BOCCACCIO - DIDATTICA CAPOVOLTA PER IL PRIMO APRILE
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Il
titolo dell’opera, Decameron, viene dal
greco: libro, sottinteso, delle dieci giornate (emèra significa giorno). Si tratta di un titolo
comunemente usato per trattati ascetici: Sant’Ambrogio, ad esempio, nel IV secolo d. C., titola Hexàmeron il suo trattato sulla creazione del mondo in
sei giorni. Come sottotitolo, il Decameron reca la seguente dicitura: ovvero Prencipe Galeotto,
il noto personaggio che favorisce gli amori fra Ginevra e Lancillotto, che
nel V canto dell’Inferno di Dante si rende
complice anche del funesto amore fra Paolo e Francesca. Dunque l’autore
suggerisce, con la titolatura, l’argomento dominante dell’opera. Saranno cento
novelle, raccontate in dieci giorni da sette donne e tre giovani uomini e uno degli argomenti più importanti sarà l'amore.
· L'opera si apre con un proemio, in cui l'Autore individua il suo pubblico: sono le donne, in quanto particolarmente soggette (come lui, peraltro) alle pene d'amore e spesso lasciate sole a reggere il peso di passioni più o meno occulte, ch'esse provano in ogni caso in maniera ben più forte di quanto accada agli uomini normalmente. A questo pubblico di donne, quindi, egli dichiara la sua intenzione di far dono di 100 novelle ovvero favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccontate in diece giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani nel pistilenzioso tempo della passata mortalitá fatta, ed alcune canzonette dalle predette donne cantate al lor diletto. Nelle quali novelle, piacevoli ed aspri casi d’amore ed altri fortunosi avvenimenti si vedranno cosí ne’ moderni tempi avvenuti come negli antichi; delle quali le giá dette donne che quelle leggeranno, parimente diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate ed utile consiglio potranno pigliare, e conoscere quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare: le quali cose senza passamento di noia non credo che possano intervenire. Il che se avviene, che voglia Iddio che cosí sia, ad Amore ne rendano grazie, il quale liberandomi da’ suoi legami m’ha conceduto di potere attendere a’ loro piaceri. L'autore entra in alcuni dettagli strutturali: le 100 novelle sono narrate in dieci giorni da un'onesta brigata costituita da sette donne e tre giovani, che si sono riuniti (verranno poi forniti altri dettagli in merito successivamente) nel periodo della peste, la cosiddetta morte nera del 1348. I temi indicati sono l'amore e svariati altri, con ambientazioni dall'antico alla sua contemporaneità.
· L’inizio vero e proprio è preceduto dalla dicitura che si ripete a ogni giornata: Comincia la prima giornata...nella quale dopo la dimostrazion fatta dall’autore per che cagione avvenisse di doversi quelle persone che appresso si mostrano ragunare e ragionare insieme sotto il reggimento di Pampìnea, si ragiona di quello che più aggrada a ciascuno. DUNQUE LA PRIMA GIORNATA E’ A TEMA LIBERO (Pampinea)
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Prima di arrivare alle narrazioni della prima giornata, si legge la DESCRIZIONE
DELLA PESTILENZA e dell’INCONTRO NELLA CHIESA DI SANTA MARIA NOVELLA (inizia la CORNICE); quindi
l’arrivo nella magione che li ospiterà per dieci giorni (una magnifica villa con giardino sui colli di Fiesole, vicino a Firenze) e la decisione che la lieta brigata trascorra la giornata
seguendo alcune regole che istituisce per cominciare la più anziana del gruppo,
Pampìnea appunto (oltre alla regolamentazione della vita pratica, con compiti
assegnanti anche al personale che li ha seguiti, l’indicazione che non vengano
recate da fuori altro che buone notizie). Le bevande e i cibi sono squisiti, le
camere accoglienti, tutto concorre a rendere più che piacevole il soggiorno, ma
è l’istituzione dell’abitudine di raccontare a costituire l’elemento
strutturale importante: poco dopo l’ora nona (dopo le 15) si riuniscono in
cerchio sulla fresca erba del giardino, in ombra anche in quel momento in cui è
alto il sole, e iniziano le narrazioni. La prima è la novella di Ser Ciappelletto (o Cepparello).
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Tra
una novella e l’altra si ritorna alla cornice, registrando talora reazioni e
commenti alle narrazioni, mentre quando finiscono le giornate, all’inizio della
seguente, è possibile che la cornice si dilunghi di più come nel caso della IV
giornata nella quale eccezionalmente è inserita una centounesima novella.
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La
seconda giornata, con Filomena, è dedicata come argomento a chi, trovandosi nei
guai, riesce a superarli e arrivare a un lieto fine. La terza, con Neifile,
celebra i casi in cui qualcuno desiderando molto qualcosa, o avendola perduta,
la ottiene. La quarta, sotto Filostrato, tratta di amori infelicemente
conclusisi. La quinta con Fiammetta, di amori travagliati finiti bene. La
sesta, con Elissa, di motti arguti o alzate d’ingegno che hanno permesso a
qualcuno di togliersi da gravi impacci. La settima, con Dioneo, beffe di donne
ai propri mariti, coscienti o incoscienti. L’ottava, con Lauretta, beffe
ambigenere. La nona, con Emilia, a tema libero. La decima, con Panfilo, tratta
di chi abbia compiuto atti grandiosi in qualunque ambito.
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Facciamo
mente locale sui contenuti rilevanti e sul sistema di valori che sembra essere
prevalente in questo grande affresco di vita del Trecento in Italia, non certo
restringibile a questo periodo storico e a questa dimensione storico-sociale.
Prenderò come spunto la prima e l’ultima novella, per tracciare una specie di
cerchio che, come potrete testimoniare leggendo le novelle, passi attraverso un
catalogo di difetti e di virtù possedute dagli
esseri umani in questa commedia umana dipinta da Boccaccio. La prima
novella è dedicata alla vita di un uomo, ser Ciappelletto, che non ha mai fatto
niente di bene e per il bene, tranne
che in occasione della propria morte: in quell’occasione decide di compiere un’azione
che, per strade come vedremo, tortuose, reca del bene ad alcuni soggetti, ma rappresenta
(nell’intendimento esplicitato da Ser Ciappelletto) un’ulteriore ingiuria a
Domeniddio. Ser Ciappelletto infatti compie una confessione in fin di vita
totalmente mistificatoria: racconta di sé tutto quel che non è mai stato,
ricorrendo cospicuamente all’antifrasi, al capovolgimento, insomma
rappresentandosi l’opposto di quello che è a un sant’uomo di confessore che, una
volta morto, provvede a santificarlo. Nella narrazione l’acme del senso sembra
essere racchiuso nel fatto che sulla tomba di quest’uomo nefando si riuniscano
folle che ottengono, per suo tramite, miracoli. La morale esplicitata, quella
in cui sembra che si identifichi se non l’autore il narratore, è la seguente:
anche se Ciappelletto, come pare giusto, brucia all’inferno, è pur possibile
che Dio, nella sua grandezza, decida di esaudire con miracoli quanti si
appellano a lui anche attraverso un
indegno intercessore.
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