PROLOGO DEL MILIONE - UN'ECO IN CALVINO (11 febbraio)
da Il Milione di Marco Polo, Prologo
Signori imperadori, re e duci e tutte altre genti che volete sapere le diverse generazioni delle genti e le diversità delle regioni del mondo, leggete questo libro dove le troverrete tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti d’Erminia, di Persia e di Tarteria, d’India e di molte altre province. E questo vi conterà il libro ordinatamente siccome messere Marco Polo, savio e nobile cittadino di Vinegia, le conta in questo libro e egli medesimo le vide. Ma ancora v’à di quelle cose le quali elli non vide, ma udille da persone degne di fede, e però le cose vedute dirà di veduta e l’altre per udita, acciò che ‘l nostro libro sia veritieri e sanza niuna menzogna.
Ma io voglio che voi sappiate che poi
che Iddio fece Adam nostro primo padre insino al dí d’oggi, né cristiano né
pagano, saracino o tartero, né niuno uomo di niuna generazione non vide né
cercò tante maravigliose cose del mondo come fece messer Marco Polo. E però
disse infra se medesimo che troppo sarebbe grande male s’egli non mettesse in
iscritto tutte le maraviglie ch’egli à vedute, perché chi non le sa l’appari
per questo libro.
E sí vi dico ched egli dimorò in que’
paesi bene trentasei anni; lo quale poi, stando nella prigione di Genova, fece
mettere in iscritto tutte queste cose a messere Rustico da Pisa, lo quale era
preso in quelle medesime carcere ne gli anni di Cristo 1298.
Non è detto che Kublai Khan creda a tutto
quel che dice Marco Polo quando gli descrive le città visitate nelle sue
ambascerie, ma certo l'imperatore dei tartari continua ad ascoltare il giovane
veneziano con più curiosità e attenzione che ogni altro suo messo e
esploratore. Nella vita degli imperatori c'è un momento, che segue all'orgoglio
per l'ampiezza sterminata dei territori che abbiano conquistato, alla
malinconia e al sollievo di sapere che presto rinunceremo a conoscerli e a
comprenderli; un senso come di vuoto che gli prende una sera con l'odore degli
elefanti dopo la pioggia e della cenere di sandalo che si raffredda nei
bracieri; una vertigine che fa tremare i fiumi e le montagne istoriati sulla
fulva groppa dei planisferi, arrotola uno sull'altro i dispacci che ci
annunciano il franare degli ultimi eserciti nemici di sconfitta in sconfitta, e
scrosta la ceralacca dei sigilli di re mai sentiti nominare che implorano la
protezione delle nostre armate avanzati in cambio di tributi annuali in metalli
preziosi, pelli conciate e gusci di testuggine: è il momento disperato in cui
si scopre che quest'impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie
è uno sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo incancrenita
perché il nostro scettro possa mettervi riparo, che il trionfo sui sovrani
avversari ci ha fatto eredi della loro lunga rovina. Solo nei resoconti di
Marco Polo, Kublai Khan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le
torri destinate a crollare, la filigrana d'un disegno così sottile da sfuggire
al morso delle tèrmiti.
MAROZIA
Una Sibilla, interrogata sul destino di
Marozia, disse: - Vedo due città: una del topo, una della rondine.
L'Oracolo fu interpretato così: Oggi Marozia è una
città dove tutti corrono in cunicoli di piombo come branchi di topi che si
strappano di sotto i denti gli avanzi caduti dai denti dei topi più minacciosi;
ma sta per cominciare un nuovo secolo in cui tutti a Marozia voleranno come le
rondini nel cielo d'estate, chiamandosi come in un gioco, esibendosi in
volteggi ad ali ferme, sgombrando l'aria da zanzare e moscerini.
- E' tempo che il secolo del topo abbia termine e
cominci quello della rondine, - dissero i più risoluti. E di fatto già sotto il
torvo e gretto predominio topesco si sentiva, tra la gente meno in vista,
covare uno slancio da rondini, che puntano verso l'aria trasparente con un
agile colpo di coda e disegnano con la lama delle ali la curva d'un orizzonte
che s'allarga.
Sono tornato a Marozia dopo anni; la profezia della
Sibilla si considera avverata da tempo; il vecchio secolo è sepolto; il nuovo è
al culmine. La città certo è cambiata, e forse in meglio. Ma le ali che ho
visto in giro sono quelle di ombrelli diffidenti sotto i quali palpebre pesanti
s'abbassano sugli sguardi; gente che crede di volare ce n'è, ma è tanto se si
sollevano dal suolo sventolando palandrane da pipistrello.
Succede pure che, rasentando i compatti muri di
Marozia, quando meno l'aspetti vedi aprirsi uno spiraglio e appare una città
diversa, che dopo un istante è già sparita. Forse tutto sta a sapere quali
parole pronunciare, quali gesti compiere, e in quale ordine e ritmo, oppure
basta lo sguardo la risposta il cenno di qualcuno, basta che qualcuno faccia
qualcosa per il solo piacere di farlo, e perché il suo piacere diventi piacere
altrui: in quel momento tutti gli spazi cambiano, le altezze, le distanze, la
città si trasforma, diventa cristallina, trasparente come una libellula. Ma
bisogna che tutto capiti come per caso, senza dargli troppa importanza, senza
la pretesa di star compiendo una operazione decisiva, tenendo ben presente che
da un momento all'altro la Marozia di prima tornerà a saldare il suo soffitto
di pietra ragnatele e muffa sulle teste.
L'oracolo sbagliava? Non è detto. Io lo interpreto in
questo modo: Marozia consiste di due città: quella del topo e quella della
rondine; entrambe cambiano nel tempo; ma non cambia il loro rapporto: la
seconda è quella che sta per sprigionarsi dalla prima.
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