TEMA MARZO

 Torino, 25 marzo  2024

Tema in classe

TIP. A Analisi di un testo in prosa

[...] Dopo la morte del babbo pareva che gli fosse entrato il diavolo in corpo, e lavorava al pari di quei bufali feroci che si tengono coll’anello di ferro al naso. Sapendo che era malpelo, ei si acconciava ad esserlo il peggio che fosse possibile, e se accadeva una disgrazia, o che un peraio smarriva i ferri, o che un asino si rompeva una gamba, o che crollava un tratto di galleria, si sapeva sempre che era stato lui; e infatti ei si pigliava le busse senza protestare, proprio come se le pigliano gli asini che curvano la schiena, ma seguitano a fare a modo loro. Cogli altri ragazzi poi era addirittura crudele, e sembrava che si volesse vendicare sui deboli di tutto il male che s’immaginava gli avessero fatto gli altri, a lui e al suo babbo. Certo ei provava uno strano diletto a rammentare ad uno ad uno tutti i maltrattamenti ed i soprusi che avevano fatto subire a suo padre, e del modo in cui l’avevano lasciato crepare. E quando era solo borbottava: «Anche con me fanno così! e a mio padre gli dicevano Bestia, perché egli non faceva così!». E una volta che passava il padrone, accompagnandolo con un’occhiata torva: «È stato lui! per trentacinque tarì!». E un’altra volta, dietro allo Sciancato: «E anche lui! e si metteva a ridere! Io l’ho udito, quella sera!» [...].

Giovanni Verga, da Vita dei campi, Rosso Malpelo, prima edizione sul “Fanfulla” 1878.

COMPRENSIONE E ANALISI

1)      Il passo riportato deve essere brevemente sintetizzato.

2)      Identifica tutte le espressioni che sono chiaramente riconducibli al ricorso, da parte dell’autore, all’artificio della regressione e/o alla tecnica dell’impersonalità e commnentale, al fine di ottenere un ritratto esauriente del protagonista.

3)      Artificio e tecnica devono essere comunque presentate e descritte ricostruendo sinteticamente la genesi del verismo verghiano.

4)      Facendo  riferimento alla novella nel suo insieme, introduci un collegamento alla   concezione verghiana del progresso umano.

Puoi rispondere punto per punto oppure costruire un unico discorso che comprenda le risposte alle domande proposte in un ordine stabilito da te.

INTERPRETAZIONE

L’assenza di un narratore onnisciente garantisce alla narrazione un’oggettività documentaristica, che concorre a suscitare sentimenti e reazioni in chi legge. Percorri la novella alla luce di questa considerazione, per spiegare di quali specifici sentimenti e reazioni si tratti.

TIP. B1 Analisi e produzione di un testo argomentativo

Da Doppiozero, 20 dicembre 2021, articolo di Maria Nadotti dal titolo 25 settembre 1952 - 15 dicembre 2021 / bell hooks: l’arte sottile di trasgredire [bell hooks ha sempre voluto che il suo nome e cognome fossero scritti in lettera iniziale minuscola]

 “Quando ho letto Cime tempestose, da ragazzina della classe operaia che lottava per trovare se stessa, da emarginata, ho sentito che Heathcliff ero io. Per me era il simbolo di una specie di razza nera: era un emarginato, non gli era permesso stare al centro delle cose. Ho trasposto il dramma di vivere nel Sud dell'apartheid nel mondo di Cime tempestose e mi sono sentita in armonia con quei personaggi.”

È bell hooks, mancata il 15 dicembre scorso, a raccontarlo in una conversazione del 1998 con la scrittrice africana-americana Maya Angelou, per poi aggiungere: “Sono così turbata quando le mie studentesse si comportano come se leggessero solo donne, o gli studenti neri come se potessero leggere solo neri, o gli studenti bianchi identificarsi solo con uno scrittore bianco. Sono convinta che la cosa peggiore che ci può capitare è perdere di vista il potere dell’empatia e della compassione”.

Per hooks questa indisponibilità a identificarsi con il presunto altro da sé senza chiedersi chi abbia stabilito quell’alterità, in base a quali interessi e con quali reciproche perdite, è un’enorme e pericolosa lacuna dell’immaginazione, una disfatta del pensiero critico, forse della stessa capacità di pensare. Credo che bell abbia passato la vita a lottare contro quell’indisponibilità e a interrogarsi e interrogarci sulla sua origine e sulla sua ambigua natura politica.

Ciò che mettiamo fuori da noi, ipostatizzandolo come nemico, può insediarsi talmente a fondo dentro di noi da tenerci funesta e accecante compagnia per tutta la vita. Proiettare il sessismo solo sui maschi della specie umana, il razzismo solo sui bianchi, il classismo solo sulle classi privilegiate, senza tentare di scoprire come quelle forme di potere si siano convertite in pensiero egemonico a cui non si sfugge se non con una serratissima e non solitaria autocoscienza, è una strada politica senza uscita. Eppure si continua a percorrerla, mettendosi al riparo di una propria supposta intangibile identità, quando bisognerebbe ricordare che siamo in perenne mutazione, di continuo intra-agiti e intra-agenti, senza dimenticare mai da dove veniamo, in quale punto del mondo e della storia siamo stati lanciati alla nascita.

Parte da qui, alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, la ricerca teorica, che è già e sempre analisi politica e riflessione sull’esperienza vissuta, da cui scaturirà il suo primo saggio: Ain’t I woman: Black Women and Feminism. È la sua tesi di dottorato alla Stanford University degli anni roventi del Black Party e dei primi, audacissimi Feminist Studies, e dovrà aspettare fino al 1981 per trovare un editore statunitense disposto a pubblicarla.

Cos’ha fatto di tanto scomodo e dunque aurorale, in quelle pagine, la giovanissima bell hooks? Ha scompigliato le acque di un mare che rischiava di essere troppo solido. Il suo primo grimaldello è la radicale messa in discussione della politica dei due tempi: prima la lotta di liberazione del proletariato, dei neri, degli sfruttati… poi – in un’ipotetica società più ‘giusta’ di là da venire – l’emancipazione e i diritti delle donne. Il secondo è la problematizzazione, non la negazione, delle grandi categorie che unificano e separano: donna, uomo, bianco, nero. bell le smonta come si potrebbe fare con una vecchia pendola, per capire come sono fatte e come funzionano. C’è, al loro interno, tutto il variegatissimo e contraddittorio sapere esperienziale che fa di noi quello che siamo e/o siamo stati fatti diventare? Come identificarsi in esse senza dis/identificarsi dalla complessità che ci costituisce come individui e come appartenenti a gruppi sociali mutevoli e in costante fusione?

L’essenzialismo è per hooks uno strumento ideologico ad alto rischio, perché dà risposte ancor prima che siano formulate le domande. A smentirlo è proprio la realtà, sfuggente, mai binaria, mai finalizzabile. Ciò che le sta a cuore è la verità dei corpi, la materialità delle cose e dei luoghi in cui si formano i sentimenti, le idee, i gusti, i ricordi, la volatilità del desiderio, l’incontestabilità del piacere. Sono questi gli strumenti di indagine che le fanno da bussola in oltre quarant’anni di prolifica produzione intellettuale e artistica e che diventeranno uno dei cardini del suo attivismo culturale da un lato e della sua pratica pedagogica dall’altro. La trasmissione dei saperi – come scriverà nella preziosa trilogia inaugurata nel 1994 con il volume Teaching to Transgress: Education as the Practice of Freedom (Insegnare a trasgredire. Educazione come pratica della libertà, trad. it. Feminoska, Meltemi 2020), seguito da Teaching Community: A Pedagogy of Hope (2003) e da Teaching Critical Thinking: Practical Wisdom (2010) – non può prescindere dalla biografia incarnata di docenti e discenti, dalla loro passione condivisa per ciò che nasce, ogni volta nuovo e inaspettato, da uno specifico incontro di corpi, voci e storie in situazione. Le regole, i canoni, sono strumenti per invisibilizzare e zittire: affidarsi a essi è rimanere al di qua o ai piedi dell’ostacolo. Imparare è scostarsi dal sentiero tracciato in funzione di un inesistente soggetto universale e imporre la propria unicità, prendere parola ed esigere ascolto. Imparare è apprendere a pensare con la propria testa, dolorosamente, perché il pensiero produce coscienza e la coscienza apre gli occhi ai guasti del mondo. [...]

COMPRENSIONE E ANALISI

1)      Individua  esclusivamente i concetti presenti nella parte di articolo riportata.

2)      Approfondisci, sulla base di quello che si comprende dall’articolo, la questione della scomodità intrinseca del modo di pensare di bella hooks.

PRODUZIONE                                                    

Assumi come punti di partenza della tua argomentazioni i due pilastri del pensiero di bella hooks che si delineano nella parte di articolo riportata,  la critica all’essenzialismo e il richiamo a un proprio diritto di autodeterminazione, per proporre la tua opinione argomentata e esemplificata su entrambi.

TIP. B2 Analisi e produzione di un testo argomentativo

Il linguaggio della politica (Luciano Canfora, 2014, Festival della Letteratura)

«Argomento di un certo pessimismo, almeno nel titolo». Inizia così l'incontro con Luciano Canfora a Palazzo San Sebastiano sul linguaggio della politica. Ma subito lo storico, seguendo il 'credo' che pervade tutti i suoi testi, racconta il nobile passato della politica per capire meglio il suo significato presente, chiarirlo e in qualche modo anche nobilitarlo. Perché parte tutto proprio dal significato di 'politica', di 'polis', di 'politeia' come 'stare insieme'. Platone attraversa tutte le forme di governo possibile ad Atene e da tutte viene deluso. Democrazia, oligarchia e tirannia in qualche modo e per diversi motivi sono incomplete e portano al fallimento. L'unica soluzione è il governo dei filosofi, l'unico buon governo possibile. Idea di politica alta, ovviamente. Magari lontana dalla considerazione che ne abbiamo oggi. Ma l'uomo è un "animale politico", non può fare a meno di vivere all'interno della polis e collaborare con gli altri. Da allora la politica è tutto nel mondo greco come in quello romano, vengono provate tutte le soluzioni e ogni volta il dibattito fiorisce e arricchisce. E nasce ovviamente anche il linguaggio della politica. Sicuramente dal Congresso di Vienna, ma anche prima, gli esempi sono innumerevoli. Ma è forse quando ci si rivolge al popolo, e non solo a pochi illuminati, che il linguaggio vero e proprio prende forma. Pensiamo per esempio alle forze reazionarie che sconfissero Napoleone e la rivoluzione francese. Inglesi liberali, zar della Russia, nazionalisti prussiani, imperialisti tedeschi. Tutti a gridare di aver riportato la libertà in Europa contro il tiranno francese, quando invece Napoleone fu il portatore di quei valori rivoluzionari che facevano della libertà e dell'uguaglianza le parole chiave. Ma lui diventò anche imperatore, in un cortocircuito schizofrenico dove il linguaggio politico descriveva e giustificava tutto e anche il suo contrario. Linguaggio politico distorto, ma proprio per questo autentico, se dobbiamo dare retta al "Principe" di Machiavelli. In più, questo linguaggio (per volontà od opportunità) è sempre approssimativo e non riesce mai a cogliere l'interezza della situazione. Alla fine del congresso, Bismark trionfa sulla Francia e dichiara a sua volta l'Impero. Il carisma portato a sistema, carisma come capacità di mobilitare le masse attorno alla propria personalità. Applicare il principio di Machiavelli quindi è necessario e l'uso distorto del linguaggio della politica ha le sue necessità. Così come le ebbe nel 1935 prima della conquista dell'Etiopia. Ma subito dobbiamo fare i conti con un 'soggetto' ancora più pericoloso: gli strumenti di informazione che fanno opinione e spostano consensi. È questo linguaggio indiretto che ci dovrebbe spaventare. Durante il ventennio fascista si legò il consenso ad un controllo capillare della stampa (le famose veline). Sprofondando sempre di più, oggi le veline non ci sono ma è 'nata' un'accondiscendenza automatica al potere veramente disarmante. Anche questo in verità era già stato visto. Augusto imperatore muore nel 14 d.C. e 'riconsegna' lo stato in mano al Senato e al popolo di Roma. Con un discorso di Tiberio (figlio e successore) davanti a tutti i senatori, i quali alla fine consegnano al nuovo imperatore la propria servitù spontaneamente. Nonostante tutto, soprattutto oggi dobbiamo riscoprire la vera politica e il suo linguaggio. Perché una coscienza politica si impara solo 'facendo' politica. E bisogna rilanciare l'idea che la politica sia proprio il compimento della nostra coscienza. Solo in questo modo si impediscono derive pericolose.

COMPRENSIONE E ANALISI

1)      Riassumi concettualmente quanto sopra riportato.

2)      Soffermati sulla schizofrenia a proposito di Napoleone, spiegando cosa intenda Canfora ricorrendo a questo termine.

3)      Stessa operazione analitica con carisma.

4)      Perché, secondo Canfora, il linguaggio indiretto ci dovrebbe spaventare? E, preliminarmente, in che cosa consiste esattamente?

 

PRODUZIONE

Assumi come motivo centrale della tua produzione l’ultimo concetto illustrato da Canfora, ovvero che la politica sia proprio il compimento della nostra coscienza e che solo in questo modo si impediscano derive pericolose, sviluppandolo in chiave storica e relativamente al Novecento, con particolare riguardo ai totalitarismi e al ricorso, preferenziale per loro, a un linguaggio  machiavellicamente tendenzioso. 

TIP. C Riflessione critica, di carattare espositivo-argomentativo, su tematiche di attualità

Che diventano e che m’importano l’umanità, la beneficenza, la modestia, la temperanza, la dolcezza, la saggezza, la pietà, mentre mezza libbra di piombo sparata da seicento passi mi dilania  il  corpo,  e  muoio  a  vent’anni  tra  tormenti  indicibili,  in  mezzo  a  cinque  o  seimila moribondi, mentre i miei occhi, che s’aprono per l’ultima volta, vedono la città dove sono nato distrutta  dal  ferro  e  dalle  fiamme, e  gli  ultimi  suoni  che  odono le  mie  orecchie  sono  le  grida delle donne e dei bambini agonizzanti sotto le rovine, il tutto per i pretesi interessi di un uomo che non conosciamo? E il peggio è che la guerra è un flagello inevitabile. A guardar bene, tutti gli uomini hanno adorato il dio Marte: Sabaoth, per gli ebrei, significa il dio degli eserciti; ma Minerva, in Omero, chiama Marte un dio furioso, insensato, infernale.

Così si esprimeva, a conclusione della voce guerra, nel suo Dizionario filosofico, l’illuminista Voltaire nel 1764. La citazione deve ispirarti una riflessione interamente concentrata sulla contemporaneità e sui fatti recenti in merito all’opzione guerra o pace, da un punto di vista di coscienza individuale (la tua) in quanto giovane in possesso della cittadinanza  di una nazione e di essere umano.

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