LAVORO DI GRUPPO ETA' DELL'ORO - OVIDIO
Il mito dell’età dell’oro (CB)
I miti sono rappresentazioni archetipiche, ma anche proiezioni a un livello alto (divino, metafisico) di ciò che è visibile e terreno. Secondo il poeta greco Esiodo, attivo nell'VIII-VII secolo a. C. e autore del poema cosmologico Le Opere e i giorni, elementi fisici come montagne e fiumi hanno una sorta di doppio cosmico, nel quale evidentemente si manifesta una perfezione. Sempre a Esiodo si deve la prima rievocazione di una stirpe di esseri umani dell'età dell'oro, ai quali diedero vita gli dei nell'era di Crono: creature semidivine in quanto ignare di dolori e fatiche, lavoro e vecchiaia, alle quali la natura offriva spontaneamente ogni frutto. Questa umanità originaria era pacifica e amata dagli dei, ma presto iniziò a declinare. Il declino ha diverse espressioni: la stirpe argentea, per via della sua empietà e bellicosità, viene sterminata da Zeus, quella bronzea è così violenta da arrivare all'autodistruzione; sembra costituire un'eccezione la stirpe degli eroi, che però si distruggono reciprocamente guerreggiando e passano all'isola dei beati, mentre il culmine dell'abiezione coincide con la stirpe ferrea, che vive in un mondo in cui Aidos, il Pudore, e Nemesis, la Giustizia, sono scomparsi.
Nel Politico, dialogo platonico del 366 a. C., il mito è modificato: si susseguono due cicli, l'uno ascendente, coincidente con l'età dell'oro, l'altro discendente. Nel primo una divinità superiore e altre minori si prendono cura degli esseri umani divisi in greggi. L'età dell'oro platonica ha quindi una veste pastorale, il suo eden originario somiglia a un comunismo utopico, in cui la condivisione dei beni e l'assenza di necessità di lavorare consentono di dedicarsi a occupazioni come conversare e filosofare.
Negli Annales di Ennio, III-II secolo a. C., il mito si romanizza: Crono è Saturno, e con quest'ultimo coincide un periodo felice della storia italica, la Saturnia Tellus coincidente con il Lazio, in cui (dal verbo lateo/latere) si sarebbe nascosto Saturno inseguito da Giove.
Cicerone, che traduce nel I secolo a. C. Arato da Soli (poeta del IV-III secolo, autore dei Fenomeni), rappresenta le varie età come altrettante degenerazioni di una medesima stirpe. Di qui il fatto che l'età dell'oro diventi una sorta di categoria morale: gli uomini aurei, ad esempio, scelgono di vivere modestamente anche se hanno a disposizione tantissimi beni.
Ancora nel I secolo a. C. e in ambito latino si può rintracciare la versione di Lucrezio del mito, nel V libro del suo poema De rerum natura. Il poeta romano non idealizza lo stato di natura, dato che gli uomini primitivi conducono un'esistenza allo stato ferino, che li mette in difficoltà rispetto a una natura nient'affatto benigna e a un mondo in cui prevale la legge del più forte. Gli esseri primitivi, però, sono comunque aurei nel senso di non essere afflitti dalla brama insaziabile di beni caratteristica dei tempi coevi al poeta. Anche in Lucrezio è quindi presente l'idea di un'innocenza originaria, di uno stato di natura che non è ancora rovinato dalla cultura ma è innocente.
La prospettiva virgiliana è ancora differente, perché da antropologica diventa escatologica. In particolare nella IV Ecloga delle Georgiche, il poeta celebra la nascita del figlio di Asinio Pollione, suo amico e protettore, nei termini del segno di un ritorno dell'età dell'oro. Vengono evocati l'oracolo cumano, il regno di Saturno, tutti segni della nuova era che si va preparando. Nell'Eneide, poema scritto successivamente, Virgilio fa risalire a Ottaviano Augusto il merito di aver restaturato l'età di Saturno, salvando il Lazio dalle guerre civili che lo stavano devastando. La visione diventa quini, con lui, decisamente politica: sotèr, di derivazione greca, e pater patriae, latina, si saldano e diventano un mito attivo dal medioevo, al rinascimento, all'età moderna, in cui si radica anche il pensiero utopistico. La visione virgiliana a un certo punto ospita l'avvento necessario del labor improbus: la sua valenza negativa, ovvero il fatto che sia espressione di una perdita da parte dell'umanità (i benefici di una tellus che offre spontaneamente i suoi frutti), è mitigata dalla circostanza (cantata da Virgilio) che dalla sua necesità provengano le artes, ossia un raffinamento delle capacità umane.
Il quadro dell'età dell'oro offerto da Ovidio nelle Metamorfosi è quello di un'esistenza in armonia con la natura e senza cultura. Assenti costruzioni, lavoro, leggi e spontanea l'armonia complessiva. La natura favorisce finché non ha inizio il regno di Giove: argento, bronzo, ferro si susseguono in un crescendo di degenerazione di cui la navigazione e la proprietà privata sono i segni più evidenti.
Il mito dell'età dell'oro conosce elaborazioni in ambito filosofico pitagorico, platonico e stoico. Seneca, nel I secolo d. C., connette il periodo aureo con una condizione di complessiva armonia con la natura e tra esseri umani, una specie di comunismo originario. Beati ma non saggi né sapienti, questi esseri umani primitivi non scelgono di non errare in quando non sanno errare (di qui il fatto che Seneca non li consideri un modello). Auspicabile, per il filosofo del periodo neroniano, il raggiungimento di una novella età dell'oro in cui sia il saggio a indicare la via della vera felicità.
In ambito biblico, nel libro dell'Emmanuele 11, 6-8, il profeta Isaia dipinge un'epoca in cui regni l'armonia totale fra gli esseri, un'assenza totale di conflitti e morti inflitte, anche solo per ragioni di sopravvivenza (il vitello e il leoncino pascoleranno insieme, si legge, e un fanciullo li guiderà). Con la nascita e la diffusione del cristianesimo i classici sono letti in chiave figurale e questo comporta che l'età dell'oro venga assimilata a quella edenica, interrotta dal peccato originale che dà inizio alla degenerazione degli umani, culminante col fiorire del politeismo.
Commenti
Posta un commento