BOZZA: LAVORI CIRCOLO SCIPIONICO (17/20)

Roma, divenuta la superpotenza del mediterraneo entra in contatto con diverse culture, tra cui la raffinata cultura ellenica con la quale nella famiglia romana degli Scipioni nasce, nella seconda metà del II secolo a.C., un circolo che cerca una fusione tra le 2 culture: il Circolo Scipionico. Vi fecero parte diverse importanti figure:  Scipione l'Emiliano, Lelio, Lucilio, Rutilio Rufo, lo storico greco Polibio (deportato come ostaggio) e il filosofo Panezio, anch’egli greco.

Philantropia: In Terenzio viene mostrato un nuovo modo di vivere dove si rispetta il prossimo (in greco questo comportamento è chiamato philanthropia), dove si va oltre alle apparenze, si cerca di capire i pensieri e il modo di ragionare dell’altro (l’humanitas). Il suo teatro insegna che non esiste una soluzione valida per tutte le situazioni ma piuttosto una migliore, che va ricercata attraverso la propria sensibilità e intelligenza: promuove un relativismo etico. Di fronte alla sorte l'uomo, armato soltanto di un giudizio fragile e scelte fallibili, deve fare affidamento sulla solidarietà umana e sulla comprensione reciproca, in quanto sono in grado di migliorare l’esistenza umana e più umano l’individuo che la vive. (pag 145)

L’homo sum è una scena teatrale ideata da Terenzio che vede come protagonista Menedemo, un padre che ha ostacolato l’amore del figlio per una ragazza plebea e, pentito, si impone di lavorare nei suoi campi da mattina a sera. Il suo vicino, Cremete, è curioso di sapere il motivo di tanto affaticamento ma il suo tentativo di colloquio viene subito respinto da Menedemo che lo accusa di essere indiscreto. Una battuta di Cremete dopo questo episodio diventa uno dei versi più famosi della commedia latina (Homo sum: humani nihil a me alienum puto) e provoca nell’interlocutore un cambiamento. Decide di aprirsi e si confida al vicino raccontagli l’antefatto. Attraverso Menedemo Terenzio introduce il tema dell’educazione dei figli: infatti il protagonista ha indotto il figlio ad allontanarsi e interrompere i rapporti con lui. La sua autocritica denuncia un comportamento privo di umanità diffuso nella Roma di allora, suggerendo che una buona educazione si dovrebbe fondare sui valori dell’humanitas. Grazie a questo passo si può anche capire il linguaggio di Terenzio, ma non in modo specifico, che risulta un pelo più scialbo di quello plautino ma caratterizzato da effetti stilistici che danno raffinatezza al testo. (pag 152) (Filippo C., Francesco) 381

1) Quando inizia a esistere un circolo scipionico e chi ne fa parte?

Il circolo degli Scipioni è fondato nel II sec a.C. da alcuni componenti della classe altolocata della società romana, tra cui Scipione l'Emiliano, Lelio, Lucilio, Rutilio Rufo e altri. È un gruppo culturale filoellenico, di cui fa parte un’élite di uomini politici, storici, filosofi e scrittori romani e greci. Questo circolo connota tutta la cultura del tempo, e la rende più tendente all’ellenismo.

2) Che tipo di cultura elabora il cosiddetto circolo scipionico?

Il circolo scipionico elabora una cultura fondata sull’ideale dell’Humanitas, che propone l’accettazione e comprensione dell’altro, al posto di giudicarlo. Il termine vuole connotare l’umanità nel suo modo più vero, tutti i comportamenti, anche i più strani, senza tralasciarne aspetti, e senza avere l’audacia di esprimere giudizi. E questo è proprio quello che si ritrova nel teatro di Terenzio; realista, che raffigura scene di estrema quotidianità.

3) Quali sono i capisaldi di questa cultura e quanto vi è, in essa, di romano e di greco?

Questa cultura nasce dall’incontro delle tradizioni greche, romane e anche di altri popoli, i cui legami con il territorio di Roma, hanno necessariamente portano ad una loro influenza dei costumi del luogo.

La cultura elaborata nel circolo scipionico, seppur nata su territorio romano e sicuramente parzialmente condizionata da questi costumi, si ispira molto di più ad arti di origine greca; è infatti notevolmente suggestionata da attività quali retorica, grammatica, filosofia, pittura, scultura, caccia, teatro, che vedono il loro massimo splendore in territorio ellenico. Va però detto che la cultura ellenistica nella quale pone le sue radici il concetto dell’Humanitas, non nasce con gli scipionici, ma viene ereditata già dalle generazioni a loro precedenti.

La cultura del circolo scipionico si crea a partire da un desiderio dei romani di arricchire gli aspetti più spirituali delle usanze nazionali, quindi da un’enorme apertura mentale da parte loro, che desiderano una modificazione delle tradizioni. Il concetto dell’Humanitas va a variare il mos maiorum, l’ideale conservatore di Roma, seppur rispettandolo incredibilmente. Ma nonostante questa netta definizione dei confini tra cultura greca e romana, viene soppressa una parte dei costumi tradizionali, sufficientemente rilevante dal provocare non poche opposizioni tra i cittadini romani. (Lisa, Filippo M.) 366

Focus sul circolo scipionico 

1) Quando inizia a esistere un circolo scipionico e chi ne fa parte? 

Il circolo degli scipioni è un gruppo culturale filoellenico del II secolo a.C., che nasce nella Roma repubblicana come una classe élite di scrittori e uomini politici, come Scipione l’Emiliano, Lelio, Lucilio, Rutilio Rufo.  

2) Che tipo di cultura elabora il cosiddetto circolo scipionico? 

La cultura elaborata dal circolo scipionico è l’ellenismo, ovvero un punto di incontro tra cultura romana e greca: infatti gli scipioni ritenevano fondamentale per lo sviluppo della civiltà essere maggiormente aperti verso le altre culture e assimilarne i fondamenti migliori, pur sempre mantenendo una base romana. Uno di questi è l’humanitas, definita da Alfonso Traina come il riconoscere e il rispettare l’uomo in ogni uomo, che nasce dalla rielaborazione di materiale greco.  

 

3) Quali sono i capisaldi di questa cultura e quanto vi è, in essa, di romano e di greco? 

L’idea di humanitas matura lentamente nel passaggio dal mondo greco a quello romano. Pur non essendoci una parola greca che ha il medesimo significato, la paideia greca (ovvero l’educazione necessaria al fanciullo per diventare uomo) certamente è uno dei presupposti del concetto di humanitas, che nasce dalla rielaborazione da parte della civiltà romana di materiale greco. Anche lo stoicismo della filosofia greca ha posto le basi per il rimaneggiamento di questo concetto, in particolare attraverso il filosofo Panezio che influì sul circolo degli Scipioni. (Carlotta, Martina, Andrea S.) 232

CIRCOLO SCIPIONICO

Il concetto di humanitas ci conduce a riflettere sull’esistenza di una natura umana comune e transculturale. Dall’antichità classica ci perviene il concetto di humanitas come il riconoscere e il rispettare l’uomo in ogni uomo

L’idea di humanitas matura nel passaggio dal mondo greco al mondo romano. La lingua greca non possiede nessuna parola che sia equivalente a humanitas, anche se tra i termini più antichi il più assimilabile è philatrophia, ovvero “benevolenza”; e non paideia, ovvero “educazione”, come è stato proposto da alcuni studiosi.

Il concetto di humanitas, nel mondo romano, nasce da una rielaborazione originale di materiale greco; come per esempio lo stoicismo o la paideia, che sicuramente è uno dei presupposti per la sua realizzazione ma non si identifica con essa.

Il concetto di humanitas è stato elaborato fin dalle origini della letteratura latina, anche se il termine è stato attestato solo nel I secolo a.C., quando l'attenzione teatrale è stata spostata dal mito atemporale alle vicende storiche di Roma con i suoi cittadini. Il più illustre commediografo fu Menandro, le cui opere sono state definite come imitazione della vita, in cui i protagonisti si interfacciano con vicende quotidiane, come le humiles personae delle quali parlava il grammatico Diomede in contrapposizione agli eroi della tragedia. 

La commedia a Roma insegnava agli spettatori a ridere di se stessi contrapponendosi alla morale della società dell’epoca. Nelle rappresentazioni risalta il modo in cui le vicende umane siano soggette al gioco del destino e questo rende consapevoli gli spettatori dell’humanum facinus

Mentre Plauto aveva una visione pessimistica dell’uomo, Cecilio Stazio contrappone ad essa l’idea dalla quale deriva la massima “l’uomo per l’uomo è un dio, se conosce il suo dovere” che contiene già, oltre al nesso tra humanitas e officium, anche l’apertura dell’uomo nei confronti della divinità. 

Il contributo decisivo alla formazione dell’idea di humanitas lo si individua all’interno delle commedie di Terenzio (autore latino del II secolo a.C.), che vedono al centro vicende familiari basate sul contrasto dei sentimenti. Nelle opere di Terenzio l’humanitas, a volte, come nell’Andria, assume il significato di benevolenza o dovere; mentre altre volte, come nell’Adelphoe si riferisce alla moderazione e alla possibilità di sbagliare. Dalle opere di Terenzio di può trarre che l’humanitas è proclamata come un valore universale: l’uomo rivendica il diritto-dovere di interessarsi ai problemi degli altri uomini, con un atteggiamento di solidarietà e condivisione. 

L’idea di humanitas romana riassume e sfuma i valori precisi e severi che facevano parte del codice di comportamento romano: pietas, mores, dignitas, gravitas, integritas

Al postutto, quindi, gli storici romani ritennero necessaria la diffusione dell’idea di humanitas per la civilizzazione dell’impero. (Jacopo, Virginia) 433

1) L’arrivo a Roma dello storico Polibo e del filosofo Panezio nel II secolo avanti cristo, portò la cultura greca nella casa degli Scipioni e si formò, così, un gruppo culturale filoellenico nato dalla fusione delle due culture.

2)E 3) La cultura elaborata dal circolo degli Scipioni era aperta all’incontro con altre civiltà e perciò si favorì lo sviluppo del concetto di humanitas, che indica un senso di civiltà che si manifesta nella benevolenza verso gli altri, ma anche nella cultura e nel buon gusto. Questo concetto si sviluppò a partire dall’ influenza della cultura greca ma aveva già le sue basi in precedenza nel mondo romano, come per esempio possiamo trovarne traccia nel teatro plautino, poiché era già radicata l’idea di un comportamento genericamente definibile come “umano” relativo non al ruolo di cittadino e soldato ma a quello privato di persona ma particolarmente rilevante nelle commedie di Terenzio dove viene inteso come virtù che regola i rapporti interpersonali su un piano di reciproca fiducia e rispetto. (Matteo, Eleonora) 167

HUMANITAS

L’evento chiave del II sec. a.C. si può identificare nella distruzione di Cartagine da parte dei romani. Non si tratta della classica conquista effettuata dalle truppe imperiali, dal momento che non viene accordato nessun foedus con il territorio acquisito e Cartagine viene rasa al suolo. Il nemico viene completamente eliminato e cancellato insieme alla sua cultura. Così in alcuni circoli particolarmente liberali comincia a farsi largo l’idea che non fosse stato giusto distruggere Cartagine.  

Nel contesto di conquista romana delle terre greche, comincia a verificarsi una polarizzazione tra l’ideale ellenistico portato all’apertura ed il tradizionalismo decisamente vieto e pertinace. Quest’ultimo vedeva la perfetta sanità morale ed etica nella lealtà ai valori contadini del vir bonus colendi peritus. Questa divisione della società coinvolgeva esclusivamente i nobili, gli unici che potevano godere di una formazione a cui arrivava l’alfabetizzazione. Questi vedevano anche in prospettiva utilitaristica la mescolanza con la cultura greca: detto da persone che vivevano di guerra, gli Scipioni erano capi militari, sembra una contraddizione il fatto che sviluppino l’idea di humanitas. Hanno capito cosa bisognasse prendere dalla cultura greca senza irrigidirsi perché la conquista romana altrimenti non sarebbe andata avanti 

All’interno del Circolo Scipionico, di cui faceva parte Terenzio, comincia a formarsi una cultura che rappresenta la sintesi tra quella greca e quella romana senza escludere ulteriori apporti esterni. Si tratta della romanità più disposta all’apertura e alla modifica dei propri fondamentali. Tra i frequentatori figurano i nomi di Scipione l’Emiliano, Lelio, Lucilio, Rutilio Rufo e tra gli oppositori certamente Catone contrario ad ogni innovazione rispetto alla tradizione degli antenati.  

Non poteva che fiorire a Roma in questo gruppo culturale filoellenico il concetto di humanitas che matura lentamente nel passaggio dal mondo ellenico a quello latino ed è destinato a permanere nel tempo fino all’avvento del cristianesimo con l’introduzione della caritas. Il suo significato si potrebbe riassumere come il “riconoscere e rispettare l’uomo in ogni uomo” corrispondente al greco Philantropia (benevolenza) che si differenzia dalla paideia (educazione).  

Probabilmente Terenzio, che contribuisce a elaborare questo concetto nel I secolo a.C., ne fornisce la miglior sintesi attraverso la massima “homo sum: humani nihil a me alienum puto” ("sono un uomo: tutto ciò che è umano, non lo ritengo a me estraneo). Contiene quindi un diritto ma anche dovere degli uomini di interessarsi ai problemi degli altri sviluppando solidarietà e condivisione.  

Il materiale per la nascita dell’humanitas è già presente all’interno della cultura greca che però non raggiunge la sua completa elaborazione. La società romana con il suo sistema organizzato di valori precisi e severi che il cittadino doveva rispettare (come la pietas o i mores) costituisce la culla perfetta per la nascita di un concetto che li rende meno rigidi e li riassume allo stesso tempo. Rappresenta quindi un passaggio anche verso un’umanizzazione generale rintracciabile anche nel teatro del tempo che con Nevio ed Ennio sposta l’attenzione dal mito atemporale greco con gli eroi semidivini alle vicende storiche cittadine con protagonisti più umani. (Ettore, Sergiu, Federico, Lorenzo) 496

Catone, illustre politico, generale e scrittore romano, fu, anche, il campione più rappresentativo nella lotta tradizionalista per respingere le innovazioni filoelleniche, che avrebbero potuto alterare le strutture stesse della società romana. Infatti, sul piano politico e letterario, ebbe come obiettivo polemico la famiglia degli Scipioni e, in particolare, Publio Cornelio Scipione l’Africano, massimo esponente dell’espressione più rappresentativa del movimento ellenizzante. Nel testo riportato da Aulo Gellio è chiara la ricerca di Catone di dimostrare la superiorità degli eroi Romani risposto agli eroi Greci. Il politico romano, infatti, preferisce la semplicità del costume romano alle divinizzazioni degli eroi portata dalla mentalità greca. In questo scritto Catone paragona due imprese molto simili accadute una a Roma e una in Grecia. 

La prima è quella di un tribuno romano che guidò 400 soldati in battaglia e salvò la vita a molti di essi e che, nonostante le numerose ferite, servì nuovamente lo Stato in battaglia ma ottenne poche lodi per il suo valore.  

La seconda, invece, accadde in Grecia una situazione analoga con lo spartano Leonida alle Termopili, località greca dove era presente uno stretto passaggio costiero, in cui salvò la vita al suo esercito. Al contrario del tribuno venne onorato con monumenti, fama e gloria. 

Da questo testo si può notare la critica alla cultura filoellenica di Catone che, per lui, avrebbe potuto alterare la società romana e il mos maiorum basato sulla fede, la lealtà, la fiducia e la fedeltà 

In un’opera di Cicerone appartenente alla sua vecchiaia, intitolata Origines, di cui abbaimo solo dei frammenti. Di questa composizione ne parla Cornelio Nepone della biografia dedicata al Censore. Le Origines, narravno il periodo della nascita di Roma e le gesta dei re, le origini dellle principali città italiane e notizie sulla loro popolazione, gli eventi successivi della stira di Roma fino al 151 a.C.. La parte importante che ci giunge da Nepone è che Catone aveva taciuto i nomi dei singoli condottieri, narrando quindi solo i fatti senza lasciare spazio alla divinizzazione e a l culto delle individualità. Catone rappresenta una storia in cui è il popolo romano il protagonista e la crescita dell’impero e della sua potenza sono i risultati di uno sforzo di tanti attori anonimi. Il destino della patria prevale sui singoli. Catone comunque esalta il singolo atto eroico, a patto che ci sia una dedizione assoluta alla patria, fino al sacrificio del proprio corpo e della prorpia vita. (Alberto, Giuseppe) 401

 

 

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