità da lui adorate, che si presentano sulla scena in una pàrodos fra le più ritardate del teatro comico: esse simboleggiano la vacuità delle dottrine filosofiche in voga ad Atene. Qui viene inserita anche la nuova parabasi, ovviamente assente dalle Nuvole prime, in cui Aristofane rimprovera il pubblico per non essere stato capace di comprendere il messaggio dell'opera. Strepsiade si rivela troppo ottuso e non riesce a capire nulla dei discorsi pseudo-filosofici che gli vengono fatti: viene quindi cacciato e se ne ritorna mestamente a casa. Fidippide, impietosito ed anche incuriosito dai racconti del padre, decide quindi di andare a visitare il Pensatoio: quando arriva assiste all'agone tra il Discorso Migliore e il Discorso Peggiore [parodia dei dissòi lògoi dei Sofisti]. Il primo propone i buoni propositi e i sani valori della tradizione, il secondo ragionamenti cavillosi e contorti: alla fine, naturalmente, prevale il Discorso Peggiore, personificazione stessa della filosofia dei Sofisti. Fidippide, mente giovane ed elastica, impara subito la lezione. Tornato a casa, riesce a mandare via due creditori imbambolandoli con chiacchiere ben confezionate. Il padre è al settimo cielo, ma la situazione gli sfugge di mano: quando infatti ordina al figlio di andare a dormire, Fidippide si rifiuta di farlo, e di fronte alle minacce del padre comincia a picchiarlo, "dimostrandogli" di avere tutto il diritto di farlo in base al principio di reciprocità. Esasperato e furioso per la rovina educativa del figlio, Strepsiade sale allora sul tetto del Pensatoio, facendo il verso al Socrate appeso per aria dell'inizio, e dà alle fiamme l'edificio, mentre Socrate e i discepoli, imprigionati al suo interno, urlano di terrore. 

Commento 

Sul conto di Aristofane, a proposito delle Nuvole, sono stati spesso espressi giudizi assai superficiali: in sostanza l'autore, troppo giovane e "immaturo", avrebbe frainteso il pensiero di Socrate, ergendosi a baluardo del più retrivo conservatorismo culturale e non rendendosi conto che nell'Atene di quegli anni filosofi e pensatori stavano dando vita ad una rivoluzione del pensiero che sarebbe stata alla base della cultura europea nei secoli e millenni successivi. Chi esprime giudizi del genere non ha capito gran che del messaggio delle Nuvole. Ad uno sguardo superficiale si poteva pensare che ad essere minacciati dai "nuovi pensatori" fossero la religione ufficiale ed i valori tradizionali, ma agli occhi acutissimi del giovane Aristofane non sfuggì il risvolto squisitamente politico della situazione: e cioè che da un'educazione di tal genere sarebbero potuti emergere - come in effetti fu - personaggi potenzialmente pericolosissimi per la democrazia ateniese. Era dunque il regime democratico ad essere in pericolo: e questa volta il nemico non era identificato nella democrazia radicale di Cleone, ma all'opposto negli ambienti delle eterìe aristocratiche e nei loro "educatori": i Sofisti e Socrate. Che l'intuizione di Aristofane fosse fondata lo dimostra il fatto stesso che dalla scuola di Socrate siano emersi tutti i personaggi collegabili in vario modo con i colpi di Stato del 411 e del 404 a.C. (da Teramene a Crizia stesso), oppure fautori di una politica personalistica e tutt'altro che attenta al bene collettivo, come Alcibiade (forse adombrato nel "maniaco dei cavalli" Fidippide). E per far emergere le pesanti responsabilità di Socrate in tal senso, Aristofane non esita a sovrapporlo a pensatori che sa perfettamente essere distanti da lui, come i Sofisti ed Anassagora. Già al suo primo apparire sulla scena, Socrate è presentato in maniera quantomeno bizzarra: sospeso in aria in una cesta. Il filosofo spiega che questa posizione gli permette di librare la mente e il pensiero verso l’alto, facendo così grandi scoperte. Alla prova dei fatti, però, Socrate ed i suoi allievi si rivelano dei pericolosi cialtroni, che si occupano di questioni insensate e prive di importanza, come misurare il salto di una pulce, e che pretendono, con argomentazioni sottili ma prive di qualsiasi fondamento, di sovvertire il sistema di valori tradizionale. Aristofane, quindi, come più tardi Isocrate, non ritiene che vi sia alcunché di costruttivo nell'esercitare la sottigliezza di ragionamento di Socrate, non più di quanto ve ne sia nelle argomentazioni cavillose dei Sofisti, dal momento che, agli effetti pratici, Socrate "corrompe i giovani" esattamente come i Sofisti: anzi, i suoi discepoli o sono o si comportano come Sofisti (non si dimentichi che Crizia, allievo di Socrate, fu anche uno dei principali esponenti della Sofistica estrema). Tanto vale quindi identificarlo con essi, senza tanti inutili distiguo. Quanto al "Socrate anassagoreo", la "confusione" è ancora più perfida e sottile, come ha ben chiarito Luciano Canfora: infatti Socrate, nelle Nuvole, afferma di credere nel Vortice anziché in Zeus, come Anassagora, e di voler mescolare il pensiero all’aria in base al principio delle omeomerìe anassagoree. A chi obietta che Socrate non era un physikòs e che si occupava esclusivamente dell'uomo, e che quindi Aristofane aveva una conoscenza superficiale del suo pensiero, andrebbe fatto presente che lo stesso Socrate, nel Fedro platonico, ammette di essersi occupato della Natura in gioventù. Dunque Aristofane sa esattamente cosa dice. Ebbene, Anassagora era stato accusato di empietà (asèbeia): difeso da Pericle in persona, era stato esiliato, e secondo alcuni condannato a morte in contumacia, proprio per avere "introdotto divinità nuove". Ora, non si vede per quale motivo Socrate, che fa esattamente la stessa cosa, non debba essere condannato a morte a sua volta (il rogo finale del Pensatoio allude proprio a questo). In sintesi, per Aristofane, Socrate deve morire per due motivi: • perché "corrompe i giovani", come i Sofisti; • perché "introduce divinità nuove", come Anassagora. Esattamente le stesse accuse che, ventiquattro anni più tardi, gli verranno mosse da Ànito e Melèto, e che gli costeranno la vita. Un messaggio, dunque, tanto inquietante quanto profetico, quello delle Nuvole, destinato ad essere incompreso ora come allora.

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