RERUM VULGARIUM FRAGMENTA - PERCORSO ANALITICO del V SONETTO (ENIGMISTICA) lezione 27 maggio
Riprendo con i dati: i Fragmenta comprendono 366 (365, come i giorni in un anno, più uno introduttivo, Voi ch'ascoltate) componimenti, di cui 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali.
Dopo il sonetto proemiale, già analizzato, nei Rerum vulgarium fragmenta la materia dell'ispirazione poetica di Petrarca è varia, ma un ruolo centrale è occupato dalla vicenda d'amore con Laura. Sotto questo profilo, lasciando da parte la questione dell'identificazione storica della donna (che anche Boccaccio metteva in dubbio) ha comunque senso, per comodità didascalica, riconoscere che la raccolta può essere suddivisa in due sezioni: i componimenti in vita (fino al 266) e quelli in morte di Laura (dal 267) Oltre al tema dell'amore per Laura, figura anche quello della tensione opposta dell'animo di Petrarca (a noi nota attraverso il Secretum) che lo porta da un lato a desiderare un perfezionamento spirituale, dall'altro a subire l'attrazione potente della dimensione materiale, sia essa rappresentata dalla passione amorosa, sia dall'interesse politico e sociale, nonché dal desiderio di riconoscimento e di successo.
Parto dal tema del nome di Laura, così come si presenta originalmente in un sonetto, il V della raccolta, in cui appare per la prima volta, sia pure in una forma per così dire occulta:
Quando io movo i sospiri a chiamar voi,
e ’l nome che nel cor mi scrisse Amore,
Laudando s’incomincia udir di fore
il suon de’ primi dolci accenti suoi.
Vostro stato real, che ’ncontro poi,
raddoppia a l’alta impresa il mio valore;
ma: taci, grida il fin, ché farle honore
è d’altri homeri soma che da’ tuoi.
Così laudare et reverire insegna
la voce stessa, pur ch’altri vi chiami,
o d’ogni reverenza et d’onor degna:
se non che forse Apollo si disdegna
ch’a parlar de’ suoi sempre verdi rami
lingua mortal presumptüosa vegna.
Vi rendete immediatamente conto, dopo averlo letto, che in nessun verso figura un nome proprio. Eppure tutto il componimento è intessuto del nome della donna, riguarda il nome, ne tratta in ogni passaggio espressivo. Il sonetto in questione è in effetti un unicum nel Canzoniere, composto come una sorta di gioco enigmistico aperto a svariate soluzioni. Il contenuto comunicativo prevalente è certamente l'esaltazione del nome amato. Francesco esordisce dichiarando di eseguire un atto di per sé meccanico, l’emissione della voce, che però qui acquista subito una connotazione affettiva: non suoni, ma sospiri, che compongono esattamente il nome dell’amata, quello che Amore stesso [ricordate l'incipit della Vita nuova e la presenza di Amore divinità?] gli ha scritto nel cuore. I suoi sospiri dunque sono esalazioni che partono da tale organo: si trova qui variato il motivo topico, risalente alla poesia cortese, di Amore che fissa nel cuore dell’innamorato il volto della sua amata. Il nome, quindi, è tutto in quei sospiri del cuore. Passiamo allora al livello enigmistico: si trova qui contenuto un primo indizio, ovvero che per ricostruire il nome dell’amata bisogna ricercarne i fonemi costitutivi. Come? Lo spiega nei due versi successivi: laudando s’incomincia udir di fore / il suono de’ primi dolci accenni suoi; laudando il nome di lei potremmo sentire la prima sillaba, che coincide senza dubbio con LAU-. Il rapporto che emerge tra il concetto di laude e il nome che sarà rivelato dal sonetto in questione, Laura, non è solamente di tipo allitterativo, come potrebbe inizialmente sembrare, ma anche e soprattutto di tipo sostanziale. In effetti, già un etimologista medievale quale Isidoro diceva: laurus a verbo laudis dicta; enim cum lauribus victorum capita coronabantur ovvero il lauro è così detto dalla parola lode; infatti le teste dei vincitori venivano coronate di rami d'alloro. Il gioco enigmistico, però, prosegue. La prima sillaba che ricaviamo per ricostruire il nome Laura è dotata anche di senso proprio, nel momento in cui andiamo a sovrapporla ad un altro termine latino, laus, lode, che si mostra quasi del tutto coincidente. In conclusione, nell’atto stesso di lodare il suo nome, quest’ultimo viene in parte già pronunciato. Ai vv. 5-6 Francesco scrive: vostro stato real, che ’ncontro poi, / raddoppia a l’alta impresa il mio valore, cioè la sua condizione regale è paragonabile a quella di un sovrano, di un re; questo sostantivo dal valore semantico autonomo e formato tra l’altro da una sola sillaba, può a tutti gli effetti costituire il secondo segmento del nome amato, che a questo punto risulta essere LAU-RE. La conferma di una corretta interpretazione degli indizi offerti da Petrarca, cioè delle definizioni contenute nella prima quartina e nei primi due versi della seconda, è desumibile dalla prima terzina, la quale recita: Così laudare e reverire insegna / la voce stessa, pur ch’altri vi chiami, / o d’ogni reverenza et d’onor degna; nei due infiniti compaiono una seconda volta, questa volta in posizione apicale, le due sillabe in questione. Il nome desunto fin qui, Laure, potrebbe essere considerato completo e potrebbe coincidere ipoteticamente con una voce provenzale o antico francese, tuttavia i più ritengono il nome incompiuto. Tale forma nominale attenderebbe di essere dunque completata con una terza sillaba. Utilizzando quindi lo stesso procedimento adottato per le prime due sillabe, ritorniamo alla seconda quartina, che si conclude con ma: taci grida il fin, ché farle honore / è d’altri homeri soma che da’ tuoi. Il fin a cui Francesco fa riferimento è appunto l’ultima sillaba del nome, perciò basandoci sulla parola taci dobbiamo estrapolare la prima parte del termine, TA-, e assicurarci che essa possieda indicativamente un significato proprio che potrebbe essere un imperativo abbreviato di tacere, appunto *ta’, peraltro non attestato nella nostra lingua, ma ricostruibile su altri consimili imperativi monosillabici. A questo punto, il nome che ricaviamo sciolto l’enigma è Laureta.
Propongo ora alcuni altri componimenti esemplificativi.
XC
Erano i capei d’oro a l’aura
sparsi [nel manoscritto autografo si legge laura, non l'aura]
che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son
sì scarsi;
e ’l viso di pietosi color’
farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’esca amorosa al petto
avea,
qual meraviglia se di sùbito
arsi?
Non era l’andar suo cosa mortale,
ma d’angelica forma; e le parole
sonavan altro che, pur voce umana;
uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch’i’ vidi: e se non fosse or tale,
piagha per allentar d’arco non sana.
CXXVI
Chiare, fresche et dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo ove piacque
(con sospir’ mi rimembra)
a lei di fare al bel fiancho colonna;
herba et fior’ che la gonna
leggiadra ricoverse
co l’angelico seno;
aere sacro, sereno,
ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse:
date udïenzia insieme
a le dolenti mie parole extreme.
S’egli è pur mio destino,
e ’l cielo in ciò s’adopra,
ch’Amor quest’occhi lagrimando chiuda,
qualche gratia il meschino
corpo fra voi ricopra,
e torni l’alma al proprio albergo ignuda.
La morte fia men cruda
se questa spene porto
a quel dubbioso passo:
ché lo spirito lasso
non poria mai in più riposato porto
né in più tranquilla fossa
fuggir la carne travagliata et l’ossa.
Tempo verrà anchor forse
ch’a l’usato soggiorno
torni la fera bella et mansüeta,
et là ’v’ella mi scorse
nel benedetto giorno,
volga la vista disïosa et lieta,
cercandomi: et, o pieta!,
già terra in fra le pietre
vedendo, Amor l’inspiri
in guisa che sospiri
sì dolcemente che mercé m’impetre,
et faccia forza al cielo,
asciugandosi gli occhi col bel velo.
Da’ be’ rami scendea
(dolce ne la memoria)
una pioggia di fior’ sovra ’l suo grembo;
et ella si sedea
humile in tanta gloria,
coverta già de l’amoroso nembo.
Qual fior cadea sul lembo,
qual su le treccie bionde,
ch’oro forbito et perle
eran quel dì a vederle;
qual si posava in terra, et qual su l’onde;
qual con un vago errore
girando parea dir: Qui regna Amore.
Quante volte diss’io
allor pien di spavento:
Costei per fermo nacque in paradiso.
Così carco d’oblio
il divin portamento
e ’l volto e le parole e ’l dolce riso
m’aveano, et sì diviso
da l’imagine vera,
ch’i’ dicea sospirando:
Qui come venn’io, o quando?;
credendo esser in ciel, non là dov’era.
Da indi in qua mi piace
questa herba sì, ch’altrove non ò pace.
Se tu avessi ornamenti quant’ài voglia,
poresti arditamente
uscir del boscho, et gir in fra la gente.
CARATTERISTICHE FORMALI DEI SONETTI
Il sonetto è costituito da due quartine e due terzine di ENDECASILLABI. Lo schema metrico è ABABABAB CDCCDC o CDECDE, ma varia nel tempo in ABBA ABBA, mentre ancor più variano le terzine.
CARATTERISTICHE FORMALI DELLA CANZONE
Suddivisa in STROFE o STANZE di endecasillabi o settenari; ogni stanza si compone di un numero variabile di versi, da 5 a 7 in genere. Spesso le canzoni terminano con una strofa più breve (nella canzone petrarchesca sopra riportata sono tre versi) detta commiato.
CARATTERISTICHE FORMALI DELL'ENECASILLABO
Dato che deve avere un accento fisso in decima sillaba, ne consegue che avrà 11 sillabe se l'ultima parola è piana, 10 se è tronca, 12 se è sdrucciola.
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