TEMA GENNAIO

 Tema in classe gennaio 2024

TIPOLOGIA A – ANALISI DI UN TESTO IN PROSA

Ignazio Silone, Prefazione dell’Autore a Fontamara

Gli strani fatti che sto per raccontare si svolsero nell’estate dell’anno scorso a Fontamara. Ho dato questo nome ad un antico e oscuro luogo di contadini poveri situato nella Marsica, a settentrione del prosciugato lago di Fucino, nell’interno di una valle, a mezza costa tra le colline e la montagna. In seguito ho risaputo che il medesimo nome, in alcuni casi con piccole varianti, apparteneva già ad altri abitati dell’Italia meridionale, e, fatto più grave, ho appurato che gli stessi strani avvenimenti in questo libro con fedeltà raccontati, sono accaduti in più luoghi, seppure non nella stessa epoca e sequenza. A me è sembrato però che queste non fossero ragioni valevoli perché la verità venisse sottaciuta. Anche certi nomi di persone, come Maria, Francesco, Giovanni, Lucia, Antonio e tanti altri, sono assai frequenti; e sono comuni ad ognuno i fatti veramente importanti della vita: il nascere, l’amare, il soffrire, il morire; ma non per questo gli uomini si stancano di raccontarseli. Fontamara somiglia dunque, per molti lati, ad ogni villaggio meridionale il quale sia un po’ fuori mano, tra il piano e la montagna, fuori delle vie del traffico, quindi un po’ più arretrato e misero e abbandonato degli altri. Ma Fontamara ha pure aspetti particolari. Allo stesso modo, i contadini poveri, gli uomini che fanno fruttificare la terra e soffrono la fame, i fellahin, i coolies, i peones, i mugic, i cafoni, si somigliano in tutti i paesi del mondo; sono, sulla faccia della terra, nazione a sé, razza a sé, chiesa a sé; eppure non si sono ancora visti due poveri in tutto identici. A chi sale a Fontamara dal piano del Fucino il villaggio appare disposto sul fianco della montagna grigia, brulla e arida come su una gradinata. Dal piano sono ben visibili le porte e le finestre della maggior parte delle case: un centinaio di casucce quasi tutte ad un piano, irregolari, informi, annerite dal tempo e sgretolate dal vento, dalla pioggia, dagli incendi, coi tetti malcoperti da tegole e rottami d’ogni sorta. La maggior parte di quelle catapecchie non hanno che un’apertura che serve da porta, da finestra e da camino. Nell’interno, per lo più senza pavimento, con i muri a secco, abitano, dormono, mangiano, procreano, talvolta nello stesso vano, gli uomini, le donne, i loro figli, le capre, le galline, i porci, gli asini. Fanno eccezione una diecina di case di piccoli proprietari e un antico palazzo ora disabitato, quasi cadente. La parte superiore di Fontamara è dominata dalla chiesa col campanile e da una piazzetta a terrazzo, alla quale si arriva per una via ripida che attraversa l’intero abitato, e che è l’unica via dove possano transitare i carri. Ai fianchi di questa sono stretti vicoli laterali, per lo più a scale, scoscesi, brevi, coi tetti delle case che quasi si toccano e lasciano appena scorgere il cielo. A chi guarda Fontamara da lontano, dal Feudo del Fucino, l’abitato sembra un gregge di pecore scure e il campanile un pastore. Un villaggio insomma come tanti altri; ma per chi vi nasce e cresce, il cosmo. L’intera storia universale vi si svolge: nascite, morti, amori, odii, invidie, lotte, disperazioni. Altro su Fontamara non vi sarebbe da dire, se non fossero accaduti gli strani fatti che sto per raccontare. Ho vissuto in quella contrada i primi vent’anni della mia vita e altro non saprei dirvi. Per vent’anni il solito cielo, circoscritto dall’anfiteatro delle montagne che serrano il Feudo come una barriera senza uscita; per vent’anni la solita terra, le solite piogge, il solito vento, la solita neve, le solite feste, i soliti cibi, le solite angustie, le solite pene, la solita miseria: la miseria ricevuta dai padri, che l’avevano ereditata dai nonni, e contro la quale il lavoro onesto non è mai servito proprio a niente. Le ingiustizie più crudeli vi erano così antiche da aver acquistato la stessa naturalezza della pioggia, del vento, della neve. La vita degli uomini, delle bestie e della terra sembrava così racchiusa in un cerchio immobile saldato dalla chiusa morsa delle montagne e dalle vicende del tempo. Saldato in un cerchio naturale, immutabile, come in una specie di ergastolo. [...] La scala sociale non conosce a Fontamara che due piuoli: la condizione dei cafoni, raso terra, e, un pochino più su, quella dei piccoli proprietari. Su questi due piuoli si spartiscono anche gli artigiani: un pochino più su i meno poveri, quelli che hanno una botteguccia e qualche rudimentale utensile; per strada, gli altri. Durante varie generazioni i cafoni, i braccianti, i manovali, gli artigiani poveri si piegano a sforzi, a privazioni, a sacrifici inauditi per salire quel gradino infimo della scala sociale; ma raramente vi riescono. La consacrazione dei fortunati è il matrimonio con una figlia di piccoli proprietari. [...] (Io so bene che il nome cafone, nel linguaggio corrente del mio paese, sia della campagna che della città, è ora termine di offesa e dileggio; ma io l’adopero in questo libro nella certezza che quando nel mio paese il dolore non sarà più vergogna, esso diventerà nome di rispetto, e forse anche di onore.)

NOTA

Ignazio Silone (1900-1978) cominciò a scrivere Fontamara (romanzo che appartiene al filone della narrativa meridionalista, e che il critico Luigi Russo ha definito il poema epico-drammatico della plebe meridionale, in cui per la prima volta questa assurge a protagonista di una storia, acquista un volto) nel 1929, in Svizzera, dov’era rifugiato per sfuggire alla persecuzione fascista. La storia è quella di un paese, frutto di un’invenzione dal vero, della conca del Fucino: i tratti umani e paesaggistici sono tipici abruzzesi. È una Pescina dei Marsi, dove nacque lo scrittore, trasfigurata ma riconoscibile. La popolazione si divide in due gruppi: galantuomini e cafoni. I primi spadroneggiano sui secondi sfruttandone l’ignoranza e l’ingenuità. Al centro della narrazione corale, con tre voci che si scambiano le parti, padre, madre e figlio, spicca la vicenda di un ruscello le cui acque, che servono a irrigare i campi dei poveri, vengono deviate a beneficio delle terre dell’Impresario.

Comprensione e analisi

1. Sintetizza il passo della Prefazione proposto.

2.   Soffermati su tutti i passaggi che lasciano chiaramente intendere quale sia la prospettiva, l’intento comunicativo (anche ideologico) di Silone, già  a partire dalla scelta dell’ambientazione.

3.   Le ingiustizie più crudeli vi erano così antiche da aver acquistato la stessa naturalezza della pioggia, del vento, della neve.  Ricava da questo passaggio testuale, che devi collegare ad altri (notando anche qualche artificio espressivo usato dallo scrittore), considerazioni sul tema delle possibilità/impossibilità di cambiamento.

Puoi rispondere punto per punto oppure costruire un unico discorso che comprenda le risposte alle domande proposte in un ordine stabilito da te.

Interpretazione

Gli strani fatti ai quali allude nelle prime righe Silone coincidono con una drammatica e disperata vicenda di sottrazione di bene comune (l’acqua) a una piccola comunità di cafoni meridionali da parte di un notabilato in combutta con le autorità fasciste locali per sfruttare a proprio vantaggio ogni risorsa del territorio. Conduci un’interpretazione del tema in questione,  nella quale confluiscano sia le tue conoscenze maturate in ambito letterario sul naturalismo e sul verismo, sia quanto dalla contemporaneità possa risuonare di affine in merito a tale argomento.

 

TIPOLOGIA B - Analisi e produzione di un testo argomentativo

Il patto per leconomia dei giovani con Papa Francesco

Noi, giovani economisti, imprenditori, changemakers, chiamati qui ad Assisi da ogni parte del mondo, consapevoli della responsabilità che grava sulla nostra generazione, ci impegniamo ora, singolarmente e tutti insieme,  a spendere la nostra vita affinché l’economia di oggi e di domani diventi una Economia del Vangelo. Quindi:

un’economia di pace e non di guerra,

un’economia che contrasta la proliferazione delle armi, specie le più distruttive,

un’economia che si prende cura del creato e non lo depreda,

un’economia a servizio della persona, della famiglia e della vita, rispettosa di ogni donna, uomo, bambino, anziano e soprattutto dei più fragili e vulnerabili,

un’economia dove la cura sostituisce lo scarto e l’indifferenza,

un’economia che non lascia indietro nessuno, per costruire una società in cui le pietre scartate dalla mentalità dominante diventano pietre angolari,

un’economia che riconosce e tutela il lavoro dignitoso e sicuro per tutti, in particolare per le donne,

un’economia dove la finanza è amica e alleata dell’economia reale e del lavoro e non contro di essi,

un’economia che sa valorizzare e custodire le culture e le tradizioni dei popoli, tutte le specie

viventi e le risorse naturali della Terra,

un’economia che combatte la miseria in tutte le sue forme, riduce le diseguaglianze e sa dire, con Gesù e con Francesco, beati i poveri,

un’economia guidata dall’etica della persona e aperta alla trascendenza,

un’economia che crea ricchezza per tutti, che genera gioia e non solo benessere perché una felicità

non condivisa è troppo poco.

Noi in questa economia crediamo. Non è un’utopia, perché la stiamo già costruendo. E alcuni di noi, in mattine particolarmente luminose, hanno già intravisto l’inizio della terra promessa.

Assisi, 24 settembre 2022

Le economiste, gli economisti, le imprenditrici, gli imprenditori, le e i changemakers, le studentesse, gli studenti, le lavoratrici, i lavoratori.

 Comprensione e analisi

·         Concepisci una breve introduzione (da tre a cinque periodi) per spiegare come si presenti, con quali contenuti salienti, il testo sopra riportato integralmente.

·         Scegli due o tre passaggi del testo proposto che sollecitino il tuo pensiero critico (favorevole o sfavorevole che sia rispetto al contenuto che decidi di mettere in rilievo.

Produzione

Elabora un testo dedicato al tema dei beni comuni,  fornendone per cominciare una definizione, per poi procedere con argomentazioni che riguardino l’opportunità e i vantaggi derivanti da una loro tutela e le possibili criticità connesse con la medesima: nel tuo elaborato si deve capire chiaramente come si delinei la contrapposizione fra difensori dei beni comuni oppositori alla loro tutela.

 

TIP. C Riflessione critica, di carattere espositivo-argomentativo, su tematiche di attualità

 

Quello che segue è un passaggio centrale di un articolo tratto da “Il Sole24Ore”del 10 marzo 2019, intitolato Non abbiamo bisogno di leader carismatici (l’umiltà rende 7 volte tanto) firmato da Emiliano Pecis. Vi si tratta il tema delle qualità riconosciute come fondamentali per rendere grande un’azienda essendone il CEO, ovvero l’amministratore delegato. L’articolo propone gli esiti di una ricerca, guidata dal prof. Jim Collins e registrata in un  testo del 2001, divenuto un bestseller intitolato  Good to Great: Why Some Companies Make the Leap…and Others Don’t, condotta su 1435 aziende apparse sul Fortune 500 dal 1965 al 1995, studiandone la crescita e ponendo domande ai manager su quali siano le caratteristiche di una leadership destinata a produrre crescite definibili eccellenti. Servendoti anche, ma non solo,  di questo spunto, conduci una riflessione che riguardi il tema della leadership e del carisma in due ambiti: quello economico-sociale e quello politico, facendo riferimento alle tue conoscenze culturali e all’attualità.

 

“Insomma i leader Level 5 rappresentano l’antitesi del leader carismatico che possiamo ben identificare in uno Steve Jobs, per intenderci: antepongono il successo aziendale al proprio, non sono guidati dal proprio ego. Attenzione, perché questo punto è fondamentale e controculturale, come ama affermare il nostro autore. Generalmente si tende a credere che per trasformare una azienda da buona a eccellente ci sia il bisogno di grandi leader carismatici, che fanno notizia e che diventano celebrità. Paradossalmente, una leadership aziendale carismatica, sostenuta cioè da un forte EGO (fino al livello 4), permette ad una azienda di diventare buona ma non le concede l’opportunità di diventare grande. Quando l’autore viene invitato dai CEO delle aziende che vogliono trasformarsi da buone a grandi, molto spesso si sente fare la stessa domanda: ok, mi riconosco nel quarto livello da te descritto, l’azienda è buona grazie alla mia continua ricerca di una chiara e avvincente visione… come posso diventare un leader Level 5 per permettere alla mia azienda di diventare grande? La risposta è brutale, ma onesta: bisogna avere necessariamente dentro di sé il seme dell’umiltà, sul quale poi è possibile lavorare per poter sviluppare al meglio la Level 5 Leadership.”

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