SALLUSTIO (discorso di Catilina)/OVIDIO (DAL I al II LIBRO)PER 14 DICEMBRE

Commenta il passo seguente, mettendolo anche in relazione con il ritratto di Catilina, ma soffermandoti soprattutto sulle intenzioni che Sallustio attribuisce a Catilina e sull'eventuale presenza di elementi utili a definire come lo storico giudichi il suo modo di condursi. 

 Discorso di Catilina per animare i congiurati

Catilina, come vide radunati quelli di cui ho detto poco fa, malgrado i numerosi e lunghi incontri che aveva avuto con ognuno di essi, tuttavia credendo opportuno rivolgere un appello e un'esortazione a tutti insieme, si ritrasse in un luogo appartato della sua casa, e ivi, allontanato ogni altro testimone, tenne un discorso di questa fatta: «Se io non avessi bene sperimentato il valore e la lealtà vostra, l'occasione favorevole si sarebbe presentata invano; una grande speranza, il potere assoluto sarebbero invano nelle nostre mani, né io con spiriti ignavi e leggeri andrei a caccia dell'incerto in luogo del certo. Ma poiché, in molte e gravi circostanze, vi conobbi forti e a me fidi, perciò il mio animo ha osato intraprendere la più grande e la più nobile delle imprese, anche perché ho capito che avete beni e mali in comune con me: infatti volere e disvolere le medesime cose, questa insomma è ferma amicizia. «Tutto quel che ho progettato, lo avete già udito separatamente. Ma l'animo mi si infiamma ogni giorno di più, quando considero quale sarà la condizione della nostra vita, se non saremo noi stessi a rivendicare la nostra libertà. Infatti, dopo che la repubblica è caduta nel pieno potere di pochi potenti, è a loro che re e tetrarchi pagano i loro tributi, popoli e nazioni pagano l'imposta; tutti noi altri, valorosi, prodi, nobili e non nobili, siamo stati volgo, senza credito, senza autorità, asserviti a padroni ai quali, se lo Stato valesse, avremmo incusso timore. Così tutto il credito, la potenza, l'onore, le ricchezze, sono presso di loro o dove essi desiderano; a noi hanno lasciato le ripulse, i pericoli, i processi, gli stenti. Fino a che punto, o valorosi, sopporterete ciò? Non è preferibile morire coraggiosamente, piuttosto che perdere una vita misera e senza onore, dopo essere stati ludibrio dell'altrui superbia? Ma in verità, per gli Dèi e gli uomini lo attesto, la vittoria è in nostra mano. In noi l'età vigoreggia, lo spirito è forte, al contrario presso di loro, per gli anni e le ricchezze, tutto è divenuto decrepito. Bisogna incominciare, il resto verrà da sé. «Infatti quale uomo di indole virile può tollerare che essi trabocchino di ricchezze che profondono per edifici sul mare e spianare montagne, mentre per noi la sostanza familiare è insufficiente anche al necessario? Che essi colleghino due o più case alla volta, mentre noi non abbiamo un focolare in nessun luogo? Per quanto acquistino quadri, statue, vasi cesellati, demoliscano nuove costruzioni e ne edifichino altre, infine sperperino e dilapidino il danaro in ogni maniera, tuttavia con tutta la loro sfrenatezza non riescono ad esaurire le loro ricchezze. Noi invece abbiamo la miseria in casa, debiti fuori, un miserabile presente, un avvenire molto più aspro; infine che cosa ci resta oltre a un misero soffio di vita? «Perché dunque non vi destate? Ecco, ecco quella libertà cui spesso anelaste; e inoltre ricchezze, onore, gloria, vi sono collocati davanti agli occhi; la Fortuna ha posto tutti quei premi per i vincitori. Le circostanze, il momento, il pericolo, la miseria, le magnifiche spoglie vi esortano più del mio discorso. Servitevi di me come comandante o come soldato; il mio animo e il mio corpo non vi abbandoneranno. Questi disegni, come spero, io realizzerò insieme con voi da console, a meno che l'animo non m'inganni, e voi non siate più pronti a servire che a comandare.»

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Riporto, poco oltre, l'inizio del II libro delle Metamorfosi, che procede senza soluzione di continuità col primo, presentando la reggia del Sole, dove Fetonte, suo figlio, si reca per sentirsi confermata da lui la paternità messa in dubbio durante un diverbio. A tale proposito, riporto qui solo la traduzione degli ultimi versi, che avevo fornito già   quest'estate, così che possiate meglio contestualizzare il lungo episodio. Subito dopo trovate una sintesi del II libro e i versi 1-18. 

Il finale del I libro - traduzione

Da lei [si tratta di Io, protagonista dell'episodio immediatamente precedente a questo] si crede che, fecondata dal grande Giove, sia nato Èpafo, che in diverse città ha santuari insieme alla madre. Pari a lui per fierezza ed anni era Fetonte, il figlio del Sole; e un giorno che questi, orgoglioso d'avere Febo come padre, si vantava d'essergli superiore, il nipote d'Inaco [Epafo, appunto] non lo tollerò: «Sciocco,» gli disse, «in tutto tu credi a tua madre e vai superbo di un padre immaginario». Avvampò Fetonte, e pieno di vergogna represse l'ira, riferendo alla madre, Clìmene, quella calunnia; disse: «E a tuo maggior dolore, madre mia, io che sono così impulsivo, così fiero, m'imposi di tacere: non sopporto che qualcuno abbia potuto insultarmi così, senza che potessi ribattere! Ma tu, se è vero che discendo da stirpe celeste, dammi prova di questi natali illustri e rivendicami al cielo». Disse e intorno al collo della madre cinse le braccia, scongiurandola, per il suo e il capo di Mèrope, per le nozze delle sorelle, di dargli testimonianza del suo vero padre. Non si sa se spinta dalle preghiere di Fetonte o più dall'ira per l'accusa rivoltale, Clìmene levò al cielo entrambe le braccia e fissando la luce del Sole: «Per questo fulgore splendido di raggi abbaglianti,» disse, «che ci vede e ci ascolta, io ti giuro, figliolo, che tu sei nato da questo Sole che contempli e che regola la vita in terra. Se ciò che dico è menzogna, mai più mi consenta di guardarlo e sia questa luce l'ultima per i miei occhi! Del resto non ti sarà fatica trovare la casa paterna: la terra in cui risiede confina con la nostra, là dove sorge. Se questo hai in animo, va' e chiedi a lui stesso». Balza lieto Fetonte alle parole della madre e, tutto preso dall'idea del cielo, lascia la terra dei suoi Etiopi, attraversa l'India che si stende sotto la vampa del sole, e di slancio arriva dove sorge il padre.

SINTESI DEL II LIBRO

Fetonte ottiene da suo padre, il Sole, di poter guidare il suo carro lungo la volta celeste, ma non riesce a indirizzare i cavalli per la via consueta, provocando gravi danni all’universo, finché Giove non lo colpisce con il fulmine e lo fa precipitare nell’Eridano. – Le sorelle di Fetonte, le Eliadi, sono trasformate per il dolore in pioppi. – Cicno mutato in cigno per la perdita dell’amato Fetonte. – La ninfa Callisto, compagna di Diana, sedotta da Giove è mutata in orsa e poi in costellazione celeste. – Il corvo da bianco diventa nero. – La figlia di Coroneo mutata in cornacchia, Nictìmene in gufo, Ociroe in cavalla. – Batto, per aver ingannato Mercurio, è trasformato in roccia. – Aglauro, figlia di Cecrope, è mutata in statua da Mercurio. – Ratto di Europa per opera di Giove. 

II LIBRO - vv. 1-18

Realizzare analisi morfosintattica discorsiva delle parole/periodi in grassetto. Rispondere a questa domanda inerente ai versi riportati: che cosa significa che il valore artistico era superiore alla ricchezza della materia? Approfondisci il senso, pensando a quali manufatti, di una specie molto particolare, il poeta tratti in questo inizio di libro metamorfico. 

Regia solis erat sublimibus alta columnis,

clara micante auro flammasque imitante pyropo,

 cuius ebur nitidum fastigia summa tegebat, 

argenti bifores radiabant lumine valvae.

 Materiam superabat opus; nam Mulciber illic

 aequora caelarat medias cingentia terras 

terrarumque orbem caelumque, quod inminet orbi.

 Caeruleos habet unda deos, Tritona canorum

 Proteaque ambiguum ballenarumque prementem

 Aegaeona suis inmania terga lacertis 

Doridaque et natas, quarum pars nare videtur, 

pars in mole sedens virides siccare capillos, 

pisce vehi quaedam; facies non omnibus una, 

non diversa tamen, qualem decet esse sororum. 

Terra viros urbesque gerit silvasque ferasque 

fluminaque et nymphas et cetera numina ruris. 

Haec super inposita est caeli fulgentis imago 

signaque sex foribus dextris totidemque sinistris. 

La reggia del Sole si levava su alte colonne, splendente per il luccichio dell’oro e per il piropo dal colore del fuoco; il suo alto frontone era coperto di candido avorio, mentre sulle due ante della porta brillava il rilucente argento. Il lavoro artistico era superiore alla ricchezza della materia; infatti, 5 Vulcano vi aveva intarsiato i mari che cingono le terre e il globo terrestre e il cielo che si stende su di esso. Nelle onde si vedono gli dèi marini, il Tritone che suona la sua conchiglia e Proteo multiforme e Egéone che stringe con le sue braccia 10 le smisurate terga di una balena e Doride e le figlie, una parte delle quali par che nuoti mentre un’altra che se ne stia su uno scoglio ad asciugarsi i capelli verdi; altre ancora trasportate dai pesci; non uguale la sembianza per tutte, tuttavia non diversa, come è proprio di un gruppo di sorelle. La terraferma mostra uomini e città e selve e fiere, fiumi e ninfe, 15 nonché tutte le divinità rurali. Su tutto ciò fu raffigurato il cielo splendente e sei costellazioni sul battente di destra e altrettante su quello di sinistra.



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