TESTI SU MARCO POLO VOSTRI - completo
DA UN POLO ALL’ALTRO
Marco Polo è nato a Venezia nel 1254, la sua professione principale è stata quella del mercante, a cui si associò quella del viaggiatore animato dal desiderio di spingersi oltre i confini, esorbitando dalle comuni rotte commerciali dell’epoca. Verso la metà del XIII secolo, però, la nuova classe dei mercanti inizia ad affermarsi anche socialmente, poiché in questo periodo si passa da un’economia feudale, in cui è la classe aristocratica ad avere il potere economico sociale, a un'economia mercantile, in cui gli scambi commerciali, che inizialmente si svolgevano in zone relativamente ristrette, arrivano a coprirne di molto più ampie, come dimostrano appunto i viaggi di Marco Polo.
La
lettura del Milione, consente tra l’altro di ricostruire la vita di Marco Polo,
seppur in modo parziale, ovvero per quanto attiene alla sua permanenza nei territori del Celeste
Impero. Il milione ha anche ispirato nel ‘900 lo scrittore Calvino, che
ha scritto Le città invisibili, in cui l’Autore
utilizza come cornice i dialoghi tra Marco Polo e Kublai Khan, e nella
parte introduttiva scrive una considerazione che può essere utile per capire
anche il prologo del Milione.
Non è detto che Kublai Khan creda a tutto quel che dice Marco Polo quando gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l'imperatore dei tartari continua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità e attenzione che ogni altro suo messo e esploratore. Nella vita degli imperatori c'è un momento, che segue all'orgoglio per l'ampiezza sterminata dei territori che abbiano conquistato, alla malinconia e al sollievo di sapere che presto rinunceremo a conoscerli e a comprenderli; un senso come di vuoto che gli prende una sera con l'odore degli elefanti dopo la pioggia e della cenere di sandalo che si raffredda nei bracieri; una vertigine che fa tremare i fiumi e le montagne istoriati sulla fulva groppa dei planisferi, arrotola uno sull'altro i dispacci che ci annunciano il franare degli ultimi eserciti nemici di sconfitta in sconfitta, e scrosta la ceralacca dei sigilli di re mai sentiti nominare che implorano la protezione delle nostre armate avanzati in cambio di tributi annuali in metalli preziosi, pelli conciate e gusci di testuggine: è il momento disperato in cui si scopre che quest'impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro scettro possa mettervi riparo, che il trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi della loro lunga rovina. Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Khan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana d'un disegno così sottile da sfuggire al morso delle tèrmiti.
Il Marco Polo di Calvino è un mercante che ha la sensibilità di cogliere in questo altro mondo che esplora effetti di stupore, di meraviglia, ma anche di corruzione, che vanno di là dalla documentazione di usi utili per un pubblico di mercanti. Il miracolo dell’operazione fatta da Marco Polo è stato vedere ben oltre le aspettative di un diario di bordo mercantile: per questo Il Milione ha tanti livelli di lettura. Non è solo un diario di viaggio di un mercante, ma l’appassionato racconto di un viaggiatore che si sorprende, si meraviglia o prova raccapriccio di fronte a quello che gli appare totalmente diverso, ossia estraneo alla sua comune esperienza. Senza alcun dubbio svolge un’influenza determinante anche la circostanza della redazione originaria del testo, dettato al compagno di cella di Marco, l’autore di storie cavalleresche in lingua d’oil Rustichello da Pisa. Di qui la possibile lettura dell’opera come un’esaltazione o celebrazione dell’arte di viaggiare, alla quale si connette in questo caso un’ispirazione artistica destinata a promuovere un’eco nel tempo durata di sicuro fino a noi
L’autore sta avvertendo che in questo testo ci si deve aspettare un po’ di tutto, compreso ciò che entra in conflitto con un’aspettativa razionale. Lo fa utilizzando la parola maraviglia, ossia qualcosa che uno non è abituato a vedere ma allo stesso tempo non è detto che non esista: di conseguenza ciò che è meraviglioso non è reale, ma può comprendere fenomeni del tutto immaginari. Chi lo legge non si deve pertanto aspettare il registro di viaggio di un mercante, ma un insieme di avventure che contengono del meraviglioso e potrebbero persino sembrare inventate.
Dunque
il Milione si propone, in armonia con la spinta ad emergere della classe
sociale cui Polo appartiene, come fonte di idee, cultura e formazione, ma in
esso si possono trovare alcune somiglianze tra lo spirito viaggiatore peculiare
di Marco e quello del viaggiatore contemporaneo, ad esempio nel proporre il
viaggio come un’esperienza artistica e di creazione: è infatti la prima opera della letteratura
italiana con queste caratteristiche. Nell’immaginario occidentale il tema del
viaggio è di sicuro archetipico, originario: l’archètipo del viaggiatore è
Ulisse, protagonista dell’Odissea divenuta per antonomasia incarnazione di
viaggio, ma il mito antico annovera altri viaggiatori oltre ad Ulisse, ad esempio
Giasone e Enea. Dietro Marco Polo c’è
tutta una tradizione antichissima di viaggiatori per i quali il viaggio è
un’esperienza ineludibile, può avere dei fini utilitaristici, ma poi nella
rappresentazione che se ne fa diventa bello di per sé. L’idea che la società
moderna ha di viaggiare è quella di partire in un modo e tornare in un altro,
ovvero cambiato dalle esperienze, dalle culture e dai costumi di società
diverse da quella da cui si proviene.
Partirsi da Vinegia tutti e tre… In questo lacerto di testo col solo verbo partirsi si condensa il tema della partenza di Marco Polo per il suo primo viaggio, all’età di 17 anni, con il padre e lo zio: si tratta di un viaggio al contempo commerciale e politico (i due adulti sono messaggeri del papa) verso l’impero governato da Kublai Khan. Inoltre, la geografia come scienza esisteva ancora, né le scoperte geografiche si erano ancora spinte abbastanza in là da permettere maggior precisione nella descrizione del mondo: la rappresentazione più attendibile e precisa di allora riuniva le terre di Asia, Europa, Africa e antipodi tutte in collegamento tra di loro e galleggianti in quello che era denominato Oceano da cui nascevano tutti i mari della Terra. La società dell’epoca tendeva a mettersi al centro del mondo, identificandosi più precisamente come l’onfalos (ombelico) della Terra. Analogamente i Greci sostenevano che l'ombelico del mondo fosse Delfi, mentre per i latini era Roma: Marco Polo, quando venne a contatto con il celeste impero, scoprì che anch’esso si poneva in tale prospettiva, autodefinendosi impero centrale. Questo sta a indicare come il sentirsi l’onfalos sia caratteristico della maggioranza delle culture, che anche in questo modo manifestano la loro volontà di esistere in contrapposizione agli altri, considerati di conseguenza estranei, stranieri o barbari.
Francesco, Jacopo
***
VIAGGIANDO SI CRESCE
Quando
nel 1298 scoppia la guerra tra Venezia e Genova, Marco Polo viene fatto
prigioniero e, nel periodo della sua carcerazione, inizia a dettare il Milione a Rustichello da Pisa, autore di storie cavalleresche in lingua
d’oil. Marco Polo non fa in tempo a uscire di prigione che la sua opera si è
già diffusa e sono già state effettuate molteplici traduzioni: questo notevole successo
è certo dovuto alla presenza di valori universali, tra i quali figura il senso
del viaggio: esso è in sé un’esperienza artistica, ed è proprio questa
connotazione a rendere il Milione un'opera la cui risonanza è
universale. D’altronde, anche la nascita veneziana fa la sua parte:
Venezia, vista la sua posizione e la vocazione commerciale, è un crocevia di
culture, che ben si manifestano, nella loro molteplicità, nel suo
mitico carnevale, esperienza che sintetizza una predisposizione al divertimento
ma soprattutto alla rinuncia (momentanea) alla propria identità e alla fusione con
gli altri.
Nel
tredicesimo secolo si assiste alla progressiva affermazione della classe
sociale dei mercanti, a misura che il feudalesimo è sostituito appunto da un'economia
mercantile, in cui le classi aristocratiche non detengono più in maniera
esclusiva il potere economico e sociale. Questa nuova classe mercantile, però,
soffre di un complesso di inferiorità culturale nei confronti degli
aristocratici, perché percepisce la mancanza di tradizione e raffinatezza rispetto
a questi ultimi. Tale divario culturale,
pur essendo rimediabile per quanto
riguarda le apparenze, è invece difficile da superare dal punto di vista
artistico. Con il Milione di Marco
Polo, la classe mercantile non può più soffrire di questo senso di inferiorità,
perché egli si propone come espressione più alta di questo tentativo dei
mercanti di essere a loro volta fonte di idee e di cultura.
Signori imperadori, re e duci e tutte altre genti,
si legge nel prologo del Milione di
Marco Polo, in cui egli indica il pubblico a cui intende rivolgersi, che volete sapere le diverse generazioni
delle genti e le diversità delle regioni del mondo, leggete questo libro dove
le troverrete tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti
d’Erminia, di Persia e di Tarteria, d’India e di molte altre province, prosegue
poi il testo. Marco Polo annunciare che
in questo testo si può trovare di tutto, anche ciò che entra in conflitto con
un’aspettativa razionale o, come diremmo noi, scientifica, utilizzando il termine maraviglie riferendosi a eventi che, magari,
pur essendo lontani dalla realtà nota, e
quindi provocando stupore, sono comunque veri. Marco Polo fa un altro
riferimento alle maraviglie nel
trentunesimo capitolo del Milione: Quivi
era donzelli e donzelle, gli piú belli del mondo e che meglio sapevano cantare
e sonare e ballare; e faceva Io veglio credere a costoro che quello era lo
paradiso. E per ciò il fece, perché Malcometto disse che chi andasse in
paradiso avrebbe di belle femmine tante quante volesse, e quivi troverebbe
fiumi di latte e di miele e di vino; e perciò lo fece simile a quello che avea
detto Malcometto. E gli saracini di quella contrada credevano veramente che
quello fosse lo paradiso. In
questo caso, a essere oggetto di meraviglia è un pensiero di tipo religioso,
che dà luogo a comportamenti indecifrabili da un occidentale educato alla
religione cristiana.
Marco
Polo nel Milione narra anche di
usanze, tradizioni e conoscenze dei popoli con cui entra in contatto: Ancora v’è una cotale usanza, che del tesoro
che lascia il re al figliuolo, mai non ne tocca, ché dice ch[e] no vòle mancare
quello che li lasciò il suo padre, anzi il vòle acrescere; e catuno sí
l’acresce, e l’uno il lascia a l’attro, e perciò è questo re cosí ricco. Ancora
vi dico che in questo reame no vi nasce cavalli, e perciò tutta la rendita loro
o la maggiore parte, ogn’anno si cunsuma in cavalli. E diròvi come: i
mercatanti di Quisai e de Dufar e d’Eser e de Adan - queste province ànno molti
cavalli - e questi mercatanti empiono le navi di questi cavalli, e pòrtali a
questi 5 re che sono fratelli, e vendeno l’uno bene 500 saggi d’oro, che
vagliono bene piú di 100 marchi d’ariento. E questo re n’accatta bene ogn’anno
2.000 o piú, e li fratelli altretanti: di capo de l’anno tutti sono morti,
perché non v’à marescalco veruno, perch’elli no li sanno governare. E questi
mercatanti no vi ne menano veruno, perciò che vogliono che tutti questi cavalli
muoiano, per guadagnare.
In
questo passo Marco Polo non si dedica né a descrivere le meraviglie viste né ad
analizzare la situazione da un punto di vista storico, ma si occupa di ciò che
più lo riguarda, quindi di commercio. In questo caso il Milione risulta proprio un diario di viaggio di un mercante che si
appunta le varie tecniche e modalità di commercio degli altri popoli, per
poterne poi prendere spunto. In India maggiore non ci sono cavalli e quindi i
mercanti di Quisai, di Dufar, d’Eser e d'Ada, che invece ne hanno molti, hanno
instaurato un commercio, che continua perennemente poiché i compratori non
sanno tenere i cavalli e quindi ogni anno muoiono e sono costretti a
ricomprarli.
Carlotta, Giuseppe
IL VIAGGIO COME ESPERIENZA ESISTENZIALE E ARTISTICA
I
Polo sono una famiglia di mercanti. Tra questi, Marco, in quanto autore del Milione¸ è il portatore della mentalità del mondo
mercantile, abbastanza ignorato durante il Medioevo che privilegia
aristocrazia e clero, sia come destinatari della letteratura sia come suoi
protagonisti. Tra il 1200 e il 1300 si delinea un periodo di grandi cambiamenti
economici e sociali, e in particolare i mercanti, oltre ad accrescere il loro
potere economico, iniziano a cercare di essere riconosciuti politicamente e
socialmente. D’altronde, alla fine del 1200, l’economia smette di essere prevalentemente
feudale, per diventare mercantile. Marco Polo, mercante per nascita e per vocazione, è anche
dotato di una peculiare sensibilità, che gli permette di cogliere, nelle terre visitate,
soggetti umani, luoghi, tipi di relazione che suscitano in lui stupore, maraviglia,
soprattutto quando si tratti di documentare aspetti che vanno ben di là da necessità connesse con la pratica della mercatura. Egli nasce nel 1254 a Venezia, da una ricca
famiglia di mercanti, in un periodo in cui
il padre e lo zio compiono il primo viaggio in direzione di
Costantinopoli e, poi, della Crimea. Nel 1271 anche Marco, solo diciassettenne, li accompagna in una
seconda, lunga spedizione che ha come meta, nel 1275, la corte di Qubilai Khan.
Egli, riconoscendo nei Polo degli stimolanti e fidati interlocutori, affida
loro incarichi svariati, nello smisurato Celeste
Impero da lui dominato. Ha così inizio una fase molto intensa della vita di
Marco viaggiatore e al contempo autore protagonista del più suggestivo diario di viaggio
tenuto da un mercante nell’epoca tardo-medievale. Si può ben dire che nella sua
avventurosa esperienza di mercatura, si sia compiutamente palesata la
potenzialità che ancora oggi riconosciamo al viaggio: quella di costituire un’esperienza
esistenziale in sé, che eventualmente si sostituisce a qualsiasi altra, almeno
per qualche tempo.
De la fattezza del
Grande Kane. Lo Grande Signore de' signori, che Cob(l)ai Kane è chiamato, è di
bella grandezza, né piccolo négrande, ma è di mezzana fatta. Egli è ca(r)nuto
di bella maniera; egli è troppo bene tagliato di tutte le membre; egli à lo suo
viso bianco e vermiglio come rosa, gli occhi neri e begli, lo nasobene fatto e
ben li siede.Egli àe tuttavia 4 femine, le quali tiene per sue dirette moglie.
E 'l magiore figliuolo ch'egli àe di queste 4 moglie dé essere per ragione
signore de lo 'mperio dopo la morte di suo padre.Elle sono chiamate imperadrici,
e ciascuna è chiama[t]a per su' nome, e ciascuna di queste donne tiene corte
per sé, e non vi n'à niuna che non abbia 300 donzelle, e ànno molti valetti e
scudieri e molti altri uomini e femine, sicché ciascuna di queste donne à bene
in sua corte 10.000 persone. E quando vuole giacere con niuna di queste donne,
egli la fa venire in sua camera e talvolta vae alla sua. Egli tiene ancora
molte amiche; e diròvi come: (e)gli è vero ch'egli è una generazione di
Tartari, che sono chiamati Ungrac, che sono molto bella gente e avenante, e di
queste sono scelte 100 le piú belle donzelle che vi sono, e sono menate al
Grande Kane. Egli le fa guardare a donne nel palagio e falle giacere apresso
lui in uno letto per sapere se ell'àe buono fiato, e per sapere s'ella è pulcella
e ben sa(na) d'ogni cosa. E quelle che sono buone e belle di tutte cose so'
messe a servire lo signore in tal maniera com'io vi dirò. Egli è vero che ogne
3 die e 3 notti, 6 di queste donzelle servono lo signore in camera e a letto e
a ciò che bisogna, e 'l signore fa di loro quello ch'egli vuole. E di capo di 3
dí e di 3 notti vegnono l'altre 6 donzelle, e cosí va tutto l'anno di 6 in 6 donzelle.
(Milione, 81)
Nel
passo riportato, uno dei capitoli del Milione
dedicati a precise descrizioni, il
soggetto rappresentato in modo suggestivo è il Gran Khan, anche chiamato Qubilai Khan, un
uomo di corporatura media, con un volto in cui i colori dominanti sono il
bianco e il rosso, neri gli occhi e bello il naso. Da notare come l’autore, senza soluzione di
continuità, prosegua la sua descrizione, inizialmente fisica, annotando la
circostanza, inusuale per un veneziano, che il sovrano abbia quattro mogli, una
sola delle quali gli darà il figlio maggiore destinato a ereditare tutto il suo
potere. La narrazione continua a essere numericamente precisa, anche quando
attinge a numeri che potrebbero apparire iperbolici per la sensibilità
occidentale, cui tuttavia Marco Polo non dà occasione di palesarsi. La corte
del Gran Khan, infatti, oltre a comprendere queste quattro imperatrici con rispettive figliolanze, include trecento donzelle per ciascuna di esse, ma
soprattutto molte altre amiche a
disposizione del sovrano, che può avvalersi dell’intrattenimento di ben cento fanciulle particolarmente avvenenti di
stirpe Tartara, con cui può giacersi secondo un ritmo che il nostro viaggiatore
non manca di annotare, possiamo anche supporre, con l'intenzione di
suscitare sussulti di riprovazione in qualche buon cristiano d’occidente.
De' figliuoli del
Grande Kane. Ancora sappiate che 'l Grande Kane à di sue 4 moglie 22 figliuoli
maschi; lo maggiore avea nome Cinghi Kane, e questi dovea essere Grande Kane e
segnore di tutto lo 'mperio. Or avenne ch'egli morío, e rimase uno figliulo
ch'a nome Temur, e questo Temur dé essere (Grande) Kane e signore, (e) è
ragione, perché fu figliuo(lo) del magiore figliuolo. E sí vi dico che questi è
savio uomo e prode, e bene à provato in piú battaglie. Sappiate che 'l Grande
Kane à 25 figliuoli di sue amiche, e ciascuno è grande barone. E ancora dico
che degli 22 figliuoli ch'egli à de le 4 mogli, gli 7 ne sono re di grandissimi
reami, e tutti mantegno bene loro regni, come savi e prodi uomini. E ben è
ragione, ché risomiglino dal padre: di prodezza e di senno è 'l migliore rettore
di gente e d'osti di niuno signore che mai-fosse tra' Tartari. Or v'ò divisato
del Grande Kane e di sue femini (e) di suoi figliuoli; or vi diviserò com'egli
tiene sua corte e sua maniera. (Milione, 82)
In
questo passo, successivo al precedente, la memoria del mercante veneziano si fa
nuovamente minuziosa e numerica: il Khan, dalle sue quattro mogli, ha avuto
ventidue figli, i quali per la maggioranza prendono il nome di Cinghi Khan, ma
anche altri venticinque dalle donne con cui aveva l’agio di trascorrere tre giorni e tre notti a suo piacere. La differenza di maternità comporta una
distinzione di rango: i figli delle quattro mogli possono essere re o mantenere
un regno, gli altri figli sono baroni. Portata a conclusione questa
enumerazione, Marco passa a considerare le qualità del sovrano, al quale
riconosce in particolare una virtù della quale la famiglia Polo certo poté avvantaggiarsi: l’intuito nell’individuare
tutti coloro di cui si possa realmente fidare. Innegabile, in effetti, che i
mercanti veneziani e il Gran Khan abbiano praticato congiuntamente un proficuo
genere di utilitarismo.
In
altri passi del testo, il mercante e il curioso viaggiatore sono compresenti e
suggeriscono notazioni riconducibili all’una o all’altra personalità. Ad
esempio quando scrive, a proposito dell’India e del suo territorio
che per tutta
l’India li uccelli loro sono divisati da’ nostri, salvo la quaglia; li
pipistrelli vi sono grandi come astori, e tutti neri come carbone. Elli danno a
li cavalli carne cotta co riso e molte altre cose c[otte]. (Milione, 170)
In
questo caso, a stimolare la curiosità, esplicita chiaramente l’Autore, sono le molte differenze rispetto alla sua terra. Gli uccelli, per esempio, fatta eccezione per la quaglia, sono diversissimi
per dimensioni e piumaggio; i
pipistrelli sono enormi e scurissimi, mentre
i cavalli si nutrono a base di riso e carne cotta.
Dalle
descrizioni di alcune tappe del viaggio, si ricava l’impressione che questi
mercanti viaggiatori entrino in contatto diretto con culture diverse dalla
propria, ad esempio apprendendo le lingue locali e abbattendo in tal modo una
delle principali barriere che s’interpongono a una profonda, anche se
momentanea, integrazione. In questo senso il loro viaggio è assimilabile a un processo di formazione, tramite il quale si
possono accumulare conoscenze e
esperienze trasmissibili poi attraverso un’operazione artistica come la
scrittura di una memoria.
A
tale conclusiva opera Marco giunge quando, ritornato in patria con un viaggio
durato dal 1292 al 1295, viene fatto
prigioniero durante una guerra scoppiata fra Genova e Venezia. Proprio nelle carceri genovesi conosce
Rustichello da Pisa, uno scrittore di opere cavalleresche in lingua d’oil, al
quale detta il proprio memoriale di viaggio. Prende così forma trasmissibile
l’opera originariamente conosciuta come Livres des merveilles du monde (Libro delle meraviglie del mondo).
successivamente tradotto in varie parlate, toscano compreso, col titolo di Milione
. Liberato nel 1299, Marco Polo torna a
Venezia dove resta insieme alla famiglia fino al 1324, anno della sua morte.
Federico, Matteo
***
RICORDO DELLA LIBERTÀ
Mercante e viaggiatore, in un senso non così diffuso e documentato alla sua
epoca, Marco Polo ha tra l’altro testimoniato, attraverso il Milione, in che modo la classe
mercantile, tra la seconda metà del 1200 e l’inizio del 1300, abbia iniziato ad
affermarsi non solo economicamente, ma anche dal punto di vista culturale. Nella
società medievale, infatti, si era consolidata nel tempo, in concomitanza con
lo sviluppo del feudalesimo, una vera e
propria frattura tra gli aristocratici e i mercanti. Questi ultimi soffrivano
di un complesso di inferiorità nei confronti di una classe sociale che, oltre a
vantare origini antiche, deteneva insieme al clero il controllo della
produzione culturale. Per quanto, via via che le loro ricchezze aumentavano, i
mercanti riuscissero ad apparire persino più facoltosi di alcuni aristocratici,
il conseguimento di una superiorità culturale, soprattutto in termini di
produzione artistica, tarda a sopraggiungere. Per questo motivo l’opera di
Marco Polo si presenta come un riuscito tentativo di sopperire a una lacuna
significativa: nessun mercante, prima di lui (e nemmeno dopo) realizza un’opera
in cui mentalità mercantile e curiositas del
viaggiatore si fondono mirabilmente e danno luogo a un classico destinato a
lunghissima risonanza nel tempo. Ad aggiungere un alone suggestivo a questa
ardita e unica operazione compiuta dal mercante veneziano è sicuramente la
circostanza in cui Il Milione venne
scritto: sotto dettatura da parte di Marco da Rustichello da Pisa, suo compagno
di prigionia in una cella genovese, dove venne rinchiuso nel corso dei
combattimenti occorsi durante una guerra fra Genova e Venezia, combattuta
proprio al ritorno del suo ultimo viaggio nel celeste Impero, dov’egli aveva soggiornato e viaggiato lungamente,
dall’età di diciassette anni, insieme al padre e allo zio.
Svariati passi del Milione si possono leggere nella duplice prospettiva
del curioso viaggiatore e del mercante, notando come si alternino nel
testo notazioni precise, cronachistiche, utili a chi intenda raccogliere
informazioni per intraprendere relazioni di tipo commerciale con i popoli
descritti, e descrizioni in parte sicuramente fantasiose, condite di una
sensibilità nei confronti di altre
culture che presagisce attenzioni destinate a manifestarsi molti secoli
dopo.
Ancora vi dico che in questo
reame no vi nasce cavalli, e perciò tutta la rendita loro o la maggiore parte,
ogn’anno si cunsuma in cavalli. E diròvi come: i mercatanti di Quisai e de
Dufar e d’Eser e de Adan - queste province ànno molti cavalli - e questi
mercatanti empiono le navi di questi cavalli, e pòrtali a questi 5 re che sono
fratelli, e vendeno l’uno bene 500 saggi d’oro, che vagliono bene piú di 100
marchi d’ariento. E questo re n’accatta bene ogn’anno 2.000 o piú, e li
fratelli altretanti: di capo de l’anno tutti sono morti, perché non v’à
marescalco veruno, perch’elli no li sanno governare. E questi mercatanti no vi
ne menano veruno, perciò che vogliono che tutti questi cavalli muoiano, per
guadagnare.
Così si esprime l’Autore, in questo caso in veste di mercante, ricordando
in che modo si attui lo scambio di cavalli che avveniva tra i mercanti
orientali e i sovrani, che dopo un determinato periodo, portavano i cavalli
alla morte a causa della loro incapacità di governarli. I mercanti dal canto
loro erano completamente disinteressati al destino degli equini venduti e
avevano come unico scopo quello di guadagnare. Da notare come emerga
una sorta di universalismo da questa
descrizione: la compravendita è uno dei
vari modi attraverso cui tante famiglie di mercanti si arricchiscono
moltissimo, modificando così la loro posizione all’interno della società. Sotto
questo profilo, le latitudini diverse non comportano variazioni, ma piuttosto affinità
tra i vari mercanti che, pur di culture disparate, erano accomunati da un senso
dell’affare molto sviluppato, non di rado sovrastante l’etica.
Ancora in tema di mentalità mercantile, va rimarcato che le relazioni tra
Khan e la famiglia Polo furono di tipo utilitarista, in quanto la famiglia Polo
si guadagnò il sostegno del Grande Khan per i suoi commerci e per ricambiare i
suo componenti, Marco compreso, divennero a tutti gli effetti suoi funzionari,
dopo essersi appunto conquistati la sua fiducia.
Anche, ma non solo, per questo motivo si può
dire che Il Milione rappresenti efficacemente quali risultati
produca l’effettiva capacità di integrarsi e promuovere scambi culturali, a
cominciare dalla pratica linguistica: i Polo s’impadronirono in fretta delle
lingue parlate nell’impero del Khan, e di sicuro anche così conquistarono la
fiducia, necessaria ai loro commerci, del sovrano.
Quanto alla questione dello spirito del viaggiatore, esso si manifesta nell’opera ogniqualvolta
Marco Polo, nelle sue pur minuziose descrizioni di persone o ambienti, veicola, attraverso la percezione delle
differenze, rispetto e comprensione delle diverse culture. L’esperienza
esaltante del viaggio si manifesta così, e di là dalla mera cronaca hanno modo
di palesarsi lo stupore, la maraviglia
di colui che deve ammettere e documentare come siano diversi gli animali, le usanze, i comportamenti, ancorché i
paesaggi, nei quali s’imbatte oltre i confini delle terre fino a quel momento
conosciute. Significativa, a questo proposito, la precisissima evocazione delle
costumanze matrimoniali del Kublai Khan, dedito a una felice poligamia, nei
confronti della quale la cristianità occidentale non avrebbe potuto reagire che
con raccapriccio:
Egli àe tuttavia 4 femine, le quali tiene per sue dirette moglie.
E 'l magiore figliuolo ch'egli àe di queste 4 moglie dé essere per ragione
signore de lo 'mperio dopo la morte di suo padre.
Da notare, comunque, che dal passo
(anche considerato nella sua interezza) non trapela alcun giudizio
moralistico. A questo si aggiunge il fatto che Marco Polo sia anche
sinceramente ammirato per alcune iniziative del Khan nei confronti del suo
popolo: |
Sappiate che 'l Grande Kane, quando è
grande abondanza di biada, egli ne fa fare molte canove d'ogne
biade,[...] E in questa maniera non vi può essere grande caro; e questo
fa fare per ogni terra ov'egli àe signoria. Generoso e longanime, Kublai Khan provvede a distribuire provviste alimentari a tutti i suoi sudditi più umili. Marco Polo non è il solo a riconoscere la grandezza morale di alcuni miscredenti, come vengono comunque qualificati, dato che lo stesso Sommo Poeta, Dante Alighieri, conferisce a Saladino (Salah Al Din in curdo) un posto nell’unica parte positiva (e pertanto illuminata) dell’Inferno, un castello nel Limbo nel quale risiedono i cosiddetti Magnanimi, persone che non hanno conosciuto il vero Dio ma che sono riuscite a onorare l’umanità con le loro azioni. Tra queste vi sono grandi poeti come lo stesso Virgilio, grandi filosofi come Aristotele e grandi sovrani come appunto Saladino, che si guadagnò la fama di essere un autorevole e giusto governante. Il Milione
ottenne immediatamente un grande successo, al principio persino maggiore
di quello della Divina Commedia.
Proliferarono successivamente numerosi manoscritti, tradotti in diverse
lingue, che narravano le imprese di Marco Polo. Una di queste versioni,
ritenuta molto fedele all’originale, è oggi conservata nella biblioteca di
Parigi. Un monaco si occupò di fornire una traduzione dell’opera, che non
risultò essere particolarmente accurata, ma provocò una vastissima diffusione
del manoscritto. Questo avvenne grazie ai suoi valori universali, che la
rendono ancora oggi contemporanea e particolarmente apprezzata. Martina, Eleonora, Filippo C. *** |
LA SEDUZIONE DELLA
PROFONDITÀ
Nel mondo odierno la rapidità, che abbiamo collettivamente scelto come valore assoluto, è in conflitto con la riflessione. Certo abbiamo la possibilità di vivere in un’epoca in cui le comunicazioni e le modalità di spostamento sono semplificate più che mai, però questo in certi casi sottrae valore proprio al viaggio che, col passare dei secoli, è diventato sempre più agevole e meno in grado di promuovere formazione e configurarsi come esperienza esistenziale. I viaggiatori odierni, insomma, rischiano qualche volta di trasformarsi in pacchi postali.
Per riscoprire,
allora, l’essenza del viaggio, occorre
risalire al XIII secolo, quando uno scenario, altrettanto
rivoluzionario rispetto a quello determinato dalla tecnologia oggi, apriva
nuove prospettive sul mondo, ancora decisamente sconosciuto, e rappresentava
l’albore del commercio con un respiro che oggi diremmo internazionale.
La testimonianza per
eccellenza di questa sorta di rivoluzione, connessa con l’espandersi delle
attività mercantili, è certamente quella
risalente all’opera straordinaria e universale di Marco Polo, che è riuscita a
valicare i secoli e essere attuale ancora oggi. L’epoca tra il 1200 e il 1300,
in cui Marco Polo vive la sua giovinezza e compie il viaggio in Cina al centro
del suo memoriale, vede protagonista un grande sviluppo della nuova classe
sociale dei mercanti. Essi oppongono al mondo feudale precedente, che vedeva
l'aristocrazia detenere il potere economico, politico e anche godere
del monopolio culturale, un dinamismo notevole, responsabile dell’apertura di
nuovi mercati e nuove rotte commerciali. La classe sociale mercantile è quindi
in fase espansiva, nella seconda metà del 1200, e si sta notevolmente
arricchendo ma, nonostante questo, soffre di una debolezza culturale nei
confronti dell’aristocrazia, una sorta di complesso d’inferiorità. Il
Milione di Marco Polo colma
immediatamente questo divario, proponendosi come un’opera che interpreta anche, ma non solo,
l’intraprendenza dello spirito mercantile tardomedievale. Certamente è notevole
il fatto che proprio dalla limitazione delle mura del carcere genovese in cui
si trova nel 1298, prigioniero durante una guerra tra Venezia e Genova, Marco si trovi a
dettare all’autore di storie cavalleresche in lingua d’oil Rustichello il suo lunghissimo e maraviglioso
viaggio nel celeste impero, all’epoca completamente ignoto alla cultura
europea.
Il suo, che si
preannunciava essere un ordinario percorso mercantile con un marcato fine
utilitaristico, finisce per diventare il “viaggio per eccellenza”, all’altezza di quello mitico di Ulisse.
E questo vi conterà il
libro ordinatamente siccome messere Marco Polo, savio e nobile cittadino di
Vinegia, le conta in questo libro e egli medesimo le vide. Ma ancora v’à di
quelle cose le quali elli non vide, ma udille da persone degne di fede, e però
le cose vedute dirà di veduta e l’altre per udita, acciò che ‘l nostro libro
sia veritieri e sanza niuna menzogna. ( dal prologo del Milione).
Numerose sono le
differenze culturali del mondo orientale talmente maravigliose, come le definisce nel prologo del Milione,
che potrebbero lasciare incredulo il lettore. Proprio con il fine di rendere il
testo più verosimile possibile, afferma che, per l’intera narrazione,
specificherà sempre quali cose siano state viste da lui personalmente e quali
gli siano state raccontate.
De le pietre ch’ardono:
Egli è vero che per tutta la provincia del Catai àe una maniera di pietre nere,
che si cavano de le montagne come vena, che ardono come bucce, e tegnono piú lo
fuoco che no fanno le legna. E mettendole la sera nel fuoco, se elle
s'aprendono bene, tutta notte mantengono lo fuoco. E per tutta la contrada del
Catai no ardono altro; bene ànno legne, ma queste pietre costan meno, e sono
grande risparmio di legna. (capitolo 101 Milione).
Talvolta, compaiono
sezioni volte a descrivere scoperte interessanti, soprattutto secondo una
prospettiva mercantile, come quella delle pietre che ardono, decisamente più
efficienti del legname e addirittura più economiche. Ma a queste se ne
alternano altre di maggior rilevanza che portano a considerare Marco, seppur
con un’ottica utilitaristica, un vero viaggiatore.
Del vino: Ancora
sappiate che la magiore parte del Catai beono uno cotale vino com'io vi
conterò. Egli fanno una pogione di riso e co molte altre buone spezie, e
cóncialla in tale maniera ch'egli è meglio da bere che nullo altro vino. Egli è
chiaro e bello, e inebria piú tosto ch'altro vino, perciò ch'è molto caldo.
(capitolo 100 Milione)
Attraverso l’evocazione
di usi e costumi, riprodotti non sempre per via di comparazione con quelli
europei, vengono a delinearsi i diversi
punti di vista generati dalle culture, ma soprattutto la percezione del
viaggiare come vera e propria azione creativa, tale da indurre immancabilmente
un cambiamento in chi ne sia protagonista. La componente artistica del
viaggiare risuona fin dall’antichità ed
appartiene ancora ai viaggiatori di oggi, quelli capaci di partecipare senza
filtri o barriere alla vita del luogo visitato. A rendere più agevole questa operazione è
sicuramente anche la nascita veneziana di Marco: Venezia era un centro di scambi internazionali, con una
consuetudine ai rapporti con l’oriente che ha di sicuro influenzato la
prospettiva dell’intera famiglia Polo. D’altronde, nemmeno i mercanti erano
esenti dalla considerazione dell’occidente come ombelico, onfalos, del mondo.
Come Delfi per i greci e Roma per i latini, le civiltà hanno da sempre avuto
l’ambizione di porsi al centro. Ciononostante
lo spirito del viaggiatore insegna anche a fare l’opposto, ossia appunto
a confondersi con la popolazione locale.
Non a caso Marco Polo e i suoi compagni di viaggio, padre e zio, imparano la lingua delle popolazioni che
incontrano. Risulta, quindi, fondamentale il processo formativo legato al
viaggio, che porta a scoprire qualcosa di nuovo e cambiare sé stessi, ma ancor
di più l’importanza analogamente fondamentale della parola,
che costituisce lo strumento primo per l’interazione con gli altri e
un’eventuale integrazione.
L’abilità nella
comunicazione dei Polo, probabilmente anche stimolata dalla loro professione,
porta il Gran Kane a nominarli funzionari imperiali. Certo era presente
una spinta utilitaristica da entrambe le parti: a guadagnarci sono i Polo, che
vedono facilitati i loro commerci, ma anche il sultano, che trova in loro efficientissimi funzionari.
Ciò nonostante, non si può semplicemente leggere il fatto che degli stranieri
vengano nominati emissari della corte in una prospettiva puramente
utilitaristica: questa non ha di per sé nulla di negativo e, anzi, nel contesto
del percorso narrato, contribuisce a fondare l’esperienza formativa del
viaggio.
Dunque, come si legge
nella prima introduzione al Livre des Merveilles du monde, come suona il primo titolo dell'opera dettata a Rustichello, il Milione si è
proposto alla lettura come una rivelazione, alla società aristocratica del
tempo, di quello che potevano riuscire a pensare e a scrivere i mercanti,
tutt’altro che sprovvisti di risorse culturali.
Signori imperadori, re
e duci e tutte altre genti che volete sapere le diverse generazioni delle genti
e le diversità delle regioni del mondo, leggete questo libro dove le troverrete
tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti d’Erminia, di
Persia e di Tarteria, d’India e di molte altre province. (prologo Milione)
Quanto ai nostri
giorni, la cultura pretende di essere, almeno formalmente, più accessibile, così come gli scambi culturali
sono apparentemente facilitati. Resta però notevole il rischio che questa
facilità di contatto e scambio sia appunto in parte apparente, ma soprattutto
passibile di trasformarsi in un freno
alla continua ricerca di nuova conoscenza:
gli stimoli potrebbero venir meno, a causa della facilità, e la
seduzione della superficie potrebbe indurre a perdere di vista il senso della
profondità, in cui si celano le scoperte più interessanti.
Alberto, Lorenzo
***
MERAVIGLIARSI AD OGNI LATITUDINE
È con occhi colmi di meraviglia, navi piene di mercanzia, e mente e cuore aperti alla necessità di scoprire ciò che il mondo tiene in serbo, che è condotta la prima parte della vita di Marco Polo. Egli nasce nel 1254 in una famiglia veneziana di mercanti, classe sociale emergente che in questo periodo assume ruoli sociali, talora politici, di rilievo e soprattutto accumula ricchezze rilevanti. Sin dalla giovinezza in lui matura la passione per la scoperta, che lo porterà fino alle terre del celeste impero, quando partirà insieme al padre e allo zio alla volta dell’Oriente.
Marco Polo è testimone di culture, paesaggi ed avvenimenti inimmaginabili per un occidentale della sua epoca, ovvero di un periodo storico in cui alla geografia contribuisce molto l’immaginazione. La conoscenza del mondo è incerta, incurante di stabilire confini precisi fra ciò che è reale e il frutto di colorite e sfrenate immaginazioni. Le meraviglie, come vengono da lui stesso definite, in cui s’imbatte, vengono poi riportate nell’opera Il Milione, dall’immediato e diffuso successo, che rende evidente la singolarità della personalità di Polo e, soprattutto, rappresenta il viaggio come un’arte.
E sul colmo del monte à uno palagio tutto verde, e è molto grande, sicché a guardallo è una grande meraviglia, e non è uomo che 'l guardi che non ne prenda alegrezza. E per avere quella bella vista l'à fatto fare lo Grande Signore per suo conforto e sollazzo. (Il Milione, 83)
Nel 1271, dunque, un Marco Polo appena diciassettenne parte, per ragioni commerciali, con i due citati familiari per la Cina. Arriva qualche anno dopo alla corte del grande condottiero mongolo Kublai Khan, con cui instaura un rapporto utilitaristico, fondato su uno scambio abbastanza paritario: egli s’impegna a riferire al Khan lo stato dei suoi territori e ne ottiene in cambio il permesso di svolgere i suoi affari.
Nel passo riportato il
mercante descrive il palazzo verde del governatore orientale, prestando
attenzione a svariati dettagli. La sensibilità per il bello si manifesta
ripetutamente: abituato alle splendide architetture veneziane, non gli sfuggono
i dettagli di quelle, pur differenti, d’oriente. Non è di secondaria importanza
il fatto che sia Marco sia lo zio e il padre s’impegnino a parlare le lingue
dei territori attraverso i quali passano, manifestando anche così la loro
propensione, di là dalle sole esigenze utilitaristiche, a intendere a fondo le
persone con cui entrano in relazione nei vari luoghi. Perspicacia e acume non
gli mancano anche per quanto attiene alla capacità di osservare e di
immedesimarsi, come forse gli poteva anche suggerire un certo spirito
veneziano, quello in particolare che si manifesta al massimo grado nel
carnevale, momento di festa e di coinvolgimento emotivo sconfinato, vantaggioso
anche per uno che interpreti lo spirito del viaggiatore e non, come ben
sappiamo noi, quello del turista.
Nell’opera Il Milione, ricorrente è il sentimento di meraviglia e
stupore. Ed è proprio questo a rendere lo scritto diverso da un memoriale mercantile, e perciò unico nel suo genere e universale. È l’abilità del mercante
veneziano di andare oltre le conoscenze utili al mestiere in sé, e attingere a una dimensione, alla quale le
epoche successive, dal Settecento in avanti, sono diventate molto sensibili,
ovvero quella in cui il viaggio si trasforma in arte.
Quando l’uomo si parte de l’isola di Silla e va ver’ ponente da 60 miglia, truova la grande provincia di Maabar, ch’è chiamata l’India magiore. E questa è la miglior India che sia, ed è de la terra ferma. E sapiate che questa provincia à cinque re che sono fratelli carnali, ed io dirò d’alcun per sé. E sapiate che questa è la piú nobile provincia del mondo e la piú ricca. (Il Milione, 170)
Marco Polo, passando dal sud-est asiatico, raggiunge poi l’India, da cui resta molto positivamente colpito. Negli anni sviluppa una certa consapevolezza delle culture nel mondo, ossia della loro varietà. Parte con l’idea, comune a chi non ha mai viaggiato, che il suo popolo sia al centro del mondo, nonché migliore e più evoluto da ogni punto di vista. Sembra però che col tempo questa concezione pian piano si sgretolii, e che anche il mercante apprezzi le diversità che lo circondano, in quanto tali. Un’altra funzione formativa svolta dal viaggio rende Marco intrepido, ma non temerario, con l’andare del tempo: egli affronta ogni tipo di situazione, compresi numerosi pericoli, e il suo animo non sembra esserne turbato o sconvolto ma, piuttosto, rafforzato.
E sapiate che le perle che si truovano in questo mare si spandono per tutto il mondo, e questo re n’à grande tesoro. Or v’ò detto come si truovano le perle; e da mezzo maggio inanzi no vi si ne truova piúe. Ben è vero che, di lungi di qui 300 miglia, si ne truova di settembre insino ad ottobre. (Il Milione, 170)
Il passo riportato narra degli scambi nel territorio indiano. Dalla descrizione possiamo evincere che l’intento commerciale dei viaggi di Polo rimane ovviamente centrale. La dimensione mercantile presente nella sua opera rende anche edotto il lettore sull’economia bassomedievale, che in questo periodo cerca di colmare il divario culturale prodotto dalla precedente dominanza delle classi aristocratiche, che detenevano il monopolio dell’istruzione e della produzione artistica.
Tornato dal suo lungo viaggio, Polo viene fatto prigioniero durante la guerra scoppiata fra Genova e Venezia nel 1298. È dunque in carcere che la celebre opera Il Milione prende vita, dettata dal mercante a Rustichello da Pisa, scrittore di opere cavalleresche in lingua d’oil. Appena ritornato, Marco è entusiasta del suo viaggio, persino in carcere lascia volare la mente raccontando vivacemente le sue avventure al compagno. E così, tra le sbarre di una prigione, viene concepito lo scritto che rappresenta l’arte del viaggiare, e con essa tutta la libertà che comporta e, in parte, trasmette.
Il Milione è inizialmente intitolato Livre des Merveilles du monde ovvero libro delle meraviglie del mondo, ottiene un grande successo e viene subito tradotto in numerosissime lingue; le copie si moltiplicano velocemente, sempre più persone si dedicano alla trascrizione. Quanto a Marco Polo, liberato nel 1299, torna a Venezia dove si sposa, ha tre figlie, e si dedica fino alla morte, nel 1324, al commercio, pur senza spingersi mai più così lontano come nel viaggio della sua giovinezza.
Tommaso, Lisa
***
MEMORIALE
DAI CONFINI DEL MONDO
Marco Polo, nato
nel 1254 a Venezia, figlio di una famiglia di mercanti, segue, all’età di
diciassette anni, il padre e lo zio in
un loro secondo viaggio verso la corte di Qubilai Khan, in Cina, in cui a più riprese, fra il
1265 e il 1295, si recano, portando anche ambascerie da parte del papato. La concezione di viaggio all’epoca era assai
diversa rispetto alla nostra, anche solo per il fatto che le conoscenze
geografiche fossero imprecise, configurandosi
una mescolanza di realtà e immaginazioni. Di qui il fatto che il viaggio
potesse rappresentare (e tale risulta dal resoconto di Marco) un’avventurosa esperienza di vita, di formazione, una
scoperta di nuovi mondi e un’opportunità d’incontri con altre usanze e
mentalità, da cui nascevano ispirazioni, in questo caso artistiche. Viaggiare
richiedeva coraggio e curiosità, anche solo perché lo spostamento in sé
comportava tempo, in questo caso misurato in decenni, e fatiche.
Per quanto
riguarda il viaggio dei Polo, però, si tratta anche di considerare il loro
specifico mestiere, quello di mercanti. A proposito di questa classe sociale,
occorre precisare che dopo un lungo periodo, che si estende per tutto
l’Alto Medioevo, in cui la classe aristocratica detiene il controllo dell’economia
feudale, nel corso del Duecento, sulla scena economico-sociale si affaccia, con importanza crescente, la
classe mercantile. Quest’ultima è costituita da una parte della popolazione che
intraprende attività commerciali e in qualche caso bancarie, dato che alcune
compagnie di mercanti, dal sud al nord d’Europa, diventano potenti e autorevoli
compagnie finanziarie, in grado di dettare condizioni (per prestiti, ad
esempio) anche ai sovrani. Tale nuova
classe, quindi, anche quando provvista di beni cospicui e superiori a quelli
detenuti da molti aristocratici, o persino dai regnanti, soffre di una sorta di
complesso di inferiorità culturale (come ben documenterà a distanza di qualche
decennio Boccaccio): si tratta di un divario che, naturalmente, si colmerà
parzialmente nel corso del tempo, anche, ma non solo, grazie al contributo del Milione di Marco Polo. Per completare il quadro di riferimento che
lo riguarda, si può infine considerare come possa aver influito sull’apertura
mentale dell’Autore, documentata dalla sua opera, la circostanza di essere nato a Venezia,
repubblica marinara che, in virtù della posizione geografica, si situa al
centro di scambi fra occidente e oriente, che certo contribuiscono parzialmente
a superare l’inclinazione, tipica di quasi tutte le civiltà, a porsi al centro
del mondo, considerandosi in una prospettiva di assoluta superiorità rispetto a
tutti gli altri.
Marco
Polo, tornato a Venezia nel 1295, dopo il secondo soggiorno dal re Qubilai (il
più lungo, protrattosi fino al 1292), combatte nella guerra scatenatasi fra
Venezia e Genova, e viene fatto prigioniero. In carcere a Genova concepisce, nel 1298, un resoconto di viaggio che detta al
compagno di cella, Rustichello da Pisa, uno scrittore di opere cavalleresche in
lingua d’oil. Il titolo dell’opera risulta inizialmente Le divisament du Monde, successivamente diffuso col titolo di Milione, il soprannome con cui la famiglia Polo si
distingueva da altri Polo veneziani (Emilio,
loro antenato, troncato in Milione). L’opera che nel corso del tempo ha
suggestionato tanti scrittori, fino a Calvino in pieno Novecento, nella
direzione di una percezione della sconfinata libertà concessa dai viaggi reali
e immaginari, nasce quindi suggestivamente entro le mura di un carcere, a
riprova di come non esistano muri o sbarre in grado di tenere confinata la
memoria e l’immaginazione, impedendo loro di provare e suscitare curiosità e
meraviglia.
Molti
passi del Milione sono dedicati a
descrivere usanze che Marco Polo doveva sicuramente percepire come profondamente
distanti da quelle occidentali:
Or sappiate che questo re à bene 500 femine, cioè moglie,
ché, come vede una bella femina o donzella, incontanente la vòle per sé, e sí
ne fa quello ch’io vi dirò
In
Cina, a partire dal Khan, vige la poligamia per i detentori di potere sovrano,
che hanno inoltre a disposizione tutte le donne che vogliano. L’Autore registra
l’informazione, replicandola ogni qual volta ve ne sia necessità, annotando
precisamente numeri che possono apparire iperbolici. Notiamo tuttavia che evita
di indugiare moralisticamente su questi usi locali, che, per cominciare in base
alla morale cattolica, dovevano apparire almeno formalmente deprecabili.
Quanto agli usi
religiosi, Marco descrive un rito che può rammentare la
recitazione del rosario, in ottemperanza a antichissime tradizioni, che è
evidentemente fondamentale per la società cinese, molto conservatrice,
mantenere:
Ancor li [si tratta del Gran Khan] pende da collo una corda di seta sottile che li va giú dinanzi un
passo, e in questa corda àe da 104 tra perle grosse e rubini, lo quale cordone
è di grande valuta. E diròvi perch’elli porta questo cordone, perché conviene
ch’egli dica ogne die 104 orazioni a’ suoi idoli; e cosí vuole lor legge, e
cosí fecero gli altri re antichi, e cosí fanno questi.
Quanto
alle notazioni zoologiche, nel seguente passo si manifesta, per quanto sobriamente, quel sentimento di maraviglia che meno ci si attenderebbe
da uno spirito unicamente votato alla mercanzia,
e che invece nel caso del viaggiatore Marco Polo è pur presente:
sappiate che per tutta l’India li uccelli
loro sono divisati da’ nostri, salvo la quaglia; li pipistrelli vi sono grandi
come astori, e tutti neri come carbone. Elli danno a li cavalli carne cotta con
riso e molte altre cose c[otte].
Per
quanto riguarda, infine, il pubblico al quale Marco Polo rivolge il suo diario di viaggio, esso è chiaramente delineato nel prologo del Milione, dove nomina aristocratici, nobili e re, avvertendoli che nel testo si devono
aspettare anche ciò che entra in conflitto con un’aspettativa razionale, quindi
non il registro di viaggio di un
mercante, ma un racconto in cui
avventuroso e meraviglioso hanno la loro parte, dato che così può risultare la
narrazione quando riguardi realtà molto distanti dalla sensibilità di un uomo
che non le ha vissute. Inoltre Polo entra
nel merito dell’elaborazione del testo, precisando che ogni descrizione è
frutto di esperienza personale oppure deriva da fonti per lui attendibili, in nome di una
sorta di veridicità storica.
E questo vi conterà il libro ordinatamente
siccome messere Marco Polo, savio e nobile cittadino di Vinegia, le conta in
questo libro e egli medesimo le vide. Ma ancora v’à di quelle cose le quali
elli non vide, ma udille da persone degne di fede, e però le cose vedute dirà
di veduta e l’altre per udita, acciò che ‘l nostro libro sia veritieri e sanza
niuna menzogna.
Con queste
premesse, il Milione è effettivamente
diventato una delle prime testimonianze
della cultura orientale in Europa, ha fornito una maggiore attendibilità geografica
alle cartine dell’epoca, ma soprattutto, e questa è certamente la circostanza
più sorprendente, ha avuto un immediato ed esteso successo, venendo tradotto
già all’epoca in moltissime lingue.
Ettore, Filippo M.
***
DIARIO DI BORDO DI UN MERCANTE CURIOSO
Oggi
viviamo in un mondo in cui viaggiare è relativamente facile ed è considerato
una forma di divertimento, mentre il commercio internazionale conosce uno sviluppo
a sé stante ed è analogamente agevolato da mezzi di comunicazione più o meno
rapidi, che possono rendere irrisorie distanze che fino a un secolo fa erano
considerate enormi.
La
testimonianza per eccellenza di un periodo della storia umana in cui si è
verificato un importante salto di qualità sia in fatto di viaggi sia di
commerci, risale al XIII secolo, e
coincide con Il Milione di Marco Polo, mercante viaggiatore nato a
Venezia nel 1254 da una famiglia di
antica tradizione mercantile.
Con
Marco Polo, dunque, entriamo in contatto con una classe sociale che si sta
facendo largo, rispetto all’ormai decaduta organizzazione feudale, nel passaggio di secolo tra il 1200 e il 1300.
Una transizione socio economica di tale portata non può non produrre effetti
politici e culturali: i mercanti, oltre
ad accumulare ricchezze, anche molto consistenti, con gli scambi commerciali e con transazioni finanziare (spesso si tratta
di mercanti-banchieri), diventano interlocutori politici di rilievo per le
classi aristocratiche, per i sovrani e per i papi. Nel contempo, sul piano culturale,
percepiscono una sorta di inferiorità nei riguardi degli aristocratici,
rispetto ai quali rappresentano appunto una classe emergente, sprovvista di
formazione e tradizione culturale.
A colmare questo divario è soprattutto,
fra le opere di fine Duecento, Il
Milione, che si propone come espressione più alta del tentativo di dare
voce a questo soggetto sociale destinato ad acquistare sempre più importanza
nel contesto delle signorie e delle monarchie trecentesche.
Il Milione, resoconto del viaggio di Marco Polo nel celeste impero, e della sua esperienza
alla corte di Kublai Khan, è un’opera di dettatura, avvenuta mentre il
veneziano si trovava in carcere a
Genova, essendo stato fatto prigioniero, nel 1298 poco dopo il suo ritorno
dalla Cina, nel corso di una guerra tra
Genova e Venezia. Per la precisione, l’opera è da lui dettata a Rustichello da Pisa, compagno di
cella, nonché autore di storie cavalleresche che scriveva in lingua d’oil. Il
titolo originale del Milione suona Livre
des merveilles du monde, e può essere letto in tanti modi e a
svariati livelli. Uno di questi, non necessariamente il più superficiale, è la
celebrazione del viaggiare come arte. E non solo nel senso che dal viaggio
scaturiscano ispirazioni per chi sappia tradurle nel linguaggio dell’immaginazione,
ma anche nel senso che il viaggio in sé sia un’esperienza
artistica. A questo proposito, sono riconoscibili straordinarie consonanze tra lo spirito di
Marco Polo e quello del viaggiatore contemporaneo, soprattutto nel modo di
proporre il viaggio come un’esperienza formativa a livello esistenziale e,
qualche volta, anche creativa. Nell’immaginario occidentale il tema del
viaggio è poi archetipico, sicché ogni lettore di Marco Polo
non può fare a meno di riandare con la memoria a soggetti mitici come Ulisse,
protagonista di un’odissea che è
diventata per antonomasia l’espressione connotante del viaggio che non finisce
mai e cambia profondamente l’anima di chi lo compie.
Lo Grande Signore de' signori, che Cob(l)ai Kane è chiamato, è di bella
grandezza, né piccolo né grande, ma è di mezzana fatta. Egli è ca(r)nuto di
bella maniera; egli è troppo bene tagliato di tutte le membre; egli à lo suo
viso bianco e vermiglio come rosa, gli occhi neri e begli, lo naso bene fatto e
ben li siede.
Egli àe tuttavia 4 femine, le quali tiene per sue dirette moglie. E 'l
magiore figliuolo ch'egli àe di queste 4 moglie dé essere per ragione signore
de lo 'mperio dopo la morte di suo padre.
Elle sono chiamate imperadrici, e ciascuna è chiama[t]a per su' nome, e
ciascuna di queste donne tiene corte per sé, e non vi n'à niuna che non abbia
300 donzelle, e ànno molti valetti e scudieri e molti altri uomini e femine,
sicché ciascuna di queste donne à bene in sua corte 10.000 persone. E quando
vuole giacere con niuna di queste donne, egli la fa venire in sua camera e
talvolta vae alla sua.
Egli tiene ancora molte amiche; e diròvi come: (e)gli è vero ch'egli è
una generazione di Tartari, che sono chiamati Ungrac, che sono molto bella
gente e avenante, e di queste sono scelte 100 le piú belle donzelle che vi
sono, e sono menate al Grande Kane. Egli le fa guardare a donne nel palagio e
falle giacere apresso lui in uno letto per sapere se ell'àe buono fiato, e per
sapere s'ella è pulcella e ben sa(na) d'ogni cosa. E quelle che sono buone e
belle di tutte cose so' messe a servire lo signore in tal maniera com'io vi
dirò. Egli è vero che ogne 3 die e 3 notti, 6 di queste donzelle servono lo
signore in camera e a letto e a ciò che bisogna, e 'l signore fa di loro quello
ch'egli vuole. E di capo di 3 dí e di 3 notti vegnono l'altre 6 donzelle, e
cosí va tutto l'anno di 6 in 6 donzelle.
Nel
passo sopra riportato, scelto per dare un’idea dello stile autoriale, Marco Polo descrive il grande Kublai Khan,
alla cui corte giunge nel 1275 dopo essere partito alla volta dell’Oriente nel
1271 con il papà e lo zio, e il suo stile di vita. Dopo essersi intrattenuto sulle
sue fattezze, entra nel merito dei costumi matrimoniali, ovvero della poligamia
comunemente praticata dai sovrani e certo estranea, e formalmente vituperata, alle costumanze occidentali. Il testo è ricco di dettagli, molti dei quali
sono palesemente frutto di una curiosità esercitata da Marco Polo oltre i limiti degli interessi
mercantili. Notevole, tuttavia, l’assenza di qualsiasi giudizio morale. Certo è possibile che nella redazione dell’opera
abbia avuto un’influenza anche l’inclinazione al genere avventuroso di
Rustichello, ma è pur possibile che nel mercante veneziano coesistano entrambe
le inclinazioni.
E sapiate che le perle che si truovano in questo mare si spandono per
tutto il mondo, e questo re n’à grande tesoro. Or v’ò detto come si truovano le
perle; e da mezzo maggio inanzi no vi si ne truova piúe. Ben è vero che, di
lungi di qui 300 miglia, si ne truova di settembre insino ad ottobre.
In
questa citazione ulteriore, viceversa, è l’occhio dell’esperto mercante a
suggerire dove trovare le perle e in quale periodo.
Spesso
durante la lettura si avverte quello che, nella parte introduttiva, l’Autore
dichiara sia il suo fine: permettere a tutti di conoscere il resto del mondo. Per
questo nell’opera compaiono talvolta sezioni volte a descrivere scoperte
maggiormente interessanti secondo una prospettiva mercantile, alternate ad altre
di maggior rilevanza che portano a considerare Marco un viaggiatore abitato
dalla curiositas originaria di cui
Ulisse è l’archetipo.
Signori imperadori, re e duci e tutte altre genti che volete sapere le
diverse generazioni delle genti e le diversità delle regioni del mondo, leggete
questo libro dove le troverrete tutte le grandissime maraviglie e gran
diversitadi delle genti d’Erminia, di Persia e di Tarteria, d’India e di molte
altre province. E questo vi conterà il libro ordinatamente siccome messere
Marco Polo, savio e nobile cittadino di Vinegia, le conta in questo libro e
egli medesimo le vide. Ma ancora v’à di quelle cose le quali elli non vide, ma
udille da persone degne di fede, e però le cose vedute dirà di veduta e l’altre
per udita, acciò che ‘l nostro libro sia veritieri e sanza niuna menzogna. Ma
io voglio che voi sappiate che poi che Iddio fece Adam nostro primo padre insino
al dí d’oggi, né cristiano né pagano, saracino o tartero, né niuno uomo di
niuna generazione non vide né cercò tante maravigliose cose del mondo come fece
messer Marco Polo. E però disse infra se medesimo che troppo sarebbe grande
male s’egli non mettesse in iscritto tutte le maraviglie ch’egli à vedute,
perché chi non le sa l’appari per questo libro.E sí vi dico ched egli dimorò in
que’ paesi bene trentasei anni; lo quale poi, stando nella prigione di Genova,
fece mettere in iscritto tutte queste cose a messere Rustico da Pisa, lo quale
era preso in quelle medesime carcere ne gli anni di Cristo 1298.
A
riprova di questo, come si legge ancora nell’introduzione, l’Autore sceglie
quali destinatari per la sua opera soggetti
come re, imperatori e svariate genti che dovrenno essere convinte di ascoltare
racconti veritieri, ossia frutto di esperienze direttamente vissute da Marco o da lui apprese e opportunamente
vagliate. In aggiunta a questo, avverte che ci si deve aspettare un po’ di tutto,
ossia qualunque maraviglia¸ dal
momento che tutto ciò che non rientra nella comune esperienza e appartiene a un
altro mondo sortisce normalmente questo effetto. Il viaggio contribuisce anche
a questo: a uscire da una prospettiva ristretta, smettere di considerarsi il centro
o l’onfalos del mondo, per
consentirsi un contatto reciproco e profondo. Per questo motivo Marco Polo impara la lingua del territorio,
“confondendosi” con la popolazione al punto da essere scelto come ambasciatore
e informatore personale di Kublai.
Virginia, Andrea T.
***
OLTRE I CONFINI NON
SOLO L’UTILE
Marco Polo, autore del Milione assieme a Rustichello da Pisa al quale lo detta mentre si trova nel carcere di Genova in una circostanza di cui si dirà in seguito, è, all’epoca in cui inizia la sua avventura nel celeste impero, il rampollo di una famiglia di mercanti veneziani. Con lui entriamo in un altro mondo che, per cominciare, è il mondo mercantile il quale, ignorato e marginalizzato nell’epoca che vede il trionfo della poesia cortese, è composto appunto da una classe emergente. Essa ha iniziato a farsi strada lentamente, in concomitanza con un allentarsi della rigida gerarchia collegata con il sistema feudale. I mercanti, dal 1200 in avanti, accumulano ingenti ricchezze, diventano interlocutori privilegiati di re e papi, ad esempio nelle vesti di loro finanziatori, ma soffrono a lungo di un complesso di inferiorità culturale, documentato fra gli altri da Boccaccio, nei riguardi degli aristocratici poiché, essendo una classe che si sta affermando attraverso la ricchezza, percepiscono in se stessi la mancanza di cultura e di tradizione. Tra i risultati più significativi ottenuti da questa ricerca di affermazione, si situa sicuramente appunto l’opera di Marco Polo. Questo capolavoro della letteratura racconta il primo viaggio di Marco Polo, iniziato all’età di 17 anni insieme al padre e allo zio, , alla volta del celeste impero governato da Kublai Khan. I Polo instaurano un rapporto utilitaristico con l’imperatore, il quale affida loro missioni nei suoi estesi territori, concedendo in cambio una certa libertà di condurre attività economiche. Il risultato è quindi doppiamente vantaggioso: sia da un punto di vista pratico, sia da uno artistico, visto che il cumulo di esperienze maturate da Polo diventano materiale per l’ispirazione del Milione.
Questo scritto nasce in
un periodo particolarmente difficile della vita di Marco che, appena ritornato
dalle terre orientali, partecipa alla guerra scoppiata fra Venezia e Genova e
viene fatto prigioniero. In carcere nella città nemica, detta le sue memoria di
viaggio al compagno di cella, Rustichello da Pisa, autore di storie
cavalleresche in lingua d’oil. L’opera infatti s’intitola originariamente Livre des merveilles du monde, tradotta
poi in svariati volgari, tra cui
toscano, e diffusa con il titolo di Milione, derivato da Emilione, nome di un
antenato della famiglia, che è il soprannome con cui la famiglia Polo si
distingueva dagli altri Polo veneziani.
Il Milione, come tutte
le opere universali, può essere letto in
diversi modi, due dei quali sono riconducibili a quelle che possiamo
riconoscere come due anime del loro autore: quella del mercante e quella
viaggiatore. Se al primo interessano,
com’è naturale, le compravendite e le condizioni in cui si verificano,
indugiando quindi su dettagli funzionali all’attività in sé, il secondo
guidato, nelle sue ricostruzioni del viaggio, dal piacere di evocare le
componenti maravigliose dei luoghi e delle persone, quelle che corrispondono
maggiormente a una delle motivazioni che inducono a viaggiare, ossia la
curiosità della scoperta, alimentata sempre dall’attrazione per ciò che si
riveli completamente differente dal noto.
Nel prologo dell’opera,
a riprova di quanta consapevolezza abbia Marco Polo delle finalità della
propria scrittura, si legge:
Signori imperadori, re
e duci e tutte altre genti che volete sapere le diverse generazioni delle genti
e le diversità delle regioni del mondo, leggete questo libro dove le troverrete
tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti d’Erminia, di
Persia e di Tarteria, d’India e di molte altre province.
Da questo passo si può
intendere che Marco Polo intende indirizzare la sua opera a persone di varia
estrazione, a cominiciare dai potenti, per poi introdurre una sorta di
autodifesa preventiva in merito alla questione della veridicità di quanto
raccontato. Consapevole di voler
raccontare maraviglie Marco si premura poi di spiegare che esse sono state
viste direttamente da lui oppure che comunque sono frutto di racconti da lui
attentamente vagliati. Una sorta di garanzia di oggettività o, come diremmo
noi, scientificità, che l’Autore si sente in dovere di fornire, dato che quando
si ascolta un racconto al quale non si è abituati, si tende a metterlo in
dubbio.
E questo vi conterà il
libro ordinatamente siccome messere Marco Polo, savio e nobile cittadino di
Vinegia, le conta in questo libro e egli medesimo le vide. Ma ancora v’à di
quelle cose le quali elli non vide, ma udille da persone degne di fede, e però
le cose vedute dirà di veduta e l’altre per udita, acciò che ‘l nostro libro
sia veritieri e sanza niuna menzogna.
Inoltre leggiamo: Ma io
voglio che voi sappiate che poi che Iddio fece Adam nostro primo padre insino
al dí d’oggi, né cristiano né pagano, saracino o tartero, né niuno uomo di
niuna generazione non vide né cercò tante maravigliose cose del mondo come fece
messer Marco Polo. E però disse infra se medesimo che troppo sarebbe grande
male s’egli non mettesse in iscritto tutte le maraviglie ch’egli à vedute,
perché chi non le sa l’appari per questo libro.
Infine, fra le multiple
valenze del Milione non si può trascurare quella di aver contribuito alla messa
in discussione di un modello dominante: quello secondo cui ogni cultura tende a
ritenere sé stessa un centro, un onfalos, un punto di riferimento assoluto,
con conseguente relegazione degli altri a una distanza che è poi difficile
colmare per intendersi veramente. Antesignani dell’integrazione fra culture
molto differenti, i Polo si sono cimentati nell’apprendimento delle lingue dei
popoli del celeste impero, certamente anche in questo caso in parte per
finalità utilitaristiche, ma non
soltanto per questo. D’altronde, si può anche pensare che fossero
avvantaggiati, in questo, dalla circostanza di essere veneziani: nella città di
uno dei carnevali più storici e celebrati, l’inclinazione a fondersi e confondersi,
magari solo provvisoriamente, era di sicuro molto viva e sentita.
***
STORIA DI UNA CURIOSITÀ
SENZA FINE
Fino al XIII secolo, territori vastissimi come l’Asia
settentrionale, la Cina e buona parte del subcontinente indiano, risultavano
ancora quasi completamente sconosciuti all’Europa.
Notizie in merito a essi potevano certo essere riportate dai mercanti che, per
svolgere il loro mestiere, si spingevano a volte molto lontano nelle direzioni
indicate, ma riportavano in Europa
informazioni generiche, spesso intessute di fantasia, nell’insieme poco
attendibili e poco documentate.
Per trovare un resoconto viceversa attendibile, se non completo,
su buona parte di quella che conosciamo come Asia, occorre attendere la fine del
1200 e la comparsa di un testo apparso
per la prima volta in lingua d’oil con il titolo di Devisement du Monde, diventato celebre come Il Milione. L’autore e
protagonista di questo straordinario resoconto è Marco Polo che, rimasto
prigioniero dei genovesi nel corso di una guerra fra Venezia e Genova, detta al suo compagno di cella, Rustichello da
Pisa, autore di romans cavallereschi
in lingua d’oil, memorie e appunti risalenti al viaggio compiuto nelle terre del celeste impero.
Marco Polo fu infatti un grande mercante e viaggiatore che, nato
da una ricca famiglia di mercanti veneziani nel 1254, partì insieme al padre
Nicolò e allo zio Matteo per un lunghissimo viaggio dalla duplice finalità:
recare un’ambasceria al Gran Khan da parte del papa e tessere relazioni
commerciali con i territori cinesi.
Marco intraprese il suo primo viaggio a diciassette anni, nel
1271, recandosi, insieme al padre e allo zio, alla corte di Qubilai Khan, dove giunse quattro anni dopo, nel
1275. Dai 18 ai 24 anni divenne un funzionario di corte, incaricato di svolgere
missioni esplorative che gli permisero di raggiungere luoghi mai toccati dagli
europei prima di lui. A caratterizzare Marco Polo, rispetto ad altri mercanti
dello stesso periodo, è l’accentuata curiosità, ravvisabile nel suo scritto,
che lo rende acuto osservatore delle inedite realtà con cui viene a contatto,
oltre a consentirgli di non assumere posizioni giudicanti nei confronti di ciò
che c’era all’esterno dell’Europa, provando in prima persona cosa significasse
vivere in quella determina zona del mondo.
La sua anima di viaggiatore attivo si manifesta ad
esempio in questo passo del Milione, in
cui si legge
Ancora sappiate che la magiore parte del Catai beono uno cotale vino com'io vi conterò. Egli fanno una pogione di riso e co molte altre buone spezie, e cóncialla in tale maniera ch'egli è meglio da bere
che nullo altro vino. Egli è chiaro e bello, e inebria piú tosto ch'altro vino, perciò ch'è molto caldo. Or
lasciamo di questo, e conteròvi de le priete ch'ardono come bucce.
La descrizione del vino, si può notare, è priva di riferimenti a
quanto di questa bevanda l’Autore ha esperienza in occidente, così che osservarne il colore, annusarne il profumo e berlo è oggetti di documentazione diretta, non passa attraverso il filtro del confronto.
L’apertura mentale di Marco Polo e dei suoi famigliari
mercanti-viaggiatori è documentata anche dalla scelta di apprendere le lingue dei luoghi in cui si recano, con l’evidente
effetto di ridurre le distanze culturali che si manifestano e possono diventare
insormontabili, quando non si riesca a condividere il veicolo linguistico.
La lezione che ancora risuona molto attuale dalle pagine del Milione è che l’atto di viaggiare sul serio non
corrisponde alla disimpegnata vocazione turistica cui può indurci certa pubblicità odierna: si tratta piuttosto di immergersi nella vita di altri, comprendere consuetudini e mentalità, senza rinunciare alla
propria identità ma ben disposti a metterla in rapporto con altre. Nel caso di
Marco Polo non sarebbe corretto, tuttavia, trascurare il fatto che egli abbia
potuto svolgere le sue osservazioni
godendo di un ruolo privilegiato, in quanto ufficialmente legato al re con il titolo
di messere, ossia informatore e ambasciatore personale del
sovrano presso tutti i popoli dell’impero.
Il ritorno a Venezia via mare, iniziato nel 1292, si concluderà nel
1298, anno in cui, durante una battaglia navale tra veneziani e genovesi, Marco
viene fatto prigioniero il 6 settembre nelle carceri genovesi, dove come si è
detto prenderà successivamente vita Il
milione. Dunque in questo scritto, oltre a essere documentata la scoperta
di nuovi mondi, ossia culture, usi, costumi, mentalità, vengono anche indicati
dei precisi destinatari, come si legge nella parte introduttiva: dai potenti e
signori alla gente comune, purché desiderosa di sapere cosa accada al di fuori del mondo fino ad allora
conosciuto.
All’interno del libro numerose sono in effetti le minuziose
descrizioni di persone e ambienti, compreso il medesimo Gran Khan e la sua
reggia. Poi, senza dubbio, nell’opera si riconosce la presenza di quello che
possiamo definire lo spirito veneziano
di Marco, ovvero uno spirto internazionale,
predisposto all’incontro tra culture, come s’addice a un porto di mare di
primaria importanza, crocevia di rotte disparate.
Liberato dalla prigionia nel 1299 Marco Polo riprende la vita da mercante senza più intraprendere lunghi viaggi, ma restando con la sua famiglia fino alla morte avvenuta nel 1324, mentre il suo Milione inizia a essere tradotto in moltissime lingue, dal latino a svariati volgari, con una risonanza di fama e di curiosità, nei confronti dell'opera, dell’autore e persino delle circostanze della composizione, che dura tuttora.
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