ITALIANO SETTIMANA 9-13 GENNAIO
Argomento: 1984 di Orwell.
Metodologia: lavoro di gruppo organizzato.
Indicazioni di lavoro valide per tutti i gruppi
A ogni gruppo ho assegnato una citazione tratta dal romanzo. Il lavoro, realizzato in un'unica copia per gruppo, deve essere così strutturato:
1) Contestualizzazione del passo proposto, di cui deve essere indicata precisamente la collocazione. Non basta scrivere che "si trova all'inizio del romanzo" oppure "nella prima parte", ma richiedo di essere in merito molto dettagliati. Esemplifico: "Il passo riportato si riferisce al momento in cui il protagonista è appena rientrato nel suo appartamento e...". Si tratta quindi di riportare dettagli della narrazione, non di riferirsi a essa in generale.
2) Analisi del passo, condotta in modo da spiegarlo, anche i questo caso, nei dettagli.
3) Commento del passo che contenga riferimenti ad altre parti del romanzo, a sviluppi successivi della narrazione, nonché alla vita di Orwell, soprattutto per quanto attiene alla sua formazione ideologica, alle vicende che hanno concorso a determinarne le caratteristiche emergenti in questo romanzo, completato proprio poco prima di morire.
Per quanto riguarda la vita di Orwell, riporto di seguito una biografia che rappresenta anche l'unica fonte di cui potete servirvi. Al termine della biografia trovate i gruppi e le relative assegnazioni.
GEORGE ORWELL
Eric Arthur Blair, vero nome di George Orwell, nasce il 25 giugno 1903 a Motihari, nel Bengala, dove il padre, d'origine angloindiana, è funzionario statale presso l'Opium Department. La sua famiglia appartiene alla borghesia alto-bassa, ironico ossimoro coniato dallo stesso scrittore. Al ruolo dominante e privilegiato degli amministratori britannici nelle colonie non corrisponde, infatti, un analogo status in Inghilterra. In India, i Blair si destreggiano a conciliare effettiva scarsità di mezzi e salvaguardia delle apparenze quando, nel 1904, Eric torna in patria con la madre e le due sorelle e si stabilisce a Henley-on-Thames. Iscritto all'esclusivo college St. Cyprian di Eastbourne, ne esce con una borsa di studio e un opprimente complesso d'inferiorità, come racconta nel saggio autobiografico Analogamente non riuscirà a integrarsi nel clima altrettanto snob di Eton, dove è ammesso nel 1917. Il senso di sradicamento è probabilmente alla base della sua decisione di seguire le orme paterne arruolandosi nel 1922 nella Polizia imperiale indiana a Mandalay, in Birmania. Pur se ispirerà il suo primo romanzo (in ordine di composizione, ma edito solo nel '34), Giorni in Birmania, l'esperienza si rivela traumatica. Diviso fra il crescente disgusto per l'arroganza imperialista e la funzione repressiva che il suo ruolo gli impone, Eric si dimette nel 1928. Nello stesso anno parte per Parigi. Il suo non è solo un pellegrinaggio nella capitale intellettuale, ma una vera e propria esplorazione dei bassifondi, dove sopravvive grazie alla carità dell'Esercito della Salvezza, sobbarcandosi lavori umilissimi. Un'avventura che continuerà subito dopo anche in patria e ispirerà il romanzo d'esordio, Senza un soldo a Parigi e a Londra, pubblicato nel '33 con lo pseudonimo di George Orwell. Tra il 1932 e il 1936, pur continuando a scrivere, lavora come insegnante e commesso di libreria: nei romanzi di questo periodo, La figlia del reverendo del '35 e Fiorirà l'aspidistra del '36 si possono cogliere alcuni riflessi autobiografici. Su commissione del Left Book Club, un'associazione culturale filosocialista, svolge un'indagine nelle zone più colpite dalla depressione economica, che lo porterà, nei primi mesi del '36 tra i minatori dell'Inghilterra settentrionale. Le loro misere condizioni saranno descritte in La strada di Wigan Pier (pubblicato nel '37). Sempre nel '36 sposa in giugno Eileen O'Shaughnessy, impiegata al ministero dell'Informazione, e parte in dicembre come volontario per la guerra di Spagna, raccontata nel diario-reportage edito nel '38, Omaggio alla Catalogna. A Barcellona si arruola nelle file del Poum (Partito operaio d'unificazione marxista, d'ispirazione trotzkista) ed è inviato sul fronte aragonese. Colpito alla gola da un cecchino franchista, rientra a Barcellona. Ma il clima politico è mutato. Con il prevalere della linea del Fronte Popolare e del partito comunista nel governo repubblicano il Poum e gli anarchici sono dichiarati fuorilegge e Orwell deve lasciare la Spagna quasi clandestinamente. Del '39 è il romanzo Una boccata d'aria. Respinto come inabile allo scoppio della seconda guerra mondiale si arruola nel '40 nelle milizie territoriali della Home Guard. Negli anni dal '41 al '46 si trova a Londra, dove collabora a giornali e riviste («Partisan Review», «New Statesman and Nation», «Poetry London»), cura per la Bbc una serie di trasmissioni propagandistiche dirette all'India, è direttore letterario del settimanale socialista «Tribune», che gli affida una rubrica (As I please, A modo mio). Nel '45, anno in cui muore la moglie, è in Francia, Germania, Austria come corrispondente dell'«Observer». Sempre nel '45 appare il romanzo del successo, La fattoria degli animali. A metà aprile del '46, sospesa per sei mesi la collaborazione con i giornali, dà inizio alla stesura del libro che diventerà 1984. Nel '47 si stabilisce con il figlio Richard, adottato nel '44, a Jura, una fredda e disagiata isola delle Ebridi. È minato dalla tisi, il clima non si confà alle sue ormai disperate condizioni di salute, costringendolo a continui ricoveri in sanatorio. Nel '49, risposatosi con Sonia Bronwell, redattrice di «Horizon», si dedica, incalzato dalla morte, alla revisione di 1984: morirà a Londra il 21 gennaio 1950.
Secondo la puntuale corrispondenza tra esperienze esistenziali e letterarie che contraddistingue l'intera opera di Orwell, gli anni birmani promuovono i racconti di ricordi giovanili: Un'impiccagione (1931), contro la pena di morte, e L'uccisione dell'elefante (1936), confessione dei sentimenti ambivalenti — di odio per i dominatori, di simpatia per il paese oppresso ma anche d'esasperazione verso la popolazione ovviamente ostile — che compaiono anche nel primo lavoro di ampio respiro, Giorni in Birmania (1934). Quest'ultimo s'impernia sul rifiuto dell'ipocrisia imperialista da parte d'uno stesso sahib della comunità bianca. Pur allineandosi alla tradizione naturalistica già ottocentesca, il romanzo introduce in modo peculiare il motivo orwelliano dell'individuo in lotta contro il suo ambiente e destinato alla sconfitta. Che questo dissidio abbia per Orwell radici biografiche nell'insoddisfazione per i valori, da lui ritenuti falsi e ipocriti, della sua classe si conferma nella ricerca di un'umanità autentica — identificata con il sottoproletariato più emarginato e disperato — che caratterizza i vagabondaggi narrati in Senza un soldo a Parigi e a Londra (1933). In La figlia del reverendo (1935) il tema della perdita della fede, vista nel duplice aspetto consolatorio e mistificatorio, approfondisce un'altra costante dei personaggi orwelliani, tentati dal rifiuto della morale piccolo-borghese ma soggetti al fascino della decency, rassicurante patrimonio di rispettabilità e dignità della loro classe. La stessa attrazione commista a repulsione lacera il protagonista che si declassa volontariamente in opposizione al mito del denaro in Fiorirà l'aspidistra (1936). La strada di Wigan Pier (1937) è la seconda tappa di quell'«accostamento al socialismo», volto a esplorare, dopo il sottoproletariato, il proletariato. Se la descrizione dei minatori è caratterizzata da eccessi apologetici, l'opera permette di cogliere la natura idealistica del socialismo di Orwell. Omaggio alla Catalogna (1938), oltre che un diario di trincea, è la storia d'una rivoluzione tradita, sacrificata alle direttive della politica staliniana. Da allora in poi, come annoterà nel saggio Perché scrivo (1946), ogni riga di Orwell sarà spesa contro il totalitarismo, quello che era andato a combattere e quello inaspettato che aveva incontrato. Soprattutto vuole smascherare la campagna di menzogne scatenata dai comunisti attraverso i mezzi d'informazione contro le altre forze della sinistra. In Una boccata d'aria (1939) il cliché dell'eroe che è al contempo antieroe è utilizzato per neutralizzare gli effetti disumanizzanti del «progresso»: solo chi si dedichi alla conservazione della memoria, ad alimentare il senso di continuità con il passato, coltiva valori che rappresentano un antidoto all'alienazione incombente. La sterminata produzione saggistica di Orwell spazia dalla critica letteraria, Charles Dickens (1940) o Nel ventre della balena (1940) ad argomenti sociologici come nel Leone e l'unicorno (1941) o Gli inglesi (1944); in Letteratura e totalitarismo (1941), La prevenzione della letteratura (1944), Gli scrittori e il leviatano (1948) indaga la funzione sociale dello scrittore e i pericoli dell'«invasione della letteratura da parte della politica» ; dal '40 in poi manifesta un crescente interesse per i rischi d'un uso banalizzato e ideologico del linguaggio in Nuove parole (1940), Propaganda e linguaggio popolare (1944), La politica e la lingua inglese (1946). Nel saggio Arthur Koestler (1944), l'esame dell'autore di Buio a Mezzanotte e del suo romanzo incentrato sulle «purghe» del 1936 anticipa, portando l'attacco al cuore della politica stalinista, La fattoria degli animali (1945). Rimasto un unicum nella narrativa orwelliana, il romanzo coniuga il genere letterario della favola animale alla Esopo e La Fontaine con la lezione satirica di Swift, un maestro ben conosciuto, come dimostra il saggio Politica contro letteratura (1946). 1984 (1948) è senz'altro il più famoso esemplare del filone ispirato dalle spettrali inquietudini che le due guerre e l'olocausto atomico avevano evocato. Le antiche utopie positive di Bacone, More, Campanella sono riproposte in negativo: è la parabola apocalittica delle grandi paure orwelliane — il totalitarismo, la falsificazione e la perdita di memoria storica indotta dai mezzi d'informazione, la corruzione del linguaggio, l'annullamento dell'identità individuale — convogliate in una descrizione di società del futuro contro cui combatte, ancora una volta, l'ultimo eroe.
L'ansia per la verità, l'imparzialità di giudizio perseguita quasi fino alla maniacalità, l'onestà intellettuale — che trovano l'espressione più viva in Omaggio alla Catalogna, libro rivalutato dalla moderna critica storiografica e considerato uno dei più lucidi sull'argomento — danno quasi costantemente un carattere di denuncia alla sua opera. L'inesauribile verve polemica espressa nei saggi e negli articoli costarono a Orwell, letterariamente e politicamente, l'isolamento. Dall'intellighenzia di sinistra degli anni '30 lo separa il suo irrinunciabile spirito critico nei confronti del marxismo. Gli strali immancabilmente rivolti contro una letteratura asservita all'ortodossia investono un'intera generazione d'intellettuali impegnati, a suo modo di vedere corrotti dallo spirito gregario e irretiti nel culto della Russia. La sua denuncia degli opposti totalitarismi lo rese quindi inviso alla destra e alla sinistra e spesso strumentalizzato da entrambe. L'insistenza con cui dal '36 in poi si volse contro il regime comunista tende a far dimenticare che Orwell si definì sempre socialista. Certo, il suo socialismo, così come egli lo andava assestando sui cardini di «giustizia» e «libertà» non poteva identificarsi con il socialismo reale. La sua società ideale, più che alla dottrina del materialismo storico, sembra ispirarsi a un primato morale, che coincide con valori come decoro, rispetto della dignità umana, tolleranza, un concetto ampio di decency, insomma, esteso a tutte le classi. Un modello sulle cui effettive possibilità di realizzazione il pessimismo di 1984 pone una grave ipoteca. L'universo catastrofico di Orwell non è, infatti, che il precipitato di tutte quelle tendenze negative che egli vede già nel suo tempo. Secondo il tratto distintivo della letteratura antiutopica, per lo scrittore il futuro è già presente, nel momento in cui egli scrive il processo di degenerazione è già avviato, la massificazione ha già iniziato a corrodere il destino individuale e sociale. L'urgenza dell'avvertimento è drammatizzata dalla vicinanza della proiezione: non un futuro remoto del prossimo millennio — dove, invece, s'ambientano gli altri campioni dell'escatologia negativa del '900, Il mondo nuovo di Huxley e Noi di Zamjatin — ma addirittura un anno del suo stesso secolo, ottenuto semplicemente invertendo le cifre finali della data di composizione, 1948, del romanzo. Quindi una let- tura che insista sull'aspetto «profetico» di 1984 — inevitabile apogeo delle monumentali celebrazioni che sono state promosse dai media allo scoccare della data orwelliana — rischia d'essere sviante. La valutazione di 1984 sulla base dell'effettiva esistenza di stati totalitari, d'uno strapotere dei mezzi di comunicazione, d'una tecnologia alienante — o di quant'altro si è voluto identificare come la maggiore intuizione orwelliana — non dovrebbe oscurarne il carattere di monito, valido per ogni futuro. (con qualche cambiamento, sito Homolaicus)
Gruppi di lavoro
GRUPPO 1
Tommaso, Giuseppe, Jacopo, Elena, Matteo
Naturalmente, non era possibile sapere se e quando si era sotto osservazione. Con quale frequenza, o con quali sistemi, la Psicopolizia si inserisse sui cavi dei singoli apparecchi era oggetto di congettura. Si poteva persino presumere che osservasse tutti continuamente. Comunque fosse, si poteva collegare al vostro apparecchio quando voleva. Dovevate vivere (e di fatto vivevate, in virtù di quell'abitudine che diventa istinto) presupponendo che qualsiasi rumore da voi prodotto venisse ascoltato e qualsiasi movimento — che non fosse fatto al buio — attentamente scrutato.
ESSERE VISTI SEMPRE
GRUPPO 2
Francesco, Federico, Filippo G., Eleonora
Ciò che ora stava per fare era iniziare un diario, un atto non illegale di per sé (nulla era illegale, dal momento che non esistevano più leggi), ma si poteva ragionevolmente presumere che, se lo avessero scoperto, l'avrebbero punito con la morte o, nella migliore delle ipotesi, con venticinque anni di lavori forzati. Winston inserì un pennino nella cannuccia, poi lo succhiò per rimuovere la sporcizia. Questo tipo di penna era uno strumento antiquato che non si usava quasi più, nemmeno per firmare, ed egli era riuscito a procurarsene una, clandestinamente e non senza difficoltà, solo perché sentiva che quella bella carta vellutata meritava che ci si scrivesse sopra con un pennino vero, e non di essere graffiata da una penna qualsiasi. In effetti, non era abituato a scrivere a mano. Eccezion fatta per appunti brevissimi, dettava tutto al parlascrivi, che non poteva certo utilizzare in quella circostanza. Intinse la penna nell'inchiostro, poi ebbe un attimo di esitazione. Tremava fin nelle viscere. Segnare quella carta era un atto definitivo, cruciale. A lettere piccole e goffe scrisse: 4 aprile 1984. Appoggiò la schiena alla sedia, sopraffatto da una sensazione di totale impotenza. Tanto per cominciare, non era affatto sicuro che fosse davvero il 1984. La data doveva essere più o meno quella, perché era certo di avere trentanove anni, di essere nato nel 1944 o 1945, ma oggigiorno era possibile fissare una data solo con l'approssimazione di un anno o due. Per chi, si chiese a un tratto, scriveva quel diario? Per il futuro, per gli uomini non ancora nati. La sua mente indugiò per un attimo su quella data dubbia fissata sulla pagina, poi andò a cozzare contro la parola in neolingua bipensiero. Solo allora si rese pienamente conto di quanto fosse temerario ciò che aveva intrapreso. Come fare a comunicare col futuro? Era una cosa di per se stessa impossibile. O il futuro sarebbe stato uguale al presente, nel qual caso non l'avrebbe ascoltato, o sarebbe stato diverso, e allora le sue asserzioni non avrebbero avuto senso.
PER CHI SCRIVO?
GRUPPO 3
Andrea T., Andrea S., Filippo M., Martina
La cosa orribile dei Due Minuti d'Odio era che nessuno veniva obbligato a recitare. Evitare di farsi coinvolgere era infatti impossibile. Un'estasi orrenda, indotta da un misto di paura e di sordo rancore, un desiderio di uccidere, di torturare, di spaccare facce a martellate, sembrava attraversare come una corrente elettrica tutte le persone lì raccolte, trasformando il singolo individuo, anche contro la sua volontà, in un folle urlante, il volto alterato da smorfie. E tuttavia, la rabbia che ognuno provava costituiva un'emozione astratta, indiretta, che era possibile spostare da un oggetto all'altro come una fiamma ossidrica. Così, un istante dopo, l'odio di Winston non era più rivolto contro Goldstein, ma contro il Grande Fratello, il Partito e la Psicopolizia. In momenti simili il suo affetto andava a quel solitario e deriso eretico sullo schermo, difensore unico della verità e della sanità mentale in un mondo di menzogne. Passava un altro istante, e Winston si ritrovava in perfetta sintonia con quelli intorno a lui e tutto ciò che si diceva di Goldstein gli sembrava vero. Allora l'intimo disgusto che avvertiva nei confronti del Grande Fratello si mutava in adorazione e il Grande Fratello pareva sollevarsi ad altezze vertiginose, protettore invincibile e impavido, immoto come una roccia davanti alle orde dell'Asia, e Goldstein, a dispetto del suo isolamento, della sua impotenza e dei dubbi che avvolgevano la sua stessa esistenza, appariva come un sinistro incantatore, capace di abbattere l'edificio della civiltà con la sola forza della sua voce.
ODIARE E' UN PO' AMARE
GRUPPO 4
Virginia, Lisa, Ettore
«È qualcosa di bello, la distruzione delle parole. Naturalmente, c'è una strage di verbi e aggettivi, ma non mancano centinaia e centinaia di nomi di cui si può fare tranquillamente a meno. E non mi riferisco solo ai sinonimi, sto parlando anche dei contrari. Che bisogno c'è di una parola che è solo l'opposto di un'altra? Ogni parola già contiene in se stessa il suo opposto. Prendiamo "buono", per esempio. Se hai a disposizione una parola come "buono", che bisogno c'è di avere anche "cattivo"? "Sbuono" andrà altrettanto bene, anzi meglio, perché, a differenza dell'altra, costituisce l'opposto esatto di "buono". Ancora, se desideri un'accezione più forte di "buono", che senso hanno tutte quelle varianti vaghe e inutili: "eccellente", "splendido", e via dicendo? "Plusbuono" rende perfettamente il senso, e così "arciplusbuono", se ti serve qualcosa di più intenso. Naturalmente, noi facciamo già uso di queste forme, ma la versione definitiva della neolingua non ne contemplerà altre. Alla fine del processo tutti i significati connessi a parole come bontà e cattiveria saranno coperti da appena sei parole o, se ci pensi bene, da una parola sola. Non è una cosa meravigliosa?» «Ovviamente» aggiunse come se gli fosse venuto in mente solo allora, «l'idea iniziale è stata del Grande Fratello.» A sentir fare il nome del Grande Fratello, il volto di Winston fu attraversato da un tiepido moto d'interesse. Ciononostante, Syme colse in lui una certa mancanza d'entusiasmo. «Non hai ancora capito che cos'è la neolingua, Winston» disse in tono quasi triste. «Anche quando ne fai uso in quello che scrivi, continui a pensare in archelingua. Ho letto qualcuno degli articoli che ogni tanto pubblichi sul "Times". Non c'è male, ma sono traduzioni. Nel tuo cuore preferiresti ancora l'archelingua, con tutta la sua imprecisione e le sue inutili sfumature di senso. Non riesci a cogliere la bellezza insita nella distruzione delle parole. Lo sapevi che la neolingua è l'unico linguaggio al mondo il cui vocabolario si riduce giorno per giorno?» Winston lo sapeva, naturalmente. Non volendo correre il rischio di esprimere opinioni, si limitò a un sorriso che intendeva essere di assenso. Syme dette un altro morso al pezzo di pane nero, lo masticò, poi riprese: «Non capisci che lo scopo principale a cui tende la neolingua è quello di restringere al massimo la sfera d'azione del pensiero? Alla fine renderemo lo psicoreato letteralmente impossibile, perché non ci saranno parole con cui poterlo esprimere. Ogni concetto di cui si possa aver bisogno sarà espresso da una sola parola, il cui significato sarà stato rigidamente definito, priva di tutti i suoi significati ausiliari, che saranno stati cancellati e dimenticati. Nell'Undicesima Edizione saremo già abbastanza vicini al raggiungimento di questo obiettivo, ma il processo continuerà per lunghi anni, anche dopo la morte tua e mia. A ogni nuovo anno, una diminuzione nel numero delle parole e una contrazione ulteriore della coscienza. Anche ora, ovviamente, non esiste nulla che possa spiegare o scusare lo psicoreato. Tutto ciò che si richiede è l'autodisciplina, il controllo della realtà, ma alla fine del processo non ci sarà bisogno neanche di questo. La Rivoluzione trionferà quando la lingua avrà raggiunto la perfezione. La neolingua è il Socing, e il Socing è la neolingua» aggiunse con una sorta di estatica soddisfazione. «Hai mai pensato, Winston, che entro il 2050 al massimo nessun essere umano potrebbe capire una conversazione come quella che stiamo tenendo noi due adesso?» «Tranne...» cominciò a dire Winston con una certa esitazione, ma poi si fermò. Era stato sul punto di dire "i prolet"; poi si era controllato, perché non era sicuro dell'ortodossia della sua osservazione. Syme, però, aveva indovinato quello che lui stava per dire. «I prolet non sono esseri umani» disse con noncuranza. «Per l'anno 2050, forse anche prima, ogni nozione reale dell'archelingua sarà scomparsa. Tutta la letteratura del passato sarà stata distrutta: Chaucer, Shakespeare, Milton, Byron, esisteranno solo nella loro versione in neolingua, vale a dire non semplicemente mutati in qualcosa di diverso, ma trasformati in qualcosa di opposto a ciò che erano prima. Anche la letteratura del Partito cambierà, anche gli slogan cambieranno. Si potrà mai avere uno slogan come "La libertà è schiavitù", quando il concetto stesso di libertà sarà stato abolito? Sarà diverso anche tutto ciò che si accompagna all'attività del pensiero. In effetti il pensiero non esisterà più, almeno non come lo intendiamo ora. Ortodossia vuol dire non pensare, non aver bisogno di pensare. Ortodossia e inconsapevolezza sono la stessa cosa.»
QUEL CHE NON SO DIRE NON ESISTE
GRUPPO 5
Sara, Alberto, Lorenzo
O'Brien accennò un sorriso: «Tu sei un'imperfezione nel sistema, Winston, sei una macchia che va cancellata. Non ho forse appena finito di dire che noi siamo diversi dai persecutori del passato? Non ci accontentiamo dell'obbedienza negativa, e meno che mai di una sottomissione avvilente. Quando infine ti arrenderai a noi, ciò dovrà avvenire di tua spontanea volontà. Noi non distruggiamo l'eretico per il fatto che ci resiste. Anzi, finché ci resiste non lo distruggiamo. Noi lo convertiamo, penetriamo nei suoi recessi mentali più nascosti, lo modelliamo da cima a fondo. Estinguiamo in lui tutto il male e tutte le illusioni, lo portiamo dalla nostra parte, anima e corpo, in conseguenza di una scelta sincera, non di mera apparenza. Prima di ucciderlo, ne facciamo uno di noi. Non possiamo tollerare che un pensiero sbagliato esista in una parte qualsiasi del mondo, per quanto innocuo e recondito possa essere. Non possiamo permettere alcuna deviazione, nemmeno in punto di morte. In passato l'eretico si avviava con gioia al rogo, conservando tutta la sua eresia, anzi proclamandola. Perfino la vittima delle purghe sovietiche poteva tenere ben serrata nel cranio la sua ribellione mentre percorreva il corridoio diretto al luogo dove un proiettile gli avrebbe dato il colpo di grazia. Noi, invece, prima di farlo saltare rendiamo questo cervello perfetto. Il comandamento dei dispotismi di una volta era: "Tu non devi!". Il comandamento dei totalitari era: "Tu devi!". Il nostro è: "Tu sei!". Nessuno di quelli che portiamo qui riesce a resisterci. Tutti vengono mondati. Quei tre miserabili traditori, Jones, Aaronson e Rutherford, nella cui innocenza tu un tempo hai creduto, alla fine siamo riusciti a piegare anche loro. Io stesso ho preso parte all'interrogatorio. Li ho visti fiaccarsi a poco a poco, li ho visti strisciare, frignare, piangere. Alla fine non erano più lacrime di dolore, ma di espiazione. Quando abbiamo finito con loro, erano dei gusci d'uomini, che dentro di sé ospitavano solo dolore per quello che avevano fatto e amore per il Grande Fratello. Era commovente vedere quanto lo amavano. Chiesero di essere passati per le armi subito, in modo da poter morire con la mente ancora pura».
DOVERE O ESSERE, QUESTO E' IL PROBLEMA
Commenti
Posta un commento