LEZIONE DEL 17 MAGGIO - ORGANIZZAZIONE E MATERIALI
Mentre avvengono i colloqui, gli altri svolgono QUESTE DUE ATTIVITA' (su mia assegnazione)
I lavori completati dovranno essere pronti per mercoledì 24 maggio (scritto su argo). Chi riesce a completare prima, invia).
ATTIVITA' 1
Utilizza il modello che riporto nel post (relativo all'ode I, 9) per lavorare su questa ode di Orazio, il celebre Carpe diem, ode XI del I libro:
Guarda come si erge candido d’alta neve il Soratte! I boschi al peso non reggono, fiaccati, e per l’acuto gelo si sono rappresi i fiumi. Dissipa il freddo deponendo legna sul focolare, in abbondanza, e mesci da un’anfora sabina a doppia ansa, o Taliarco, vino di quattr’anni. Lascia il resto agli dei, che appena placano i venti in lotta sulla ribollente distesa, non più ondeggiano i cipressi né con essi agitati i vetusti orni. Cosa accadrà domani tu non chiedere. Se un altro giorno ti darà la sorte, ascrivilo a guadagno, e non spregiare o giovane, le danze, e i dolci amori, mentre è lontano dal tuo verde il tedio della vecchiaia. Adesso il Campo e la piazza: ora prima che annotti ti ripeta il sussurro dei convegni, ora l’allegro riso che ti svela da un angolo segreto ove si celi la tua fanciulla, e il pegno di strapparle dal polso o dal dito che resiste appena. (Canali) |
Soracte nec iam sustineant onus
silvae laborantes geluque
flumina constiterint acuto?
Dissolve frigus ligna super foco
large reponens atque benignius
deprome quadrimum Sabina,
o Thaliarche, merum diota.
Permitte divis cetera, qui simul
stravere ventos aequore fervido
deproeliantis, nec cupressi
nec veteres agitantur orni.
Quid sit futurum cras, fuge quarere et
quem fors dierum cumque dabit, lucro
adpone nec dulcis amores
sperne, puer, neque tu choreas,
donec virenti canities abest
morosa. Nunc et Campus et areae
lenesque sub noctem susurri
composita repetantur hora,
nunc et latentis proditor intumo
gratus puellae risus ab angulo
pignusque dereptum lacertis
aut digito male pertinaci.
Humano capiti cervicem pictor equinam iungere si velit et varias inducere plumas undique collatis membris, ut turpiter atrum desinat in piscem mulier formosa superne, spectatum admissi risum teneatis, amici? Credite, Pisones, isti tabulae fore librum persimilem, cuius velut aegri somnia vanae fingentur species, ut nec pes nec caput uni reddatur formae. 'Pictoribus atque poetis quidlibet audendi semper fuit aequa potestas.' Scimus et hanc veniam petimusque damusque vicissim, sed non ut placidis coeant immitia, non ut serpentes avibus geminentur, tigribus agni. Inceptis gravibus plerumque et magna professis purpureus, late qui splendeat, unus et alter adsuitur pannus, cum lucus et ara Dianae et properantis aquae per amoenos ambitus agros aut flamen Rhenum aut pluvius describitur arcus. Sed nunc non erat his locus. Et fortasse cupressum scis simulare: quid hoc, si fractis enatat exspes navibus aere dato qui pingitur? Amphora coepit institui, currente rota cur urceus exit? Denique sit quod vis simplex dumtaxat et unum. Maxima pars vatum, pater et iuvenes patre digni, decipimur specie recti: brevis esse laboro, obscurus fio; sectantem levia nervi deficiunt animique; professus grandia turget; serpit humi tutus nimium timidusque procellae. Qui variare cupit rem prodigialiter unam, delphinum silvis appingit, fluctibus aprum. In vitium ducit culpae fuga, si caret arte. Aemilium circa ludum faber imus et ungues exprimet et mollis imitabitur aere capillos, infelix operis summa, quia ponere totum nesciet. Hunc ego me, si quid componere curem, non magis esse velim, quam pravo vivere naso, spectandum nigris oculis nigroque capillo. Sumite materiam vestris, qui scribitis, aequam viribus, et versate diu quid ferre recusent, quid valeant umeri: cui lecta potenter erit res, nec facundia deseret hunc nec lucidus ordo. Ordinis haec virtus erit et venus, aut ego fallor, ut iam nunc dicat iam nunc debentia dici, pleraque differat et praesens in tempus omittat, hoc amet, hoc spernat promissi carminis auctor. In verbis etiam tenuis cautusque serendis dixeris egregie, notum si callida verbum reddiderit iunctura novum. Si forte necesse est indiciis monstrare recentibus abdita rerum, fingere cinctutis non exaudita Cethegis continget, dabiturque licentia sumpta pudenter. Et nova fictaque nuper habebunt verba fidem, si Graeco fonte cadent, parce detorta: quid autem Caecilio Plautoque dabit Romanus, ademptum Vergilio Varioque? Ego cur acquirere pauca si possum invideor, cum lingua Catonis et Enni sermonem patrium ditaverit et nova rerum nomina protulerit? Licuit semperque licebit signatum praesente nota producere nomen. Ut silvae foliis pronos mutantur in annos, prima cadunt, ita verborum vetus interit aetas, et iuvenum ritu florent modo nata vigentque. Debemur morti nos nostraque, sive receptus terra Neptunus classis Aquilonibus arcet, regis opus, sterilisve diu palus aptaque remis vicinas urbes alit et grave sentit aratrum; seu cursum mutavit iniquum frugibus amnis, doctus iter melius: mortalia facta peribunt, nedum sermonum stet honos et gratia vivax. Multa renascentur, quae iam cecidere, cadentque quae nunc sunt in honore vocabula, si volet usus, quem penes arbitrium est et ius et norma loquendi. | I Se abbozzando una testa umana, il pittore volesse unirla a un collo di cavallo e a membra d'ogni natura ricoperte di penne variopinte, facendo terminare oscenamente le stupende fattezze muliebri con la coda nera di un pesce, e vi mostrasse il tutto, sapreste, amici miei, astenervi dal ridere? II Eppure, credetemi Pisoni, assai simile al quadro è un libro, in cui le immagini senza costrutto sembrano nascere dai sogni di un febbricitante, in cui né la testa né i piedi sono coerenti fra loro. “Ma poeti e pittori hanno sempre goduto del giusto diritto di essere audaci”. Lo so; è privilegio che rivendico e concedo, a seconda dei casi, ma non al punto da mescolare mansuetudine e ferocia, da far figliare con gli uccelli i serpenti, con le tigri gli agnelli. III Spesso, affrontando con grandi propositi l'incipit di un'opera di ampio respiro, si appiccicano a quello uno o due brandelli di porpora che brillino da ogni lato, per descrivere il bosco sacro e l'altare di Diana, i meandri dell'acqua, che scorre veloce in mezzo al l'incanto della campagna, il fiume Reno o la rugiada dell'arcobaleno: non era quello il luogo loro. Sai magari copiare dal vero un cipresso, ma a che ti serve, se chi paga vuole piuttosto che tu lo dipinga mentre miracolosamente si salva a nuoto dai relitti della nave. Cominci a modellare un'anfora: perché dal tornio in moto viene fuori una brocca? Insomma: ogni cosa va bene, purché sia semplice e unitaria. IV Guarda tu, padre, e voi figli degni di lui, come il miraggio della perfezione inganni tutti o quasi noi poeti. Mi sforzo d'essere breve e divento oscuro; inseguo l'eleganza e perdo nerbo, slancio. Mi propongo il sublime e ottengo enfasi; sono troppo prudente e timoroso nell'affrontare le difficoltà e striscio terra terra. Si cerca la varietà del meraviglioso in un soggetto semplice e si dipinge un delfino nel bosco, un cinghiale nel mare. V Se manca l'arte, per evitare errori si cade in altri difetti. L'artigiano di poco conto nei pressi della palestra di Emilio, sa con il bronzo rendere le unghie e imitare il fluire dei capelli, ma nell'insieme l'opera è mediocre perché non sa rappresentare il tutto. No, non vorrei essere lui nel mio lavoro, come non vorrei nella vita avere un naso storto e suscitare ammirazione per il nero intenso degli occhi e dei capelli. VI Se mai decidete di scrivere, scegliete un argomento che si adatti alle vostre forze; verificate a lungo quanto ricusino e quanto sopportino le vostre spalle. Ma se la scelta del soggetto vi appartiene, non mancheranno eleganza e limpidezza di armonia. VII Se non m'inganno, l'armonia ha questo merito, questa bellezza, che l'autore dell'opera in lavorazione, mentre accoglie questo o rifiuta quello, dica ora ciò che ora si deve dire e tralasci o rimandi il resto a tempo debito. VIII E anche per la finezza e la prudenza nel legare fra loro le parole, il tuo linguaggio sarà unico, se un accostamento inconsueto farà di una parola conosciuta una parola nuova. Quando è necessario dire con segni nuovi concetti reconditi, t'avverrà di coniare espressioni che i Cetegi [noti tradizionalisti], nel loro costume, non udirono mai: è libertà concessa se usata con discrezione. E avranno credito parole nuove, formate di fresco, se derivate con ritegno da fonte greca: perché dovrebbero i romani concedere a Cecilio e Plauto ciò che negarono a Virgilio e Vario? E se il linguaggio di Catone ed Ennio arricchì il nostro modo di esprimersi con la creazione di neologismi, perché io sono guardato di sbieco per i pochi doni che posso procurare? È dato e sempre sarà dato immettere vocaboli che rechino il sigillo del presente. IX Come il bosco muta le foglie nel fluire degli anni e cadono le prime, così passa il tempo delle parole, e hanno fioritura e vigore della gioventù le ultime nate. Noi e le nostre cose siamo in obbligo con la morte, e se per difendere le flotte dai venti la terra accoglie il mare per opera di re, se la palude sterile da tempo, navigabile dà nutrimento alle città vicine e soffre il peso dell'aratro; se il fiume muta il suo corso, che danneggia le messi, e ne apprende uno migliore: le opere dei mortali periranno, e a maggior ragione il credito e la fortuna vitale della lingua. Molte parole cadute in disuso rivivranno, e cadranno quelle che ora sono in onore, se l'uso, in cui risiede l'arbitrio, il diritto e la norma del nostro idioma, lo vorrà.
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