OVIDIO - METAMORFOSI - LIBRO X - ORFEO E EURIDICE (I parte) - compito per 8 marzo

Compito per l'8 marzo: oltre a leggere molto attentamente tutto il materiale, tradurre letteralmente i primi dodici versi riportati, aiutandosi con la traduzione di Sermonti, e analizzare le parole in grassetto (sintassi e morfologia). 

Sintesi di parte del X libro

DA ORFEO A MIRRA – LIBRO X DELLE METAMORFOSI - I PARTE

All’inizio del libro X Imeneo, la divinità del connubio, si reca in Tracia per le nozze del musico e poeta Orfeo con la ninfa Euridice. Infausto matrimonio: Euridice, morsa al tallone da un serpente mentre corre con le Naiadi in un prato, muore subito dopo le nozze. Disperato, Orfeo decide di tentare la più pericolosa delle discese (in greco la discesa è detta catabasi, la risalita anabasi, e Orfeo le effettua entrambe),  quella che conduce nel regno ultraterreno, per domandare la restituzione della sposa amata. Lo fa cantando, rivolgendo alla coppia infernale, Persefone e Ade, la supplica in musica che potrebbe consentirgli di tornare al mondo con la sua sposa. Commosse, le divinità infere, concedono la resurrezione, a patto che Orfeo non si volti mai, mentre Euridice lo segue verso le spiagge della luce, fino ad averne varcato la soglia fatale. In 63 versi Ovidio consuma il dramma del cantore: che non riesce a obbedire al comando, si volta prima del tempo e vede sfumare nell’ombra eterna il fantasma di Euridice. La disperazione di Orfeo, canta a sua volta Ovidio, prende una nuova forma: quella di una poesia dedicata all’omosessualità, alla quale avvia i giovani della Tracia, servendosi di storie divine. La prima, ai versi 143-161, quella di Giove che s’innamora del bellissimo Ganimede e lo rapisce, la seconda, ai versi 162-216, quella di Apollo innamoratosi di Giacinto, ragazzo di Sparta, che nel compiere imprese ginniche (lancio del disco) per sventura si ferisce orribilmente al volto, dal quale il dio disperato fara gemmare il fiore che porta per sempre il suo nome. Come già altre volte, le Metamorfosi inanellano storie su storie, a creare intrichi apparentemente selvaggi. In questo caso nel fitto dell’intrico dedicato al tema dell’omoerotismo, si trova anche la storia di Pigmalione, scultore che decide di dare forma da solo alla femmina di cui potersi compiacere. Qui si ferma per ora la sintesi di un libro, il X, al quale torneremo per trovare la storia di Mirra, di cui ci occuperemo prossimamente. Inserisco quindi i versi  che Ovidio dedica al cantore per eccellenza  e al suo dramma d’amore, per cominciare la selezione da 11 a 49

Quam satis ad superas postquam Rhodopeius auras
deflevit vates, ne non temptaret et umbras,
ad Styga Taenaria est ausus descendere porta
perque leves populos simulacraque functa sepulcro
Persephonen adiit inamoenaque regna tenentem
umbrarum dominum pulsisque ad carmina nervis
sic ait: “O positi sub terra numina mundi,
in quem reccidimus, quicquid mortale creamur,

si licet et falsi positis ambagibus oris
vera loqui sinitis, non huc, ut opaca viderem
Tartara, descendi, nec uti villosa colubris
terna Medusaei vincirem guttura monstri:
causa viae est coniunx, in quam calcata venenum
vipera diffudit crescentesque abstulit annos.
Posse pati volui nec me temptasse negabo:
vicit Amor. Supera deus hic bene notus in ora est;
an sit et hic, dubito: sed et hic tamen auguror esse,
famaque si veteris non est mentita rapinae,
vos quoque iunxit Amor. Per ego haec loca plena timoris,
per Chaos hoc ingens vastique silentia regni,
Eurydices, oro, properata retexite fata.

Omnia debemur vobis, paulumque morati
serius aut citius sedem properamus ad unam.
Tendimus huc omnes, haec est domus ultima, vosque
humani generis longissima regna tenetis.

haec quoque, cum iustos matura peregerit annos,
iuris erit vestri: pro munere poscimus usum;
quodsi fata negant veniam pro coniuge, certum est
nolle redire mihi: leto gaudete duorum”.

Talia dicentem nervosque ad verba moventem 
exsangues flebant animae; nec Tantalus undam
captavit refugam, stupuitque Ixionis orbis,
nec carpsere iecur volucres, urnisque vacarunt
Belides, inque tuo sedisti, Sisyphe, saxo.
Tunc primum lacrimis victarum carmine fama est
Eumenidum maduisse genas; nec regia coniunx
sustinet oranti nec qui regit ima negare,
Eurydicenque vocant. Umbras erat illa recentes
inter, et incessit passu de vulnere tardo.

TRADUZIONE DI SERMONTI

Dopo averla pianta abbastanza sotto il cielo, il poeta del Ròdope, per non rinunciare nemmeno al mondo dei morti, si azzarda a calarsi fino allo Stige, per il traforo del Ténaro. Traversata una labile folla di fantasmi di gente sepolta, si presenta davanti a Perséfone e al signore del sordido regno delle ombre, tenta le corde, accorda la cetra alla voce, e canta così: “Santi numi, che abitate qui sotto terra, dove, senza scelta, noi tutti mortali verremo a finire, se posso permettermi di dirvi la verità, senza tanti sotterfugi retorici: be’, non sono sceso quaggiù per dare un’occhiata al Tartaro, e tantomeno per mettere a catena i tre colli villosi di serpi di Cerbero il mostro: la ragione del viaggio è mia moglie, che ha pestato una vipera, e quella le ha iniettato veleno, mozzandole una vita che stava sbocciando. Me la volevo cavare da solo, e ho tentato, non nego; ma ha vinto Amore! che è un dio lassù da noi famosissimo; non so se anche qui sotto, ma mi auguro proprio di sì: se non è inventata la favola di un ratto del tempo che fu, Amore ha congiunto anche voi. Per questi posti tremendi, l’immenso vuoto e i silenzi del regno d’abisso, vi supplico, ritessete le fila strappate del destino di lei, di Euridice! A voi tutto dobbiamo, e dopo una minima dilazione, più presto che tardi, tutti piombiamo in un unico posto. Finiremo tutti quaggiù: questo è l’estremo soggiorno, dove sul genere umano regnerete in perpetuo voi due. Lei stessa una volta compiuti gli anni giusti per lei, sarà di vostra spettanza: non vi chiedo un regalo, ma un prestito. Se poi questa grazia il destino me la nega, io, state certi, di qui non mi muovo: potrete godervi un raddoppio di morte”. Mentre lui dice così, pizzicando le corde, singhiozzano le anime esangui; Tantalo si disinteressa dell’acqua che gli sfugge; la ruota di Issione s’imbambola; gli avvoltoi smettono di rovistare nel fegato; mollan le brocche le nipoti di Belo e tu, Sisifo, ti sei messo a sedere sul sasso. Per la prima volta le Eumenidi, turbate dal canto, si dice bagnassero il viso di lacrime. Né la consorte del re, né lo stesso re degli abissi resistono a quella preghiera; convocano Euridice, e fra le ombre nuove arrivate eccola farsi avanti zoppicando per la ferita.




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