DAL DE CATILINAE CONIURATIONE (1)

 1 Pulchrum est bene facere rei publicae, etiam bene dicere haud absurdum est; vel pace vel bello clarum fieri licet; et qui fecere et qui facta aliorum scripsere, multi laudantur. 2 Ac mihi quidem, tametsi haudquaquam par Gloria sequitur scriptorem et actorem rerum, tamen in primis arduom videtur res gestas scribere: primum, quod facta dictis exaequanda sunt; dehinc, quia plerique, quae delicta reprehenderis, malevolentia et invidia dicta putant, ubi de magna virtute atque gloria bonorum memores, quae sibi quisque facilia factu putat, aequo animo accipit, supra ea veluti ficta pro falsis ducit. 3 Sed ego adulescentulus initio, sicuti plerique, studio ad rem publicam latus sum ibique mihi multa advorsa fuere. Nam pro pudore, pro abstinentia, pro virtute audacia, largitio,  avaritia vigebant. 4 Quae tametsi animus aspernabatur insolens malarum artium, tamen inter tanta vitia imbecilla aetas ambitione corrupta tenebatur; 5 ac me, quom ab reliquorum malis moribus dissentirem, nihilo minus honoris cupido eadem, quae ceteros, fama atque invidia vexabat.

1 E’ bello operare bene per lo Stato, anche il parlarne bene non è disdicevole; sia in pace che in guerra è possibile diventare famoso; e sia quelli che hanno agito sia quelli che hanno scritto le imprese degli altri in molti sono lodati. 2 E a me senza dubbio, sebbene una gloria affatto uguale accompagni il narratore e l’attore di imprese, tuttavia sembra particolarmente difficile narrare le imprese: per prima cosa perché le azioni devono essere uguagliate con le parole, poi perché la maggior parte ritiene dette per malevolenza e invidia le cose che tu potresti criticare come delitti, quando tu ricordi il grande valore e la gloria dei buoni, le cose che ciascuno considera facili a farsi, le accetta di buon grado, quelle al di sopra le ritiene false, come fossero state inventate. 3 Orbene io, da giovane, all’inizio, come i più, fui portato dall’ambizione verso la  vita pubblica e lì molte cose mi furono contrarie. Infatti invece della modestia, della moderazione, della virtù dominavano sfrontatezza, prodigalità e avidità. 4 E quantunque il mio animo, non avvezzo alle male arti, le disprezzasse, tuttavia in mezzo a vizi così grandi la debole età era trattenuta, corrotta dall’ambizione; 5 e, benché dissentissi dai cattivi costumi degli altri, mi tormentava non di meno con la maldicenza e l’invidia la medesima brama di onore degli altri.

1. Pulchrum... absurdum: si osservi la collocazione chiastica dei termini. La pari dignità tra storici e uomini d’azione è costruita sui tre seguenti assiomi: a) è ugualmente ben fatto giovare alo Stato con l’azione ovvero con la parola; b) si può raggiungere la fama sia in pace sia in guerra; c) in gran numero (multi: è predicativo) ottengono lode sia gli uomini d’azione sia coloro che le azioni altrui narrarono (Canfora) - bene facere: in contrapposizione antitetica con bene dicere, che rimane subordinato, pur con una sua dignità e importanza - rei publicae: si riferisce, apò koinoù [in sintassi e in retorica, si tratta di un elemento che è implicato in due costruzioni distinte, viene insomma utilizzato due volte], alle due infinitive appena analizzate - haud absurdum: esempio di litote, cui si abbina l’asindeto avversativo - pace... bello: senza preposizione per il prevalere dell’aspetto temporale - fecere... scripsere, con accento sulla penultima: forme di perfetto raccorciate ovvero sincopate; si osservino il polisindeto (et... et) e la prolessi dei pronomi relativi, con multi in funzione predicativa. 

Catilina: il perché di una scelta

Sallustio è probabilmente il primo storico in lingua latina che abbia messo a frutto e assorbito nella propria scrittura una approfondita conoscenza della storiografia e oratoria greca classica. Sin dal proemio generale dell’intera sua opera storiografica, che è il proemio del De Catilinae coniuratione, Sallustio allude chiaramente ai due grandi precedenti, ai due cofondatori del genere storiografico in Grecia, evocati assai spesso insieme, in tale loro ruolo, anche da Cicerone nelle opere retoriche: Erodoto e Tucidide. E perciò fissa, dopo un mitico periodo caratterizzato dai reges, l’inizio della storia con due eventi: in Asia l’emergere di Ciro, in Grecia lo scontro tra Sparta e Atene. Il riferimento è trasparente, giacché Erodoto incomincia il suo racconto appunto con Ciro, ed è Tucidide colui che ha narrato lo scontro per l’egemonia tra Sparta e Atene. E’ lecito chiedersi perché Sallustio abbia esordito con il racconto della congiura di Catilina: sceleris atque periculi novitate è la giustificazione che lo stesso Sallustio adduce per spiegare la propria scelta. Il crimine (scelus) inaudito, nuovo, è dunque la coniuratio di privati, con fini eversivi, contro i poteri costituiti (l’eliminazione dei consoli in carica, uno dei quali nel 63 era Cicerone, era tra i primi atti che i congiurati si accingevano a compiere per attuare il loro piano). Se si considera che Sallustio si mette a scrivere all’indomani dell’uccisione di Cesare, console in carica, trucidato in pieno senato dai congiurati, ispirati -come si disse, e come forse in parte era- dal vecchio consolare Cicerone, la scelta dell’argomento da parte di Sallustio non poteva essere più pertinente e più polemica. Quello catilinario era il precedente diretto del crimine commesso dai cosidetti “liberatori”, vent’anni più tardi. 

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