CATULLO

 CATULLO

LA DEDICA INIZIALE

Libercarmen I  

 Cui dono lepidum novum libellum 

arida modo pumice expolitum?

Corneli, tibi; namque tu solebas 

meas esse aliquid putare nugas,

iam tum cum ausus es unus Italorum

omne aevum tribus explicare chartis, 

doctis, Iuppiter, et laboriosis! 

Quare habe tibi quidquid hoc libelli

qualecumque: quod, o patrona virgo,

plus uno maneat perenne saeclo. 

 Dedica a Cornelio Nepote (carme 1)

TRAD CB

A chi donare il mio nuovo, graziosissimo libretto

levigato da poco con la scabra pomice?

A te, Cornelio: infatti tu eri solito

assegnare un qualche valore alle mie sciocchezzuole,

già al tempo in cui, unico fra gli Italici, osasti

ripercorrere in tre libri, eruditi e elaborati, la storia universale.

Quindi ecco a te, quale ne sia il valore, questo  libretto:

che esso, o vergine musa, divenga eterno, superando il limite della mia generazione.

 

TRAD M. Ramous, Garzanti, 1975

A chi donerò questo prezioso novissino 

libretto ancora lucido di pomice?

A te, Cornelio, a te che alle mie cose

attribuivi un senso fin dagli anni

in cui, unico fra noi, tu affrontavi 

la storia universale in tre libri

così colti e tormentati, mio dio. 

Valga quel che valga, il libretto è tuo:

musa, vergine mia, 

fa' che mi possa sopravvivere. 

 TRAD Mario Rapisardi, 1889 (wikisource)

 A chi mai dedico questo libretto

     Di cianciafruscole giocondo e schietto,

Che uscendo in pubblico, ben ben polito
     Dall’arsa pomice mostra il vestito?

5A te, Cornelio, ch’uso dir sei,
     C’han qualche grazia gli scherzi miei;

E che fra gl’itali scrittori osasti
     Di tutti i secoli spiegare i fasti

Con ardir unico, solo in tre carte:
     
10E che giudizio, per dio, che arte!

Qual ch’esso siasi dunque tu accetta
     Questo libercolo che a te si spetta,

 

E tu fa’, vergine patrona e diva,
     Che più d’un secolo perenne ei viva.

 CARME OCCASIONALE, SCHERZO

Carmen XIII

Cenabis bene, mi Fabulle, apud me

paucis, si tibi di favent, diebus, 

si tecum attuleris bonam atque magnam

cenam, non sine candida puella

et vino et sale et omnibus cachinnis. 

Haec si, inquam, attuleris, venuste noster,

cenabis bene; nam tui Catulli

plenus sacculus est aranearum.

Sed contra accipies meros amores 

seu quid suavius elegantiusve est: 

nam unguentum dabo, quod meae puellae

donarunt Veneres Cupidinesque, 

Quod tu cum olfacies, deos rogabis 

totum ut te faciant, Fabulle, nasum


TRAD CB

Con l’aiuto degli dei,  Fabullo caro, entro pochi

giorni farai una buona cena a casa mia,

se porterai cibo gustoso e abbondante,

nonché una bella fanciulla,

vino, sale e tutta la tua allegria.

Se porterai ciò, ripeto, bello mio,

cenerai bene: questo perché

la borsa del tuo amico Catullo è piena…di ragnatele.

Però, in cambio, riceverai il mio sincero affetto

e quanto vi è di più elegante e raffinato:

ti darò un unguento che Venere e Amore

hanno donato alla mia bella.

E quando l’odorerai, caro Fabullo, implorerai gli dei

che ti rendano “tutto naso”!

 TRAD Rapisardi

 Presto avrai lauta cena, o Fabullo,

    Gli Dei t’ ajutino, dal tuo Catullo,

Solo che piacciati con te portare
    Ogni amminicolo per ben cenare,

5Da una piacevole donnetta infino
    Al sale, ai lepidi sollazzi e al vino.

[

Se questo, o amabile, tu recherai,
    Cena lautissima con me farai:

Chè nel mio povero portamonete
    
10I ragni, credilo, ci fan la rete.

Ma da me in cambio sarai fornito
    Del più gradevole, del più squisito

Unguento, un balsamo che all’amor mio
    Cupido e Venere diedero; ed io

15Sono certissimo, che appena il senti,
    Gli Dei tu supplichi con voti ardenti,

Perchè d’un subito, secondo il caso,
    Tutto ti facciano diventar naso.

TRAD Ramous

Se dio vorrà, uno di questi giorni, 

mio Fabullo, da me cenerai bene;

ma con te porta una cena abbondante

e squisita, una ragazza in fiore, 

vino, sale e tutta la tua allegria. 

Solo così, ripeto, amico mio, 

cenerai bene, perché il tuo Catullo

ha la borsa piena di ragnatele.

In cambio avrai un affetto sincero

e tutto ciò che è bello e raffinato:

ti darò un profumo che la mia donna

ha avuto in dono da Venere e Amore.

Quando l'odorerai, prega gli dei,

Fabullo mio, di farti tutto naso. 

CARME A TEMA GNOMICO E MEDITATIVO/AMICIZIA TRADITA

Carmen LXXIII

Desine de quoquam quicquam bene velle mereri
aut aliquem fieri posse putare pium.
Omnia sunt ingrata, nihil fecisse benigne
immo magisque etiam taedet obestque magis,
ut mihi, quem nemo gravius nec acerbius urget, 
quam modo qui me unum atque unicum amicum habuit


TRAD CB



TRAD Ramous
Non credere più che l'affetto meriti qualcosa
o che qualcuno possa mai esserti grato.
L'ingratitudine è di tutti; e il bene fatto nulla,
anzi fonte di amarezze e mali peggiori.
Nessuno ora mi odia con più crudele accanimento
di chi ieri mi considerava l'unico vero amico.

TRAD Rapisardi

Non aspettar del ben che vuoi, che fai,
     Bene per bene o gratitudin mai.

Son tutti ingrati, ed il ben far non vale,
     Anzi rincresce, ed è stimolo al male.

5Io me ’l so, che non ho peggior nemico
     Di chi diceasi or or mio solo amico.

 ELEGIA FUNEBRE/FRATELLO/MODELLO PER FOSCOLO

Carmen CI

Multas per gentes et multa per aequora vectus
advenio has miseras, frater, ad inferias, 
ut te postremo donarem munere mortis 
et mutam nequiquam adloquerer cinerem,
quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum,
heu miser indigne frater adempte mihi.
Nunc tamen interea haec, prisco quae more parentum 
tradita sunt tristi munere ad inferias,
accipe fraterno multum manantia fletu  
atque in perpetuum, frater, ave atque vale

 TRAD CB

Trasportato attraverso molti popoli e molti mari

giungo, fratello, alle tue misere spoglie,

così da porgerti l’ultima offerta che si deve ai morti

e invano parlare alle tue mute ceneri:

ora che la sorte ti ha strappato a me,

povero fratello crudelmente sottrattomi.

Ora però accetta questa offerta che, secondo l’antico costume dei padri,

affido come triste dono per i riti funebri,

tutta intrisa del mio pianto fraterno;

addio per sempre, fratello.

TRAD Rapisardi

Per molte genti e molti mari ai mesti
     Tuoi funeri, o fratel, sono venuto,
     A ciò che a te gli ufficj ultimi io presti,
     4E parli, ah invan, col tuo cenere muto:

Col cener tuo, poi che tu stesso a questi
     Occhi fosti rapito, e t’ho perduto,
     O misero fratel, che qui cadesti
     8Nel fior dei tuoi giocondi anni mietuto.

Pur questi doni, che con rito antico
     Consecrato dagli avi, o fratel mio,
     11Spargo sul tuo sepolcro, accogli amico:

Stillan del pianto irrefrenato, ond’io,
     Perpetua pace a te pregando dico:
     14Dolce fratello, eternamente addio.

TRAD Ramous


Di  mare in mare, da un popolo all'altro
vengo a queste tue misere esequie, fratello, 
per donarti l'ultima offerta che si deve ai morti
e invano parlare alle tue ceneri mute:
ora che la sorte a me ti ha strappato, 
così crudelmente strappato, fratello infelice. 
Pure, amaro dono per un rito estremo,
nell'uso antico dei padri accogli l'offerta
che ora ti affido: così intrisa del mio pianto.
E in eterno riposa, fratello mio, addio. 

cfr. Foscolo, In morte del fratello Giovanni

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de' tuoi gentil anni caduto.

La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.

Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch'io nel tuo porto quiete.

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta. 

PER LESBIA

Carmen V

Vivamus mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis!
soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.


TRAD CB

Godiamoci la vita, Lesbia mia, e vogliamoci bene,

non prendiamoci cura dei borbottii dei vecchi troppo austeri!

Il sole può tramontare e poi sorge:

ma noi, una volta che sia venuta meno la breve luminosa vita,

dobbiamo dormire un’unica, eterna notte.

Dammi mille baci, poi cento,

poi altri mille e ancora cento.

Quando ne avremo messe insieme molte migliaia,

le confonderemo, per non saperne il numero,

o perché nessun malvagio possa gettarci il malocchio,

qualora venga a conoscenza di un così gran numero di baci.

TRAD Rapisardi
Godiamo, o Lesbia, mia Lesbia, amiamo,
   E de’ più rigidi vecchi i rimproveri
   3Meno d’un misero asse stimiamo.

Tramontar possono gli astri e redire:
   Noi, quando il tenue raggio dileguasi,
   6Dobbiam perpetua notte dormire.

Baciami, baciami, vuo’ che mi baci;
   A cento scocchino, a mille piovano
   9Qui su quest’avida bocca i tuoi baci.

E poi che il numero sfugge a noi stessi,
   Baciami, baciami, sì che l’invidia
   12Non frema al còmputo de’ nostri amplessi.

Lesbia e le altre (carme 86)
Quintia formosa est multis. mihi candidalonga,
recta est: haec ego sic 
singula confiteor.
totum illud 
formosa nego: nam nulla venustas,
nulla 
in tam magno est corpore mica salis.
Lesbia formosa est, quae cum pulcherrima tota est,
tum omnibus una omnis surripuit Veneres.

A detta di molti Quinzia è bella, per me è bianca, slanciata,

proporzionata. Presi uno a uno riconosco questi pregi,

ma nego che nell’insieme sia bella: infatti in quel corpo superbo

non c’è nessuna grazia, né un po’ di spirito.

Bella è Lesbia, che intanto è bellissima nell’insieme,

e poi ha tolto a tutte le altre ogni attrattiva.

 

Ille mi par esse deo videtur (carme 51)

lle mì par èsse deò vidètur,
ìlle, sì fas èst, superàre dìvos,
quì sedèns advèrsus idèntidèm te
spèctat et àudit

dùlce rìdentèm, miserò quod òmnes
èripit sensùs mihi: nàm simùl te,
Lèsbia, àspexì, nihil èst supèr mi
<vòcis in òre;>

lìngua sèd torpèt, tenuìs sub àrtus
flàmma dèmanàt, sonitù suòpte
tìntinànt aurès, geminà tegùntur
lùmina nòcte.

Òtiùm, Catùlle, tibì molèstus:
òtio èxsultàs nimiùmque gèstis:
òtium èt regès prius èt beàtas
pèrdidit ùrbes.

Simile a un dio mi pare,

o addirittura, se non suona blasfemo, superiore agli dei

chi, standoti vicino, ti guarda continuamente,

ti ascolta mentre ridi dolcemente, mentre a me,

poveretto, viene meno la capacità di sentire: ogni volta

che ti guardo, Lesbia, non mi rimane un filo di voce,

mi si intorpidisce la lingua, un sottile fuoco mi scorre nelle ossa,

le orecchie mi ronzano internamente, gli occhi sono

coperti di tenebre.

È l’ozio a farti male, Catullo:

nell’ozio ti esalti e ecciti troppo.

L’ozio ha mandato in rovina in passato

re e prospere città.

 

Carmi 2-3

Passer, deliciae meae puellae,
quicum ludere, quem in sinu tenere,
cui primum digitum dare appetenti
et acris solet incitare morsus,
cum desiderio meo nitenti
carum nescio quid lubet iocari
et solaciolum sui doloris,
credo ut tum gravis acquiescat ardor:
tecum ludere sicut ipsa possem
et tristis animi levare curas!

O passero, delizia della mia fanciulla,

col quale è solita giocare, tenerlo in grembo,

porgere il dito all’assalto e

provocarne le beccate rabbiose,

quando alla donna dei miei sogni

piace intrattenersi dolcemente

e trovare sollievo al proprio dolore

(almeno credo); affinché allora si plachi l’affanno doloroso,

potessi io giocar con te come lei

e alleviare le sofferenze dell’animo!

 

Piangete Divinità dell’Amore,

e tutti voi spiriti più gentili.

È morto il passero della mia bella,

il passero delizia della mia fanciulla,

che lei amava più dei suoi occhi:

era dolcissimo e riconosceva lei

come una bimba riconosce la mamma,

né si allontanava dal suo grembo,

ma saltellando or qua or là

cinguettava per lei sola.

E lui ora se ne va per quell’oscuro cammino

da cui dicono nessuno torni.

Maledette voi, tenebre dell’Orco,

che divorate tutte le cose belle:

mi avete sottratto un passerotto così bello.

O sventura, povero passerotto!

Adesso, per colpa tua, gli occhietti

della mia bella per il gran piangere si son fatti rossi.


Carme 85

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.


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