CORREZIONE NOVELLE ESPOSTE

 Lisa

Nona novella, quarta giornata: 

Filostratoil re della quarta giornata, narra la nona novella, la quale parla di due nobili molto ricchi e amici tra loro, chiamati di nome Guiglielmo Rossiglione e Guiglielmo Guardastagno. Entrambi cavalieri valorosi, combattevano l’uno a fianco dell’altro.  

Poi un giorno l’amore e la sua pericolosa aleatorietà vollero che messere Guardastagno s’innamorasse perdutamente di niente meno che della bellissima moglie del suo fidato amico.  

La donna ricambiava il sentimento e tra i due nacque presto una storia segreta. Ma la loro imprudenza fece presto capire l’intera vicenda a Rossiglione cosa stesse accadendo, ovvero come entrambi avessero tradito l'uno l'amicizia, l'altra l'amore, così  che lentamente iniziò a pianificare la sua vendetta. Il nobile invitò a cena l’amante di sua moglie con una scusa; quindi decise di tendergli un agguato nel bosco dove lo attaccò e uccise, senza che l’altro poté potesse difendersi in alcun modo. Ancora insoddisfatto della sua rivincita     e desideroso di placare altrimenti la furia provocatagli dall'affrontogli aprì il petto e ne trasse il cuore con le sue mani, per poi affidarlo ai cuochi di palazzo, ordinando loro di cucinarne renderlo un manicaretto. 

All’ora di cena venne portato a tavola quello che venne presentato come un prelibato cuore di cinghiale; messere Rossiglione, turbato, non toccò cibo, mentre sua moglie mangiò con gusto. Vedendola Dopo averla osservata in quell'attitudine, il cavaliere le domandò se la portata principale le fosse piaciuta, e alla risposta affermativa della donna lui replicòio il vi credo, né me ne maraviglio se morto v’è piaciuto ciò che vivo piú che altra cosa vi piacque. Allora confessò il suo atto Quindi raccontò quello che aveva fatto, descrivendo di come, spinto dal sentimento che era nato tra i due, lui abbia strappato il cuore a Guardastagno, e datolo in pasto a lei. , evocando prima la furia nata nel suo cuore e poi il piano che ne era stato la conseguenza: non solo uccidere Guardastagno, ma costringere lei all'infame, nella sua inconsapevolezza, pasto antropofago.

Allora la moglie, scioccata e distrutta sconvolta e disperata, insultò sprezzante espresse tutto il suo disprezzo al il marito e difese l’amante, prendendosi la colpa assumendo su di sé l'intera responsabilità del tradimento, dicendo: Voi faceste quello che disleale e malvagio cavalier dèe fare: ché se io, non isforzandomi egli, l’avea del mio amor fatto signore e voi in questo oltraggiato, non egli ma io ne doveva la pena portare. Ma unque a Dio non piaccia che sopra a cosí nobil vivanda come è stata quella del cuore d’un cosí valoroso e cosí cortese cavaliere come messer Guiglielmo Guardastagno fu, mai altra vivanda vada!.  E, detto questo, senza alcuna esitazione saltò dalla finestra, ; mettendo in fuga Guiglielmo, che temeva per le conseguenze del suo agire, fuggì. 

Il giorno seguente i due sfortunati innamorati vennero trovati, pianti e sepolti insieme, nella stessa tomba.  

Nonostante la quarta giornata parli di amori infelicemente conclusisi, questa novella può facilmente essere collegata, soprattutto, al tema della vendettaIl racconto di questi due cavalieri infatti, seppur guidato dalla storia d’amore tra Guardastagno e una donna, affronta anche un’introspezione del terzo personaggio, messere Rossiglione, e una rappresentazione dei sentimenti che il tradimento da parte di sua moglie e del suo fedele amico hanno prodotto in lui. L’odio nato nell’uomo da questi avvenimenti ha portato ad un tipo di vendetta che aveva già fatto la sua comparsa nella mitologia greca.  

Questo è il caso di Atreo e Tieste, fratelli contendenti per il trono di un regno, che si affrontano. Tieste, grazie all’aiuto della moglie di Atreo, sua amante, riesce ad ottenere il potere. Poco dopo però suo fratello, con ingegno, riesce a rubargli il trono e, venuto a conoscenza del rapporto presente tra la sua dama e il suo consanguineo, desidera una rivincita. Atreo quindi fa cercare, uccidere e cucinare i figli di Tieste, per poi darglieli in pasto con un inganno.  

Questa vendetta, come spesso accade in ogni tipo di narrazione, dà il via ad una serie incessante di faide e conti in sospeso che danneggeranno i discendenti dei due fratelli per generazioni. Infatti Atreo ha tre figli da sua moglie, tra cui figura Agamennone, il condottiero avverso ai troiani nell’Iliade. Egli sposa poi Clitennestra, la quale però è amante di Egisto, l’unico figlio di Tieste sopravvissuto alla vendetta attuata da suo fratello contro di lui [di seguito]

A questo punto Egisto vendica suo padre uccidendo Atreo. Anni dopoinsieme a Clitennestra, uccide anche Agamennone, ma così facendo non fa altro che tener vive le fiamme della vendetta nella discendenza degli Atridi. Infatti Oreste, figlio di Agamennone, per pareggiare i conti con gli uccisori di suo padre, assassinerà freddamente sua madre, Clitennestra ed Egisto.  

In questi racconti mitologici, così come in questa novella, vediamo quindi presentarci l’amore da un punto di vista più esterno. Solitamente nel Decameron sono i due amanti ad essere descritti come vinti dalla passione e dal furor,  incontrollabile turbamento che sfiora la follia. Nel racconto di Rossiglione e Guardastagno invece, il termine furor è più riconducibile a messer Guiglielmo, che viene accecato dal desiderio di sangue e di pareggiare i conti 

L’incontrollabilità dell’affetto quindi, oltre che a far soffrire i suoi due principali prescelti, che finiscono entrambi per perdere la vita;, urta determina uno sconvolgimento interiore in colui che da Amore viene fortemente esclusoProprio questo  Llo spinge ad una crudele vendetta, la cui macabra componente cannibalesca, l’atto di far mangiare alla moglie il cuore dell’amante, può essere un estremo  eloquente riferimento simbolico a ciò che era stato l’amore tra i due 

 

Nota: furor è un termine utilizzato da Saffo (e non solo da lei) per descrivere lo stato dell’innamorato come colui che si sente morire ed è completamente preda della follia. Nella sua declinazione amorosa il furor può manifestarsi come una incontenibile follia che travolge qualcunoil cui amore spesso non è corrisposto. Ma questo termine può anche essere utilizzato per riferirsi ad una sanguinosa ed incontrollabile ira guerriera.  

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Matteo

LANDOLFO RUFOLO 

La novella in questione è la quarta della seconda giornata, raccontata da Lauretta che parla racconta  di questo un uomo molto ricco chiamato Landolfo Rufolo, che abita nei pressi di Salerno, sulla costa amalfitana, più precisamente nella città di Ravello. Con l’intento di raddoppiare la sua ricchezza, compra una grande barca e la riempie di merci da vendere e si dirige verso l’isola di Cipro. Giunto a destinazione si accorge che non è l’unico mercante e quindi, a causa di questa competizione, svende le proprie merci impoverendosi. Partito ricco, non potendo tornare povero per via di un'ovvia etica mercantile, oltre che per comprensibili motivazioni materiali, decide di rubare le merci e i beni contenuti nelle altre barche con una barchetta più piccolacon questi gesti atti di pirateria, calcolandone i risultati,  si rende conto di arricchirsi molto di più di quanto potesse farlo con l’attività mercantile regolarmente condottaAvendo di gran lunga raddoppiato la sua ricchezza iniziale, con quella piccola barca, per non spendere quello che ha guadagnato, decide di tornare a casaE pauroso della mercatantia, non s’impacciò d’investire altramenti i suoi denari, ma con quello legnetto col quale guadagnati gli avea, dato de’remi in acqua, si mise al ritornare. Il mare si innalza è in tempesta e la sua imbarcazione non può reggere, ma Landolfo  nota un’isola nelle vicinanze e si ferma approda  lì ad aspettare che il mare si calmi. Due cocche genovesi, provenienti da Costantinopoli, lo riconoscono  e, avendo egli una fama di uomo ricco, lo catturano e si prendono tutte le ricchezze che aveva rubato. Il giorno seguente, a causa di una ulteriore tempesta le due cocche si rompono spezzano e tuttle persone e i beni all’interno si ritrovarono in mare, ma Landolfo riesce a sopravvivere stando sopra una tavola fino al giorno successivo, da dove scruta scorge  in mezzo al mare una cesta, che il vento avvicina a lui, si aggrappa ad essa e passa così tutto il giorno. Il mattino si sveglia nell’isola di Gurfo, dove una ragazza lo lava e lo vestee poi scopre che dentro quella cesta ci sono delle pietre preziose e , le nasconde e poi, proseguendo il ritorno verso casa, passa per la città di Tranidove delle persone si prendono cura di lui. Tornato a Ravello vende le pietre preziose fortunosamente trovateche erano all’interno della cassa e finalmente raddoppia il suo patrimonio iniziale, ma non dimentica i vari benefattori intervenuti in suo soccorso:  decide di donare infatti una grande somma di denaro alla ragazza di Gurfo e ai cittadini di Trani che l’avevano aiutato, e con il resto dei soldi decide di condurre una vita agiata ma distante dal non più dedita al commercio.[ a capo] In questo racconto si capisce di come un uomo che a tutti i costi vuole fare più soldi di quanti non ne avesse già al quale non bastando la sua ricchezza, disiderando di raddoppiarla, venne presso che fatto di perder con tutta quella sé stesso, ma che dopo aver rischiato di perdere tutto diverse volte si accontenta di quello che per FORTUNA fortuna, quella forza irresistibile che agisce in modi opposti nelle vite umane, gli è rimasto e ne dona anche a chi lo ha aiutato ad arrivare a casaIn questo caso però Nella narrazione, così com'è impostata da inizio a fine, si capisce che  Boccaccio non considera l’avidità iniziale del protagonista come un peccato,  ma come una qualità professionale. Non sono infatti espressi giudizi morali nei suoi riguardi, ma la narrazione è solo ritmata dalle sue decisioni sul da farsi al fine che si è proposto.  Dato che lui si ritira Nel momento in cui Landolfo si ritira a vita privata per godere dei suoi beni, i temi fondamentali sono che si possono campionare per ricostruire la sua vicenda esistenziale sono l’astuzia per di aver nascosto le pietre durante il ritorno verso casa e la moderazione:  invece di farsi cogliere dalla smania di arricchimento (come ci si potrebbe attendere, viste le premesse), decide  di smettere con il commercio e di godersi quanto guadagnato, . Si può insomma concludere che il protagonista di questa novella sia uno che riesce a raggiungere una forma di saggezza, maturata che però si è presentata solo dopo aver rischiato di perdere tutto. 

La celebre raccolta di racconti “Le mille e una notte” è incentrata sul re persianoShahriyār che, essendo stato tradito da sua moglie, uccide sistematicamente le sue spose al termine della prima notte di nozze. Un giorno Shahrazād, figlia maggiore del gran visir, decide di offrirsi volontariamente come sposa al sovrano, avendo escogitato un piano per placare l'ira dell'uomo contro il genere femminile. Così la bella e intelligente ragazza, per far cessare l'eccidio e non essere lei stessa uccisa, attua il suo piano con l'aiuto della sorella: ogni sera racconta al re una storia, rimandando il finale al giorno dopo. Va avanti così per "mille e una notte"; e alla fine il re, innamoratosi, le rende salva la vita. All’interno di questa raccolta è presente un racconto, che si può collegare a questa novella, intitolato “Sinbad il marinaio” che narra di un marinaio e delle sue fantastiche avventure durante i viaggi nell'Africa orientale e nell'Asia meridionale, durante le quali incontra luoghi magici, mostri e fenomeni soprannaturali. [quando si utilizza wikipedia o qualsiasi altra fonte, occorre rivedere il testo, riscriverlo: non solo per eliminare le evidenziazioni con tanto di link, ma anche per fare comunque un esercizio di scrittura e rendere se possibile migliore la forma: qualsiasi enciclopedia o fonte deve restare quello che è, ossia un materiale nozionistico che contribuisce all'elaborazione concettuale che sto realizzando]

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Andrea T.

FEDERIGO DEGLI ALBERIGHI 

La Novella di Fedrigo degli Alberighi è la nona novella della quinta giornata, viene raccontata da Fiammetta che è anche la regina della giornata dedicata agli amori che i quali, dopo alcune controversie, si concludono con un lieto fine. 

La storia racconta l’amore  di Federigo degli Alberighi, ricchissimo nobile di Firenze, per Monna Giovanna, una delle più belle donne di Firenze, che però è sposata, e quindi non può cedere alle proposte del protagonista. Per lei tuttavia Federigo sperpera tutto il suo patrimonio, organizzando tornei di spada tra gentiluomini, giochi, e ovviamente feste in cui dimostrare tutta la sua ricchezza e generosità; ma Giovanna non cede.

Il nobile, ridottosi quasi in miseria per via di questa infruttuosa strategia, è così costretto a ritirarsi in un suo piccolo podere, dove si dedica all’agricoltura e alla caccia, con l’aiuto di un falcone, ultimo segno residuo simbolico della sua antica nobiltà. Un giorno, Giovanna, rimasta nel frattempo vedova, si ritira per l’estate in un suo podere, vicino a quello di Federigo, sperando di migliorare le condizioni di salute del figlio, assai debole e gracile. Per caso, il ragazzino s'imbatte e fa conoscenza con  conosce il nobile Alberighi e, vedendo il suo falcone, lo desidera ardentementecredendo che questo possa servire anche per la sua guarigione. Domanda quindi alla madre di chiedere a Federigo il falcone. : si rivolge quindi alla madre implorandola di farselo dare da Federigo, aggiungendo alle sue preghiere un argomento al quale ella è ovviamente molto sensibile, ovvero dicendo che averlo con sé potrebbe favorire il suo risanamento. 

La richiesta, ovviamente, mette in grandi difficoltà Giovanna, che da un lato ha a cuore la salute del figlio e dall'altro non può chiedere un così grande favore proprio all'uomo che ha rifiutato, e di cui ha causato, pur indirettamente, la rovina economica.

La donna, tuttavia, decide di passare all'azione; finge quindi di passare per caso dalla casa di Federigo e gli chiede se può fermarsi a tavola; il protagonista, a causa delle gravi ristrettezze economiche in cui si trova, non è in grado di offrirle un pranzo degno di una nobildonna. Decide, quindi, per amore, di sacrificare proprio il falcone, e di servirlo arrostito. Quando, terminato il pranzo, la donna chiede di poter avere il falcone per curare suo figlio Federigo, tra le lacrime, confessa ciò che è avvenuto. Giovanna, pur rimproverando a Federigo il gesto, non può non comprenderne la grandezza e la nobiltà d'animo, che lo ha portato a sacrificare per lei l'unica sua residua ricchezza.

La vicenda ha quindi un finale dolceamaro: il figlio di Giovanna muore dopo poco, sia per il suo desiderio rimasto inesaudito sia per il progredire della sua malattia, lasciando alla madre le grandi ricchezze ereditate dal padre. Giovanna, quando i fratelli fanno su di lei pressioni affinché si risposi, sceglie Federigo, nonostante la sua povertà.

L’intera novella ruota attorno all’amore di Federigo nei confronti di Giovanna, quest’amore si raffina nel corso del tempo, ma inizialmente è un amore convenzionale:  Federigo da ottimo cavaliere,  non si risparmia assolutamente lesina i suoi beni e non trascura l'ostentazione, indicendo eventi mondani come feste e tornei, con esibizioni di potenza e forza. Per potersi conquistare una nicchia nel suo cuore, partecipava ai tornei, faceva un duello dopo l’altro, dava ricevimenti e le inviava regali su regali senza badare a spese, ma la signora, non meno fedele che bella, era del tutto indifferente sia a queste giostre seduttive che al loro artefice, e così, con tutto quello spendere sconsiderato, Federico, com’è di regola in casi simili, si ritrovò sul lastrico, senza aver ottenuto da lei nemmeno mezza smorfia. [come ho detto in classe, non si devono utilizzare le versioni modernizzate!!!]

Federigo poi raffina questa sua propensione nei confronti di lei al massimo grado, trasforma l’amore in una forma di generosità che non ha solo più le caratteristiche della passione ma rappresenta proprio l’evoluzione di quest’amore. Federico, sentendo la richiesta della donna e trovandosi impossibilitato a esaudirla perché quel che gli chiedeva l’aveva già offerto a tavola, scoppiò in lacrime davanti a lei senza riuscire più a proferire una sola parola. All’inizio la signora pensò che quella reazione inconsulta fosse probabilmente causata dal dolore di doversi separare dal suo caro falcone, e fu quasi tentata di fare marcia indietro, ma si trattenne e sopportò quel pianto, finché Federico non si decise a parlare: “Signora, da quando il destino ha deciso che dovevo amarvi, la fortuna mi ha voltato le spalle e mi ha dato addosso, ma tutto ciò che ho passato è un’inezia rispetto all’imperdonabile torto che subisco adesso: voi venite qui, in questa misera casa, dopo esservi tenuta a distanza da me quando ero ricco, per chiedermi un dono da niente e io, ahimè, non posso farvelo. Vi spiegherò il perché in due parole. Appena ho saputo che voi, bontà vostra, volevate farmi l’onore di sedervi alla mia tavola, ho pensato che un’ospite così di riguardo meritava di vedersi servire il pranzo più raffinato che potessi permettermi e non quello che di solito si mette in tavola per un visitatore qualunque, così mi è venuto in mente che il falcone che mi state chiedendo doveva essere squisito, e ho deciso che quello era il cibo degno di voi. E l’ho fatto arrostire e portare in tavola. Credevo proprio di averlo impiegato nel modo migliore, ma ora voi me lo domandate in tutt’altra veste e io sono così desolato di non potervelo dare che non riuscirò mai a darmene pace, lo so.” [ovviamente vale il rilievo di prima; inoltre la citazione è troppo lunga e non corredata da commento adeguato]

Il modo in cui Giovanna si dispone a sposare Federigo rappresenta la massima evoluzione di quest’amore controverso. “Cari fratellini, so benissimo che non ha un soldo, ma meglio un vero uomo con le tasche vuote, che una testa vuota con le tasche piene.” [senza commento resta solo una constatazione]

questa novella può essere intesa come una lezione sull’educazione sentimentale, su come si possa maturare in amore. In questa novella a differenza delle altre della quinta giornata il lieto fine non è proriamente tale in quanto Federigo dovuto sacrificare il suo falcone e Giovanna per convincersi a risposare ha dovuto subire la morte del figlio. [questo è uno svilimento della novella: Giovanna decide di sposare proprio Federigo perché sceglie l'omo e non la sua ricchezza. La citazione ha un grande senso comunicativo, rivoluzionario, se la si contestualizza: nella società di riferimento di questa novella è raro che si prendano in considerazione le virtù dell'anima, dato a che a contare sono maggiormente poteri e ricchezze; in questo caso, tra l'altro, è una donna a far valere il suo giudizio, più lungimirante di quello di tanti uomini che però, quasi sempre, detengono il controllo di mogli, figlie e sorelle, che non possono minimamente esercitare la libertà di disporre di sé]


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Federico 

MASETTO DA LAMPORECCHIO

Masetto da Lamporecchio è la prima novella della terza giornata (corrispondente alla domenica). Questa è narrata da Filostrato e la sua regina è Nefile, che come tema ha scelto: “chi ottiene una cosa desiderata da tanto tempo”.

La storia narra di un contadino molto astuto di nome Masetto, che un giorno incontra Nuto, anch’egli contadino e originario di Lamporecchio. Il secondo lavora e gestisce l’orto di un monastero, fino a quando, però, decide di licenziarsi per due motivi così enunciati: “le donne mi davano sì poco salario, che io non ne potevo appena pure pagare i calzari. E, oltre a questo, elle son tutte giovani e parmi ch’elle abbiano il diavolo in corpo”.

Perciò, Nuto non veniva pagato, a suo parere, sufficientemente e, inoltre, decide di lasciare il lavoro anche a causa delle monache, dicendo che queste hanno il diavolo dentro, con allusione a comportamenti dei quali poi sarà lo sviluppo della novella a renderci edotti.

Avendo sentito questa notizia, Masetto inizia a pensarci sempre più seriamente all'ipotesi di prendere il posto di costui, fino ad arrivare a decidere di voler prendere il posto di Nuto. Così, egli si presenta al monastero fingendo di essere sordomuto e la badessa lo assume, concedendogli di lavorare nell’orto. [la motivazione della sua messinscena va spiegata subito: crede, presentandosi come uno storpio, è termine del testo, di venire accettato più facilmente, essendo un ragazzo di bell'aspetto che potrebbe intimorire quelle che lui si figura essere pie monache]

In un primo momento tutte le monache approfittano del fatto che Masetto sia sordomuto prendendolo in giro, ma, poi, queste iniziano ad avere nei confronti del giovane dei pensieri maliziosi.

Un giorno, due delle monache si confessano, decidendo di voler si manifestano reciprocamente (una in particolare) l'idea di approfittare del sordomuto, portandolo in una capanna in cui si trovano solo strumenti per il giardinaggio per avere un rapporto con lui, che tanto non avrebbe potuto parlare. Intanto,  Ovviamente Masetto, avendo sentito   ha udito lo scambio d'idee fra loroil discorso delle due, e inizia ad aspettare impazientemente la sera. Quando le monache lo portano nel capannoegli si emoziona, in quanto ha raggiunto il suo obiettivo. Poi, nel capanno, avviene quello che, non solo le due monache ma anche il finto sordomuto, avevano sperato, e tutt'e tre ne sono ben contenti.

Successivamente, la voce si diffonde nel convento e anche le altre monache esprimono la volontà di voler avere dei rapporti con Masetto. L’uomo arriva anche a passare varie intere giornate consecutive con la badessa.

Per diverso tempo il contadino passa le notti con le monache o con la badessa, fino a quando:  Da lì a poco l'intero convento, badessa compresa, s'intrattiene piacevolmente con Masetto, fino a quanto accade che l'uomo si renda conto di non poter andare avanti a un ritmo simile. Sceglie quindi, una notte in cui si trova con la badessa, di interrompere la finzione del mutismo, dichiarandole apertamente come non riesca più a onorare un servizio così impegnativo. Superata la sorpresa per la scoperta dell'inganno, la badessa sceglie una soluzione vantaggiosa per tutti:  

 

“Ultimamente della sua camera alla stanza di lui rimandatolne, e molto spesso rivolendolo, e oltre a ciò più che parte volendo da lui, non potendo Masetto sodisfare a tante, s’avvisò che il suo esser mutolo gli potrebbe, se più stesse, in troppo gran danno resultare. E perciò una notte colla badessa essendo, rotto lo scilinguagnolo, cominciò a dire: -Madonna, io ho inteso che un gallo basta assai bene a dieci galline, ma che dieci uomini possono male o con fatica una femina sodisfare, dove a me ne conviene servir nove, al che per cosa del mondo io non potrei durare; anzi son io, per quello che infino a qui ho fatto, a tal venuto che io non posso far né poco né molto; e perciò o voi mi lasciate andar con Dio, o voi a questa cosa trovate modo.”

 

Dunque, Masetto inizia a sentirsi sfinito dal soddisfare tutte le monache del monastero e, per questo motivo, decide di parlare alla badessa, chiedendole di lasciare il suo posto. La donna, immediatamente, rimane scioccata a scoprire che l’uomo in realtà non è sordomuto e, perciò, lo lascia andare assegnandogli il ruolo di amministratore del monastero, in modo che egli non parliasse con nessuno degli avvenimenti di quanto accaduto. Inoltre, la badessa si mette d’accordo con le otto monache nel per  far pensare a tutti che la voce fosse tornata a Masetto in seguito alle loro preghiere, come si fosse trattato di un miracolo.

Nella parte conclusiva della narrazione nascono molti bambino come conseguenza di tutti i rapporti che l’uomo aveva avuto con le monache, ma la situazione viene gestita discretamente con estrema discrcezione. Infine, Masetto, ormai vecchio, ma anche ricco e senza figli a cui dover badare, decide di ritirarsi dal suo lavoro, vivendo una vita spensierata, tranquilla e sena alcuna preoccupazione.

 

Nella parte finale della novella si può di certo notare che la badessa è dotata di grande ingegno, in quanto riesce a mettere apposto a posto ogni cosa, anche, per così dire, a livello morale, per quanto di una morale che esula completamente dal campo della religione e sembra piuttosto essere una morale naturale, per la quale l'imperativo categorico non è obbedire alle leggi di Dio, ma a quelle, forse anche più imperiose ma in grado di dare soddisfazioni immediate, dell'erotismo. Infatti, riesce a fare in modo che la voce dell’accaduto non si spargessea al di fuori del convento, ma che rimanesse un fatto oscuro rimanga ignorata da tutti, eccetto alle le otto monache e all’astuto contadino. Infatti, risolve la situazione assegnando il ruolo di amministratore del monastero a Masetto. Inoltre, la badessa riesce anche a fare in modo che la situazione creata con la nascita dei bambini non crei altri problemi, gestendola in maniera discreta e senza che vada a complicare la vita del contadino, che può continuare a trascorrerla spensieratamente dopo aver abbandonato il suo lavoro.

 

Ciò che avviene all’interno del monastero, cioè la situazione che si viene a creare con la volontà delle monache di avere dei rapporti con il sordomuto, è del tutto inaspettata. Infatti, si può affermare che nella novella sia presente il tema del rovesciamento, in quanto accade tutto nell’ultimo luogo al quale si penserebbe ad una scena del genere. in un luogo in cui vivono persone che hanno fatto voto di castità e sono continuamente esortate a rivolgere pensieri allo spirito e non al corpo.  Inoltre, si può anche far riferimento alla natura che trionfa sulla cultura. Questo perché per natura, uomini e donne gli esseri umani sono attratti reciprocamente e sentono il desiderio di volere dei rapporti tra di loro di manifestare tale attrazione in modi svariati, che il Decameron come specchio del mondo, documentaCiò vale anche per le monache, che in questa storia decidono di voler soddisfare il loro piacere, avendo sentito in giro che si trattava “della cosa più dolce al mondo”. Perciò, la loro reale natura trionfa sulla cultura, in quanto, sia nella cultura del tempo che in quella contemporanea, non ci si aspetterebbe mai da dalle monache un comportamento simile. Queste ultime, se avessero agito seguendo quella che è la cultura, non dovrebbero mai dovuto compiere un atto di questo tipo, ma avrebbero dovuto resistere alle loro tentazioni. , ma piuttosto una strenua resistenza opposta alle tentazioni.

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Eleonora

GUIDO CAVALCANTI

La novella intitolata dedicata a  Guido Cavalcanti è la nona novella della sesta giornata, Questa giornata, che cade di mercoledì ha come regina Elissa che, di soli diciott’ anni, è la più giovane delle donne del Decameron [corsivo]. Il suo nome, come tutti quelli dei protagonisti della cornice dell'opera, è un nome parlante. Infatti, fa riferimento alla regina Didone, di cui è il secondo nome,  la quale, venne nominata così nel come risulta dal IV canto dell’Eneide. Elissa è una donna passionale e innamorata, il suo amore però è triste e turbato, proprio come quello della regina fenicia. Ci sono diverse interpretazioni sul del  suo personaggio, alcune la identificano come la ghibellina della brigata, secondo altre interpretazioni potrebbe rappresentare la speranza o la giustizia [riportare solo dati, senza spiegazioni, non è mai produttivo: basta il riferimento all'Eneide, allora]. Per la sesta giornata sceglie come tema ‘’chi, grazie a risposte pronte e argute, è riuscito a togliersi d’impaccio o da situazioni pericolose’’: ‘’si ragiona di chi con alcun leggiadro motto, tentato, si riscotesse o con pronta risposta o avvedimento fuggì perdita o pericolo scorno’’. Il successo delle risposte efficaci è dato garantito non solo dallo spirito arguto del parlante, ma anche dalla capacità dell’uditore di capire la battuta. Le novelle della sesta giornata sono tutte molto brevi e espresse stilisticamente in modo particolarmente controllato e raffinato. Infatti l’autore vuole evidenziare le difficoltà del raccontare bene e l’importanza del controllo tecnico sullo stile e sulla materia. Gli scrittori hanno perciò una grande responsabilità nei confronti dei lettori, quella di procurare un piacere di tipo estetico, come promette di fare lo stesso Boccaccio nel proemio della sua opera. [a capo] Questa giornata è diversa dalle altre, infatti poiché inizia con la una  lite di fra due servi: Licisca, domestica di Filomena e Tindaro, servo di Filostrato. La regina, per farli cessare, chiama Dioneo per giudicare il fatto, che dà ragione a Licisca. Per la prima volta veniamo a conoscenza di esperienze di personaggi non della brigata. Inoltre, le novelle raccontate si svolgono tutte nei pressi di Firenze e talvolta da personaggi conosciuti dai dieci protagonisti del Decameron, conferendo alla giornata particolare realismo. Infine, come conclusione, la regina porta le ragazze della brigata alla ‘’Valle delle Donne’’, che è il culmine della bellezza della natura, dove esse si immergono in un laghetto naturale. Ritornate alla villa, Elissa canta con ‘’soave voce’’ una ballata dolorosa, in cui canta l’amore vissuto da lei come una guerra dalla quale esce sconfitta, avvicinandosi alla figura dell’omonimo personaggio dell’Eneide. È la stessa regina, infine,  a raccontare la nona novella della giornata. Anche i particolari che ho appena evocato sono dunque considerabili funzionali al contenuto di questa folgorante novella: tutto concorre a predisporre a un'attenzione particolare, a una concentrazione su dettagli che, lungi dal costituire ornamento esteriore, sono invece intrinsecamente connessi con il contenuto narrativo. Quando questo inizia a delinearsi, a essere rievocata è per cominciare La narrazione rievoca la Firenze della fine del duecento, descrivendo la città descritta come luogo in cui erano ancora presenti delle belle usanze, prima che giungesse l’avarizia ‘’assai belle e laudevoli usanze, delle quali oggi niuna ve n’è rimasa, mercè dell’avarizia che in quella con le ricchezze è cresciuta, la quale tutte l’ha discacciate’’. Nella realtà storica, peròla Firenze del Duecento era straziata da lotte tra i Guelfi Bianchi e Neri. Boccaccio evita così di inserire un’analisi politicae fa emergere una nota di nostalgia per quei tempi, in cui prosperava la produzione letteraria ed era usanza tra le classi fiorentine più agiate riunirsi in gruppi, chiamati brigate, per tenere banchetti e indire tornei di scherma. Il poeta Guido Cavalcanti viene raffigurato dall’autore con grandi onori e lodi, in quanto uomo di grande cultura, e particolarmente interessato alla filosofia. Proprio quest’interesse, sottolinea Elissa nel suo racconto, fece avvicinare il poeta alla corrente dell’epicureismo, che lo portò ad isolarsi dagli altri uomini. Guido era accusato di appartenere  aderire a questa dottrina, una corrente filosofica sorta in Grecia, con Epicuro, nel IV secolo a. C., [qui si  val la pena inserire un paio di nozioni] di origini greche, e quindi di essere ateo, poiché non riconosceva la sopravvivenza dell’anima dato che gli epicurei non concepivano l'idea cristiana di una creazione dell'universo da parte di una divinità, pur senza negare l'esistenza degli dei. La regina continua il racconto, dicendo che il poeta era conteso tra tutte le brigate, tra cui quella di Betto Brunelleschi, intenzionato a farlo entrare nella propriaproprio gruppo. Così un giorno viene fermato, presso la porta di San Giovanni, dove si trovano le tombe dei primi cittadini di Firenze, dalla Brigata di Betto, che lo circonda edesiderando ‘’dargli briga’’, i membri del gruppo gli chiedono lo cimenta chiedendo, tra l'altro, di giustificare il suo rifiuto di unirsi a loro e il suo ateismo. “Guido tu rifiuti d'esser di nostra brigata; ma ecco, quando tu avrai trovato che Iddio non sia, che avrai fatto?”.  La risposta dell’intellettuale risulta essere arguta e enigmatica, tanto da essere colta solamente da Betto. ‘’ Signori voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace’’. Accompagnando la parola con un atletico salto, supera  oltrepassa le tombe. I membri della brigata rimangono attoniti, poiché non comprendono il motto, che viene, così, spiegato da Betto. ‘’Gli smemorati siete voi, se voi non l’avete inteso. Egli ci ha detta onestamente in poche parole la maggior villania del mondo; per ciò che, se voi riguardate bene, queste arche sono le case de’ morti, per ciò che in esse si pongono e dimorano i morti; le quali egli dice che sono nostra casa, a dimostrarci che noi e gli altri uomini idioti e non litterati siamo, a comparazion di lui e degli altri uomini scienziati, peggio che uomini morti, e per ciò, qui essendo, noi siamo a casa nostra’’ Infatti Guido, coltissimo, con il suo motto arguto, considera esplicita un giudizio nei riguardi dei membri della brigatacome che risultano’idioti e non letterati’’e quindi li paragona a dei cadaveri, che si trovano nel cimitero, e pertanto a casa loro. Boccaccio con questa novella evidenzia la distanza incolmabile tra la gente comune e i sapienti, rappresentati al meglio da Guido Cavalcanti. Inoltre, l’autore del Decameron [corsivo], ammiratore di Dante, non a caso colloca la novella in un cimitero, rifacendosi alla Divina Commedia [corsivo], nel cui decimo canto dell’Inferno [corsivo] sono collocati gli atei, tra cui lo stesso padre di Guido, in tombe infuocate che simboleggiano la mortalità dell’anima da loro teorizzata in vita.
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Carlotta

Gostanza e Martuccio 

Ci troviamo nella seconda novella della quinta giornata, dedicata al tema della felicità raggiunta da due amanti dopo avventure e sventure che si mettono in mezzo al ostacolano il loro amore, che [troppi che] destinato però alla fine trionfa a trionfare. Il tema viene scelto da Fiammetta, regina della giornata. 

Emilia, la narratrice, presenta per cominciare  Gostanza, una giovane donna di famiglia nobile nata nell’isola di Lipari in Sicilia. La ragazza è innamorata di Martuccio, un giovane non benestante e perciò ai due non è permesso sposarsi [pensiero più articolato: "il quale, privo di beni e non nobile, non sarebbe mai ritenuto all'altezza della fanciulla dai suoi familiari, che si opporrebbero a ogni costo a una loro unione.]. Egli quindi decide di lasciare Lipari e non tornarci finchè non diventa sia diventato ricco, ma decide di praticare una via disonesta per raggiungere il suo scopo: costeggiare la viaggiare sotto costa nei pressi della Tunisia derubando i navigatori, praticando dunque la pirateria. Martuccio riesce a diventare abbastanza facoltoso ma, non accontentandosi subito dei guadagni e persistendo nella pericolosa attività,  a un certo punto viene catturato da navi saracene insieme ai suoi compagni, la sua nave è affondata e questo causa la morte di qualcuno e l’imprigionamento di qualcun altro, compreso Martuccio. A Lipari giunge la falsa notizia che tutto l’equipaggio della nave sia annegato nell’attacco, e perciò Gostanza, distrutta dal dolore, decide di porre fine alla sua vita.  [non interromperei la narrazione per inserire questo riferimento, ma lo inserirei nel commento] 

Questa trama la troviamo anche in “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare e in uno dei miti della “Metamorfosi” di Ovidio, poeta elegiaco latino che vive tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. Ovidio è anche l’autore dell’ “Ars Amandi”, un poema sull’arte dell’amore.  [rispettare l'ordine cronologico! Lo spunto proposto nella novella di Boccaccio ha un antecendente nel mito di Piramo e Tisbe e una ripresa posteriore in Shakespeare]

Nel mito di Ovidio, Piramo e Tisbe sono due ragazzi il cui amore è ostacolato dai genitori. I due possono parlare esclusivamente attraverso una fessura del muro che divide le due abitazioni vicine; un giorno quindi decidono di scappare per amarsi senza vincoli. Nel luogo d’incontro, Tisbe arriva per prima e viene sorpresa da una leonessa, dalla quale però riesce a mettersi in salvo, perdendo un velo che viene strappato e insanguinato dalla bestia. Quando Piramo arriva, vede solo il velo insanguinato e pensa solo allo scenario peggiore alla possibilità che l'amata sia mortaquindi, credendo morta la sua amata, così si slancia su una spada e muore. Quando Tisbe ritorna, trova il suo amante in fin di vita,  le[gli: se sbagli il pronome non si capisce più niente: mentre sta morendo per un attimo Piramo la riconosce]  sussurra il suo nome, Piramo la guarda e poi muore. Tisbe non riesce a sopportare il dolore e fa la stessa fine del suo amato si suicida col medesimo pugnale usato da lui. La trama di chi si toglie la vita pensando che la persona amata sia deceduta è ricorrente in molte storie, in cui l’amore è così forte che i due farebbero di tutto pur di stare insieme, anche morire. 


Ritornando alla novella, Gostanza decide quindi di salire su una piccola imbarcazione, lasciare remi e timone, sdraiarsi sul fondo della barca coprendosi con un mantello e abbandonarsi al mare. La ragazza però non riesce nel suo intentoe il giorno dopo si trova in una spiaggia vicino alla città di Susa dove, ancora coperta dal mantello e non accortasi di nulla, viene trovata da una donna di nome Carapresa, che le chiede di raccontarle la sua storia e le dà cibo e acqua. Gostanza, rincuorata, viene condotta da una donna che le offre la sua ospitalità e l’accoglie in casa sua. Ormai Gostanza è creduta morta a Lipari e c’è una guerra in atto tra il re di Tunisi Mariabdela e Granata, un nobile che sostiene che il reame di Tunisi gli appartenga.  di seguito

Martuccio, sentita la notizia, chiede di avere un colloquio con il re, dicendo di avere potergli dare un consiglio che gli avrebbe permesso al re di vincere la guerra: far sì che gli avversari siano a corto di saette, dato che sa che i Saraceni utilizzano principalmente gli arcieri in battaglia. Lo stratagemma è ridurre le dimensioni delle corde e anche delle cocche, ovvero la parte finale delle frecce dove si mette la corda prima di far partire il colpo. In questo modo, una volta scagliate le frecce da entrambe le parti, i nemici non sarebbero riusciti ad usare le frecce raccolte appartenenti ai loro avversari e quindi i soldati del reame di Tunisi sarebbero stati in superiorità rispetto al numero di frecce. Il re segue il consiglio di Martuccio e riesce a vincere la guerra, perciò lo ricompensa con cospicue ricchezze. La notizia della vittoria per via del consiglio di Martuccio arriva a Gostanza, che scopre così che il suo amato è ancora vivo. per che l’amor di lui, già nel cuor di lei intiepidito, con subita fiamma si riaccese e divenne maggiore, e la morta speranza suscitò.  

La donna che dimora con Gostanzala accompagna a Tunisi a trovare Martuccio; la ragazza viene ospitata a casa di parenti. Con le due donne c’è anche Carapresa, incaricata di dire a Martuccio che c’è anche Gostanza a Tunisi. Il giovane quindi va nella casa in cui l’amata è ospitata e i due finalmente si ricongiungono. 

 

Questa novella, pur essendo da un certo punto di vista simile al ricalcando fino a un certo punto il mito di “Piramo e Tisbe” e alla tragedia di “Romeo e Giulietta” [non vale più la pena ripeterlo, ammettendo di aver già inserito il riferimento]ha una variazione sostanziale nel ne varia sostanzialmente la trama. Infatti, a differenza degli altri due, Gostanza fallisce il suo tentativo di suicidio, e Martuccio non è veramente morto. Inoltre Gostanza, sentendo il nome della donna che la soccorre una volta sbarcata nella città di Susa, riacquista un po’ di speranza, che aveva perso pensando che il suo amato fosse morto, riuscendo anche a trovare una pace interiore, sempre non dimenticando tutto l’amore che prova per Martuccio.  

 

Fondamentale anche il ruolo di alcuni personaggi che hanno aiutato, anche in piccola minima parte, i due amanti. Gostanza viene aiutata da Carapresa e dalla donna che la ospita in casa sua, che diventa una figura materna per la ragazza. Martuccio, grazie alle sue conoscenze sulle tecniche belliche dei saraceni, dando un consiglio al re per vincere la guerra, riceve ricompense abbondanti. Questi aiutanti, non solo offrono delle possibilità lungo il cammino, ma spronano in qualche modo i due a non arrendersi, tenendo a mente che l’amore, in ogni caso, trionfa.  Indubitabile, però, che anche il destino, nel loro caso, agisca favorevolmente, mentre in quello del mito originario sembra predisporre tutto alla negatività, beffandosi dei due protagonisti fino all'ultimo. Per loro, infatti, l'unica ricompensa è costituita dall'imperitura memoria delle loro vite e del loro amore disperato attraverso il frutti rossi della pianta del gelso.

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Alberto 

PERONELLA 

Peronella è la seconda novella raccontata nella settima giornata da Filostrato, sotto il regime di Dioneo. Inizialmente, è presente un’introduzione in cui, rivolgendosi alle donne, il narratore ammonisce tutti gli uomini che tradiscono le proprie donne, poiché, in quel momento  sarebbero libere di fare lo stesso creando una situazione di grande disagio e confusione tale loro comportamento autorizza implicitamente queste ultime a compiere ritorsioni: Carissime donne mie, elle son tante le beffe che gli uomini vi fanno, e spezialmente i mariti, che, quando alcuna volta avviene che donna niuna alcuna al marito ne faccia, voi non dovreste solamente esser contente che ciò fosse avvenuto o di risaperlo o d’udirlo dire ad alcuno, ma il dovreste voi medesime andare dicendo per tutto, acciò che per gli uomini si conosca che, se essi sanno, e le donne d’altra parte anche sanno: il che altro che utile essere non vi può; per ciò che, quando alcun sa che altri sappia, egli non si mette troppo leggiermente a volerlo ingannare. Chi dubita dunque che ciò che oggi intorno a questa materia diremo, essendo risaputo dagli uomini, non fosse lor grandissima cagione di raffrenamento al beffarvi, conoscendo che voi similmente, volendo, ne sapreste fare? È adunque mia intenzion di dirvi ciò che una giovinetta, quantunque di bassa condizione fosse, quasi in un momento di tempo, per salvezza di sé al marito facesse.  [comunque la citazione è troppo lunga...]

Dopo questa introduzione, il narratore inizia a raccontare la trama  sviluppare la narrazione,  che ha come tema principale le beffe delle mogli ai a danno dei  mariti. La storia è ambientata a Napoli, dove una bella donna di nome Peronella è sposata con un muratore il quale, ogni mattina, si appresta a uscire  esce per andare a lavorare. Peronellaperò, cedette [perché però? non è giustificato da quanto scriviviene notata da un giovane avvenente, che inizia a corteggiarla e, a un certo punto, la induce a cedere  alle sue lusinghe. SI tratta  di un giovane ragazzo di nome tal  Giannello Scrignario cheda quando la donna inizia a corrisponderlo,  praticamente ogni giorno, una volta che il marito lasciava casa, i due si incontravano in gran segreto la raggiunge e s'intrattiene con lei. Il giorno di Santo Galeone, nel quale era solito non lavorare, il marito tornò, improvvisamente, a casa in compagnia di un mercante. Poiché questi trovarono la porta chiusa, il consorte, dopo aver ringraziato Dio perchè nonostante l’avesse creato povero le avesse gli aveva  fatto incontrare una “buona e onesta giovane di moglie”, iniziò a bussare alla porta. Peronella, inizialmente molto preoccupata (Ohimè, Giannel mio, io son morta), dopo aver nascosto Giannello all’interno di un doglio, decise di aprire la porta e iniziò a criticare il marito per essere tornato a casa troppo in fretta e di non aver voglia di fare nulla: Ora questa che novella è, che tu così tosto torni a casa stamane? Per quello che mi paia vedere, tu non vuogli oggi far nulla, ché io ti veggio tornare co’ ferri tuoi in mano; e, se tu fai così, di che viverem noi? Onde avrem noi del pane?. Il muratore gli spiegò pazientemente spiega che aveva di aver appena venduto il doglio al mercante per 5 gigli, a quel punto la donna affermò, con invidiabile prontezza di spirito,  che aveva di aver già trovato, precedentemente, un acquirente per 7 gigli che [spostare la posizione del che vicino a acquirente] stava controllando le condizioni di esso al suo interno. Appena Peronella terminò la frase, Giannello uscì con analoga prontezza [i due si meritano l'un l'altra, mentre il marito è un babbeo] esce dalla botte e si lamentò delle condizioni: così  e la donna ordinò può ordinare, sempre mantenendo lo stesso piglio iniziale, al marito di pulirla. Mentre la moglie dava impartisce  istruzioni al marito per la pulizia accurata della botte, la donna finiva di saziare i propri desideri con il giovane che, una volta finito, pagò i 7 gigli e tornò a casa appagato.   ,e ogni espressione utilizzata dalla narratrice è un doppio senso a carattere sessuale, i due portano a compimento l'atto sessuale prima interrotto a poca distanza dal marito ignaro di tutto, se non del fatto di procurarsi un buon guadagno. 

In questa novella sono presenti due temi fondamentali dei racconti di Boccaccio, ovvero l’ingenuità dei mariti di alcuni soggetti (in questo caso la categoria presa di mira sono appunto i mariti) e, come necessario contraltare, l'astuzia di altri, di nuovo nel caso specifico, le mogli. soprattutto, l’astuzia delle mogli. Peronella, infatti, è una donna molto astuta che, nonostante fosse in panico si trovi in una situazione di pericolo estremo,  tanto da ritenersi quasi già scoperta in flagrante adulterio, riesce, attraverso l’ingegnoa trovare un modo per uscire dalla quella scomoda situazione.  

Il muratore è una figura completamente ingenua marito, d'altronde, è di una sconcertante ingenuità, al punto che, probabilmente, è piuttosto che ritenerlo  accecato dall’amore che prova per sua moglie, vien da pensare che non sia particolarmente intelligente. Insomma, una sorta di variazione sul tema di Calandrino, ma con un che di tragicomico in più, per via dell'assenza nel suo carattere di quella nota meschina che si riscontra nel più celebre beffato delle novelle di Boccaccio. D'altronde questo marito può anche essere appunto un ingenuo assoluto che, Infatti, oltre a non essersi mai accorto di nulla poiché si trovava a lavorare, inizialmente, loda è convinto di aver sposato la donna migliore del mondo, sua moglie come dimostra con la battuta pronunciata nel momento in cui trova la porta chiusa e la definisce “buona e onesta” e, in seguito, viene per poi essere, poco dopo, anche deriso e criticato per il fatto di non aver voglia di fare nulla, nonostante avesse cercato un modo per portare dei soldi a casa in un giorno festivo. Infine, viene anche beffato perché, mentre si impegna nella pulizia del doglio, Peronella e Giannello concludono ciò che avevano iniziato in precedenza. La beffa conclusiva sarebbe atroce, non fosse che è preceduta da quell'avvertimento del narratore in merito all'uso maritale di tradire le mogli, rispetto al quale un caso come quello di Peronella può ben rappresentare un originale forma di ammonimento. 

 

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Andrea S.

Frate Cipolla 

“Frate Cipolla” [non è un titolo: Il personaggio di frate Cipolla è protagonista...] è la decima novella della sesta giornata, che ha come tema le alzate di ingegno che hanno permesso a qualcuno di togliersi dai guai, ed è narrata da Dioneo, ilnarratore più giovane e ironico della compagnia e particolarmente collegato con una visione dell’amore godereccio. 

Come sempre la novella è introdotta da una breve sintesi: 

Frate Cipolla promette a certi contadini di mostrar loro la penna dell’agnolo Gabriello; in un luogo della quale trovando carboni, quegli dice esser di quegli che arrostirono san Lorenzo. 

Frate Cipolla, chiamato così perché originario di Certaldo, paesello toscano famoso per la produzione di cipolle, è un de’ frati di santo Antonio, di persona piccolo, di pelo rosso e lieto nel viso, ed il miglior brigante del mondo. Inoltre è stimato e benvoluto da tutti i fedeli e, malgrado le apparenze, una delle sue caratteristiche predominanti è la sua abilità retorica: infatti Dioneo dice “che chi conosciuto non l’avesse, non solamente un gran rettorico l’avrebbe estimato, ma avrebbe detto esser Tullio medesimo o forse Quintiliano”. 

Quel Un giorno, quello che fornisce il pretesto per la narrazione, il frate, mentre procede con le sue solite pratiche, come riscuotere le offerte, promette ai fedeli di fargli loro vedere un’incredibile reliqua reliquia: questa è una delle penne dell’agnol Gabriello, la quale nella camera della Vergine Maria rimase quando egli la venne ad annunziare in Nazarette. Il pubblico è in festa, tranne due suoi amici, Giovanni del Bragoniera e Biagio Pizzini, che decidono di faregli un terribile uno scherzo al frate

I due si recano al castello di nel luogo in cui Frate Cipolla, che era insieme a un suo amico a pranzare, tiene i suoi pochi beni, e trovano a far da guardia alla sua camera Guccio Imbratta, lo stupido servo del frate tanto brutto che egli non è vero che mai Lippo Topo (personaggio proverbiale famoso per realizzare nei suoi quadri figure umane molto brutte) ne facesse alcun cotanto. Ma dopo un po’ il servo andò si reca in cucina, ammaliato dalla cuoca, brutta quanto lui, e lasc la camera aperta e le cose del frate incustodite. 

Contenti adunque i giovani d’aver la penna trovata, quella tolsero, e per non lasciare la cassetta vòta, veggendo carboni in un canto della camera, di quegli la cassetta empierono. 

I due sfruttano quest’occasione ed entrano nella camera, trovano la penna, che scoprono essere solo una comune piuma di pappagallo, e la sostituiscono con dei carboni. Il giorno dopo il frate prende le sue cose e va in chiesa, dove molti fedeli si sono radunati per vedere la reliquia. Allora egli inizia con la predica, ma poi, al momento di mostrare la penna, scopre lo scambio. E allora, in questa situazione imprevista, il frate si inventa una storia per giustificare la nuova reliquia: Vera cosa è che io porto la penna dell'agnolo Gabriello, acciò che non si guasti, in una cassetta, ed i carboni co' quali fu arrostito san Lorenzo in un'altra; le quali son si simiglianti l'una all'altra, che spesse volte mi vien presa l'una per l'altra. ed al presente m'è avvenuto: per ciò che, credendomi io quivi avere arrecata la cassetta dove era la penna, io ho arrecata quella dove sono i carboni. Il quale io non reputo che stato sia errore, anzi mi pare esser certo che volontà sia stata di Dio e che egli stesso la cassetta de carboni ponesse nelle mie mani, ricordandomi io pur testé che la festa di san Lorenzo sia di qui a due dì: e per ciò, volendo Iddio che io, col mostrarvi i carboni co quali esso fu arrostito, raccenda nelle vostre anime la divozione che in lui aver dovete, non la penna che io voleva, ma i benedetti

carboni spenti dall'omor di quel santissimo corpo mi fe' pigliare. E per ciò, figliuoli, benedetti, trarretevi i cappucci e qua divotamente v'appresserete a vedergli. Ma prima voglio che voi sappiate che chiunque da questi carboni in segno di croce è tòcco, tutto quello anno, può viver sicuro che fuoco nol cocerà che non si senta. [troppo lunga]

Il frate inizia il discorso elencando varie reliquie che gli sono state donate, come ad esempio un dente di cristo, e tra questi ci sono anche i carboni che hanno bruciato il martire san Lorenzo. [se annuncio che sono varie poi non posso limitarmi a una o due...] Sia la penna che i carboni venivano custoditi in delle cassette, molto simili tra loro, e che spesso venivano scambiate. Stessa cosa è successa oggi, ma questa volta non per caso, ma per volere divino: infatti tra due giorni si sarebbe celebrata la festa in onore di san Lorenzo. L'alzata d'ingegno si manifesta proprio a questo punto: il frate sostiene che, a differenza di volte in cui lo scambio si verifica per pura casualità, in tale occasione si è trattato della manifestazione d'una volontà divina, d'un miracolo insomma, quasi un miracolo al quadrato, dal momento che si verifica su un oggetto che, di per sé, è miracoloso. Conclude quindi mostrando i carboni e facendo ad ogni fedele il segno della croce con questi, giurando che così facendo non verranno bruciati da nessun fuoco per tutto il prossimo anno. E’ in questa occasione che la sua bravura nella retorica è evidente: infatti grazie a molti giochi di parole e ad affermazioni stranissime [già ascoltando mi era parso necessario darne un'idea: a astrusi riferimenti a luoghi e persone inesistenti, a doppisensi di ogni genere] riesce a voltare volgere l'imprevisto a suo favore. 

Finito quello che il frate doveva fare, i due fautori dello scherzo si complimentano con lui e gli ridanno la penna. 

Questa novella è una delle tante che Boccaccio usa per attaccare la Chiesa e, in questo caso, sottolinea la sua tendenza ad approfittare dell’ignoranza del popolo per truffarlo. Inoltre la novella esalta le capacità oratorie, con le quali ci si può facilmente tirare fuori da situazioni impreviste.


Lisabetta da Messina 

“Lisabetta da Messina” [non si tratta di titoli: meglio trattarli come personaggi: "La novella dedicata a Lisabetta da Messina è] è la quinta novella della quarta giornata, che è dedicata agli amore infelicemente conclusi, ed è narrata da Filomena. 

La mia novella, graziose donne, non sarà di genti di sì alta condizione come costor furono de’ quali Elissa ha raccontato, ma ella per avventura non sarà men pietosa; 

La donna inizia la narrazione dicendo che i protagonisti, al contrario di quelli della storia precedente, non sono nobili, ma non per questo la loro storia sarà meno triste. Passando poi alla trama in sé, a inizio giornata è presente, come sempre, un riassunto di presentazione: 

I fratelli d'Ellisabetta uccidon l'amante di lei: egli l'apparise in sogno e mostrale dove sia sotterato; ella occultamente disotterra la testa e mettela in un testo di bassilico, e quivi sù piangendo ogni dì per una grande ora, i fratelli gliele tolgono, e ella se ne muore di dolor poco appresso.

La storia è ambientata a Messina e i protagonisti sono due: Lisabetta, una giovane assai bella e costumata, sorella di tre mercanti messinesi, e Lorenzo, un pisano assai bello della persona e leggiadro molto, che lavora in un magazzino dei fratelli di lei. I due si innamorano e iniziano a frequentarsi segretamente, ma una notte vengono scoperti da uno dei fratelli, che il mattino dopo informa anche gli altri due. I tre decidono di non denunciare Lorenzo, ma di risolverla da soli. lasciar trapelare nulla della scoperta, ma di risolvere la faccenda a loro modo, in quanto in ogni caso ritengono che la relazione fra i due debba essere troncata.

Ed in tal disposizion dimorando, così cianciando e ridendo con Lorenzo come usati erano, avvenne che, sembianti faccendo d’andare fuori della città a diletto tutti e tre, seco menaron Lorenzo, e pervenuti in un luogo molto solitario e rimoto, veggendosi il destro, Lorenzo, che di ciò niuna guardia prendeva, uccisono e sotterrano in giusa che niuna persona se n’accorse. Così, con la scusa di dover andare in città, lo portano in un bosco, lo uccidono e lo seppelliscono. Tornati a casa, mentono a tutti coloro che chiedono notizie, raccontando di aver mandato Lorenzo lontano per affari. Tutti ci credono, dato che non era la prima volta che succedeva; ma non Lisabetta, che continua a fare domande ai tre, venendo a un certo punto anche rimproverata. Lisabetta, che deve pur sempre continuare a nascondere il suo amore, è disperata e passa le notti a chiamare Lorenzo e a pregare, tra le costanti lacrime che le rigavano il viso e un giorno, dopo essersi addormentata piangendo, l’uomo gli le appare in sogno. 

“O Lisabetta, tu non mi fai altro che chiamare e della mia lunga dimora t’attristi e me con le tue lagrime fieramente accusi; e per ciò sappi che io non posso più ritornarci, per ciò che l’ultimo dì che tu mi vedesti i tuoi fratelli m’uccisono”. E disegnatole il luogo dove sotterrato l’aveano, le disse che più nol chiamasse nè l’aspettasse, e disparve. 

Nell’apparizione Nel sogno,quindi, egli le dice cosa gli è successo e dove è stato seppellito. La ragazza, allora, si dirige nel luogo indicatole con la sua fantesca. Trovato il cadavere, Lisabetta, visto che non può portarsi dietro tutto il corpo, gli taglia la testa e la da a alla fantesca. Poi prese un gran bel testo, di questi ne’ quali si pianta la persa o il basilico, e dentro la vi mise fasciata in un bel drappo, e poi, messavi sù la terra, sù vi piantò parecchi piedi di bellissimo basilico salernetano, e quegli di niuna altra acqua che o rosata o di fior d’aranci o delle sue lagrime non innaffiava già mai…il basilico, sì per lungo e continuo studio, sì per la grassezza della terra procedente della terra corrotto che dentro v’era, divenne bellissimo ed odorifero molto. 

Lisabetta porta la testa a casa, la lava piangendo, la riempie di baci e, infine, la avvolge in un drappo e la seppellisce in un vaso. Vi pianta del basilico, che cresce rigoglioso e verde, la annaffia con le sue lacrime. 

La donna passa molto tempo vicino alla pianta e il dolore la consuma, tanto che si ammala e la sua bellezza inizia a svenire svanire. Allora i fratelli, preoccupati sia perché temono le voci del vicinato e si sia perché preoccupati impensieriti per la guasta bellezza della sorella, le sottraggono il vaso, cosa che la fa ammalare ancora di più la povera donna. A causa delle insistenti richieste di riavere il vaso indietro, decidono di controllare se contiene qualcosa al suo interno. Tolgono la terra e trovano il drappo con al suo interno la testa di Lorenzo, con i capelli crespi e ancora non in decomposizione (cosa strana visto che la vicenda si pensa duri alcuni mesi). Per paura che si venga a sapere, sotterrano la testa e si trasferiscono a Napoli, dove Lisabetta muore di dolore. 

Questa storia è poi venuta a galla e qualcuno le dedicò una canzone: Nella conclusione risuonano un paio di versi da filastrocca, che denotano come la vicenda narrata rappresenti un archetipo della narrativa popolare dedicata alle storie d'amore tragiche.

Qual esso fu malo cristiano 

che mi furò la grasta, etc. 

Questa canzone, intitolata “Canzone del basilico”, veniva ancora cantata a Firenze nel periodo in cui Boccaccio scrive, ed è ad essa che si ispira per scrivere questa novella. Novella che è un misto realizza una commistione interessante e originale, ma destinata a grande fortuna nel tempo, tra due dimensioni: quella fiabesca e quella realistica. Gli elementi fiabeschi sono, ovviamente, il fatto che una pianta cresca dalla testa, il fatto che essa non si sia decomposta e, infine, la filastrocca finale.

Per quanto riguarda la dimensione realistica, invece, le azioni dei fratelli non sono del tutto impensabili. Infatti, per quanto l’arrivare ad uccidere sia un esagerazione, al tempo spesso gli interessi mercantili si scontravano con l’amore puro, impossibile in quel mondo. I fratelli, dotati potere economico e sociale, sono interessati solo a mantenere il proprio status sociale alto, cercando anche di alzarlo ulteriormente, per raggiungere il più possibili gli aristocratici, e ad arricchirsi il più possibile, mentre Lorenzo e Lisabetta vogliono solo stare insieme, totalmente disinteressati dal resto. Ma per i fratelli questo è un problema, in quanto, probabilmente, vorrebbero che si sposasse con un uomo di una maggiore caratura. Ma, malgrado tutti i tentativi, non riescono soffocare i sentimenti dell’addolorata sorella. E’ infatti questa la morale della storia, ovvero che, per quanto uno possa provare a comandare sull’amore, questo è impossibile.  Riformulo a partire da Per quanto riguarda: Fedele alla sua vocazione realista, Boccaccio raffigura in questa novella il conflitto fra una morale mercantile già abbastanza radicata nel tempo, secondo la quale il matrimonio non può che essere ispirato da ragioni d'interesse e rientra nella dimensione affaristica, e una percezione dell'amore come sentimento naturale, istintivo e provvisto di una purezza che prescinde dalle motivazioni utilitariste o le ignora del tutto. I fratelli di Lisabetta rappresentano, in forma stilizzata ma non certo esasperata, il tipo umano del borghese intraprendente, attento al patrimonio e interessato al decoro esteriore, al di sotto del quale, o a protezione del quale, è tuttavia disposto a commettere anche atti più o meno infami. Sul fronte opposto, gli infelici amanti Lorenzo e Lisabetta sono destinati ovviamente a soccombere, travolti dal peso delle convenzioni sociali sommato a una, forse non così diffusa ma sicuramente non sempre sanzionata, inclinazione al delitto coltivata dai tre fratelli.

__________________________________________________________________________Ettore

NOVELLA DELLE PAPERE 

Boccaccio, prima di raccontare la storia della quarta giornata, è costretto a scrivere una introduzione per difendersi dalle critiche che gli erano state rivolte in seguito alla pubblicazione delle prime novelle.  

L’autore si appella alle donne, le destinatarie della sua opera, per giustificarsi del fatto che lo scalpore che ha suscitato non era fosse intenzionaleBoccaccio non avrebbe mai pensato che le sue “novellette”, scritte in un linguaggio umile e dimesso, potessero creare tanto fragore clamore. Le critiche riguardavano il fatto che non avrebbe dovuto curarsi troppo del genere femminile e che, avendo quarant’anni, non avrebbe dovuto più occuparsi d’amore. Egli piuttosto, secondo i suoi critici, avrebbe dovuto concentrarsi sulla poesia e occuparsi di guadagnare soldi per vivere. Altri invece lo accusarono avevano accusato di scrivere novelle ispirate a fatti non veri 

Boccaccio sceglie di rispondere a ciascuno di loro immediatamente, perché se le critiche che gli sono giunte sono g così numerose, quando arriverà al termine della sua raccolta, sarà poi impossibile reprimerle respingerle tutte. Per rispondere alle accuse, l’autore scrive quella che sarà definita come la 101° novella: quella delle “Papere”. Questa rappresenterà un’eccezione all’interno della raccolta, poiché non sarà conclusa, e sarà raccontata dall’autore stesso, dunque non è opera d’invenzione di un componente della brigata.  

La storia racconta di un certo Filippo Balducci, un uomo agiato vissuto a Firenze e assai innamorato di una donna che un giorno venne a mancare. I due avevano avuto un figlio, che rimase solo col padre già all’età di due anni. Il trauma non venne mai superato dal padre, tanto che decise di ritirarsi col figlio sul monte Asinaio lasciando tutti i suoi beni in elemosina. L’educazione che il padre riservò al figlio fu molto esclusiva [esclusiva significa di alto livello; era molto limitata, prevedendo l'esclusione di qualsiasi argomento che potesse anche solo lontanamente evocare l'esperienza del mondo e, più in particolare, la dimensione dei sensi e quella della carne]: dedicavano tutti i giorni alla preghiera in una grotta e al digiuno, privandosi di ogni sorta di contatto sociale. Il padre raccontava al figlio solo storie di angeli e creò per lui un mondo parallelo, letteralmente straordinario e discosto dal reale. Filippo lasciava il figlio solo per andare a Firenze per incontrarsi con i suoi benefattori a ottenere le necessarie elemosineal chquando il figlio raggiunse la maggiore età, chiese al padre di condurlo con sé in città per fargli conoscere i suoi amici permettergli di sostituirlo quando lui fosse stato troppo vecchio per intraprendere il viaggio. Il padre, credendo che il figlio ormai si fosse abituato alla vita di preghiera e fosse sufficientemente forte nello spirito per resistere a qualunque tentazione, decise di portarlo con sé. Una volta giunti in città, il figlio si accorse che il mondo era ben più ampio e variegato di quello che il padre gli aveva mostrato in tutti quegli anni. Anche le cose più banali (case, chiese, palazzi) gli erano ignote e quindi chiedeva di continuo al padre che cosa esse fossero, per poterne conoscere il nome. Fino a Una svolta inattesa, per il padre, venne quando i due s'imbatterono in quando un gruppo di giovani donne affascinanti e ben agghindate. gli passò davanti. Il figlio, attratto da esse, chiese al padre cosa fossero ed egli gli rispose: “Figliuol mio, bassa gli occhi in terra, non le guatare, ch’elle son mala cosa. Ma il figlio, insistente, voleva saperne di più, sostenendo che Elle son più belle che gli agnoli dipinti che voi m’avete più volte mostrati. A quel punto il padre, subito si pentì di averlo portato a Firenze. [bisogna mettere per forza la battuta delle papere! Alla domanda, poi, di quale fosse il loro nome, dicendo il padre che si chiamavano papere, determina come conseguenza l'innocente richiesta del figlio di potersene portare una all'eremo, per darle di che beccare, annota l'Autore, non senza una buona dose di malizia] 

Lasciando inconclusa la storia, Boccaccio continua la sua risposta alla critica che gli fu posta, inerente alsul fatto che prestasse troppa attenzione alle donne. Boccaccio in sua propria difesa dichiara apertamente che è vero, ma che questa non può essere una colpa, in quanto l’esempio della sua storia spiega perfettamente che certi istinti naturali non possono essere repressi con l’ingegno (“sentì incontanente più aver di forza la natura che il suo ingegno). Boccaccio dunque vuole far comprendere che anche i valorosi uomini più anziani desidererebbero ancora compiacere alle donne, citando l’esempio di Dante e di Cavalcanti 

Inoltre risponde a coloro che lo accusano di dire cose false, chiedendo di fornirgli prove concrete per sostenere la loro tesi; in quel caso Boccaccio si sarebbe corretto, altrimenti non si sarebbe curato del loro giudizio.  

In questa novella viene messa sono messe a confronto natura e cultura. Tramite l’ingegno, il padre ha cercato di creare un mondo a se stante per il figlio. Come rinchiuso in una cella, il padre trasmetteva una conoscenza del mondo che era assai limitata e circoscritta al luogo in cui il figlio cresceva. Una volta divenuto diciottenne, e uscito di casa, il figlio si accorse che aldilà del monte Asinaio esisteva una realtà composta da altre persone e molteplici stimoli. E qui, natura si scontra con cultura: il giovane, finché era isolato, apprezzava solo le cose che il padre gli diceva di apprezzare (canti biblici, dipinti angelici), tramite un’educazione ferrea. Quando però, giunto in città, vide il gruppo di fanciulle, immediatamente provò un interesse stimolato dalla natura stessa. Nessuno gli aveva detto che quelle giovani gli dovessero piacere, eppure se ne innamorò a prima vista. Questa, secondo me, è la differenza sostanziale che rende l’uomo animale (natura) e non macchina; gli stimoli che spingono il giovane a volersi impossessare di quelle fanciulle (“voi facciate che io abbia una di quelle papere”) sono assai primitivi ed è per questo che Boccaccio può difendersi dalle prime accuse. L’attenzione che presta alle donne non è voluta da lui ma dalla natura, dunque egli non ha colpe. Inoltre l’autore, ribadisce implicitamente l’accusa ai ritorce l'accusa sui suoi stessi oppositori: coloro che dicono di non interessarsi di amore, sono degli ipocriti che sostengono il falso, perché natura, intesa come “Amore”, coinvolge tutti. Non siamo macchine, ed è per questo che il figlio non può solo apprezzare ciò che il padre ha programmato per lui.  

Boccaccio comunque scrive il Decameron per un pubblico prevalentemente femminile, ma l’intento è anche quello di mettere il genere maschile di fronte alla sua vera natura: non nasce come guerriero, agricoltore o uomo di potere, ma piuttosto come un soggetto passionale che ha istinti e desideri. Il racconto delle Papere serve per smascherare la falsa apparenza del maschio dell’epoca che non voleva dimostrarsi debole, manifestando amore. Ancora una volta Boccaccio si fa portatore di realtà, dichiarando apertamente che è un uomo ed è normale voler piacere alle donne. 

 ----------------------------------------------------------------------------------------Jacopo

l ricco banchiere Currado Gianfigliazzi, durante una battuta di caccia trova e uccide una gru e la porta con sé per farla cucinare dal suo cuoco di fiducia, il furbo veneziano Chichibio, noto per essere un gran chiacchierone, che si mette subito al lavoro e la cucina alla perfezione. Il profumo del piatto attira Brunetta, la ragazza di cui Chichibio è innamorato una feminetta della contrada dalla quale il cuoco è molto attratto, che chiede di mangiarne una coscia, minacciando di negargli le sue grazie se non la otterrà. Inizialmente Chichibio non gliela concede, ma successivamente cede: “ Alla fine Chichibio, per non crucciar la sua donna, spicciata l’una delle cosce della gru, gliele diede”. 

Così, il giorno giunto il momento della cena, Currado si vede servire la gru con una sola coscia, e chiede spiegazioni al proprio cuoco, il quale gli risponde prontamente che le gru hanno una gamba sola.  Curradoben sapendo che che ritiene ovviamente impossibile negare che  le gru hanno due zampe, ordina a Chichibio di andar con lui il giorno successivo alla ricerca dei volatili, per verificare se il cuoco avesse ragione porre di fronte  all'evidenza il suo ostinato cuoco. Il giorno successivo Chichibio è spaventato all'idea della punizione , certo di non potersi trarre d'impaccio e spaventato dall'imminente punizione che riceverà una volta smascherata conseguente allo smascheramento della sua bugia sale sulla carrozza di Currado. Tuttavia  ma, arrivati al fiume, i due vedono dodici gru che dormono, come loro abitudine, su una zampa sola. Chichibio lo fa notare al suo padrone e si sente ormai vincitore,  a dispetto di ogni aspettativa,  ma Currado batte le mani facendo "ho...ho", così che le gru, spaventate, spiccano il volo tirando fuori l'altra zampa, mentre Currado afferma...  [cos'è capitato? ]

Non sapendo più come giustificarsi, Chichibio risponde con un motto di spirito: "Messer si, ma voi non gridaste -ho ho - a quella di iersera; ché se così gridato aveste, ella avrebbe così l'altra coscia e l'altro piè fuor mandata, come hanno fatto queste". L'intelligente risposta diverte a tal punto Currado che la sua ira si tramuta in risata e i due si riappacificano. 

 

 Analisi della novella 

 Chichibio è la quarta novella [Il personaggio di Chichibio compare nella quarta novella...]della sesta giornata Del Decameron [corsivo], nella quale con regina Elissa "si ragiona di chi con alcun leggiadro motto (...) o con pronta risposta o avvedimento fuggi perdita o pericolo di scorno". Come si legge nella presentazione che precede la narrazione di ogni novella di Neifila [così sembra sia una caratteristica delle novelle che racconta Neifile], che la racconta, intende dimostrare come talvolta la fortuna vada in aiuto delle persone suggerendo loro, nel momento del pericolo, parole e motti di spirito che mai essi "avrebbero saputo trovare", permettendo a costoro di trarsi fuori dai guai.  

Fin dall'inizio appare evidente che i personaggi su cui si basa la novella sono due  [!! non c'è bisogno di scrivere appare evidente che; piuttosto è interessante notare un'altra cosa: "La novella ha due protagonisti, Currado e Chichibio,  e una figura di contorno, Brunetta,  l'innamorata del cuoco, senza la quale non succederebbe nulla, sicché il suo ruolo non è comunque marginale" ]Currado Gianfigliazzi, nobile e cavaliere, proveniente da una famiglia di banchieriChichibio, umile cuoco di origini veneziane che si esprime spesso nel suo dialetto nativo, come quando risponde a Brunetta, inizialmente dicendole che non avrà la coscia che desidera: "Voi non l'avri da mi, donna Brunetta, voi non l'avri da mi".  In questo passaggio la novella assume un ritmo diverso, quasi da filastrocca, palesando una funzione d'intrattenimento piacevole che non di rado si manifesta nella narrazione complessiva.

La novella è tutta basata sul motto di spirito, sull'intelligenza di Chichibio e sulla sua capacità di trovare un "leggiadro motto" con cui trarsi fuori dai guai placando l'ira del padrone. Almeno per un momento, l'intelligenza e la fortuna permettono al cuoco, di umile estrazione sociale, di mettersi sullo stesso piano del suo nobile padrone. Questo evento, pur nella leggerezza complessiva del breve racconto, è degno di nota: anche se le classi sociali sono rigide e rappresentano una prigione, più o meno dorata, per molti, può sempre accadere che alcuni momenti fatali consentano di sovvertire le regole, oppure che il fascino dell'intelligenza, paragonabile a volte a quello della bellezza, riesca a rendere meno brutali o meno scontate le reazioni di chi detiene il potere e un diritto quasi indiscusso di esercitarlo. 

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Sergiu

https://library.weschool.com/lezione/boccaccio-melchisedec-e-il-saladino-analisi-e-commento-della-novella-4540.html

[sul sito al link sopra riportato si trovano ampi stralci di quanto segue]

MELCHISEDECK E IL SALADINO

La novella, raccontata da Filomena, sottolinea e loda l’utilità dell’ingegno nelle situazioni ingarbugliate. La vicenda di Melchisedech e del Saladino è ambientata nell’antica Babilonia, ed è la terza novella della prima giornata del Decameron [corsivo].

Saladino, ricco e potente sultano d'Egitto e di Siria, avendo sperperato molte delle sue ricchezze, si trovò nell'urgente necessità di denaro. Essendo anche avaro, non voleva chiedere un prestito e cercò un modo di ottenerlo senza poi dover nulla in cambio. Per questo chiamò un ricco ebreo, Melchisedech, che viveva ad Alessandria e che faceva talvolta l'usuraio.

Con l’idea di estorcergli i soldi trascinandolo in una discussione religiosa che l'avrebbe necessariamente costretto a tradirsi, il Saladino gli chiede quale fra le religioni ebraica, musulmana e cristiana sia considerabile  la migliore in quanto depositaria della verità.

“Valente uomo, io ho da più persone inteso che tu se’ savissimo, e nelle cose di Dio senti molto avanti, e per ciò io saprei volentieri da te, quale delle tre leggi tu reputi la verace: o la giudaica, o la saracina o la cristiana.” Così suona la richiesta, insidiosa, dell'astuto Saladino. 

L’usuraio però intuisce la trappola tesagli dal Saladino, che consiste nel costringerlo a prendere una posizione inevitabilmente ostile alla religione musulmana, e riesce argutamente ad evitarne l'ira. Melchisedech, infatti, facendo ricorso ad un'intelligenza feconda e limpida come quella del suo avversario, risponde al Saladino con una “novelletta”, una specie di narrazione dentro la narrazione, ovvero la novella che narra di un anello d’oro che viene tramandato da più generazioni da padre a figlio, fino a quando un padre si ritrova a dover tramandare un solo anello a tre figli ai quali voleva equamente bene e ai quali aveva promesso di tramandare a tutti e che intendeva, onorando una promessa, rendere tutti suoi eredi. [di seguito]

Decide quindi di farne fabbricare in segreto altri due identici all'originale, tanto da non poterlo  riconoscere più quale fosse l’originale, così da riuscire a mantenere la promessa e tramandare l’anello a tutti i figli. Tuttavia, al momento di spartirsi l’eredità, ognuno dei figli fa mostra del proprio anello per richiedere solo per sé i beni di famiglia, e, dice Melchisedech, la faccenda è ben lontana dall’essere risolta.

L'arguzia dell'ebreo conquista il sultano musulmano, tanto che tra i due nasce un legame di stima e di amicizia. Il prestito di denaro può andare in porto senza inganni e sotterfugi; ciò che conta è soprattutto la spiegazione che Melchisedech stesso offre alla propria storia.

“E così vi dico, signor mio, delle tre leggi alli tre popoli date da Dio Padre, delle quali la questione proponeste: ciascuno la sua eredità, la sua vera legge, e i suoi comandamenti dirittamente si crede avere e fare; ma chi se l'abbia, come degli anelli, ancora ne pende la questione.”

Con questo racconto Melchisedech offre al Saladino una metafora della condizione dei tre grandi monoteismi, il Cristianesimo, l'Islam e l'Ebraismo: i fedeli di ciascuna religione sono convinti che la vera rivelazione sia stata donata solo a loro, anche se in realtà non si sa con certezza chi detenga la verità. Con la novella di Melchisedech, Boccaccio suggerisce di sostituire alle false presunzioni umane di superiorità di chi pretende di possedere spiegazioni assolute ed universali, il ruolo dell’intelligenza e della saggezza, capaci di svelare la vera natura delle persone e di portare tutti ad un punto di incontro pacifico e razionale. La novella serve a Melchisedech per fare un paragone fra i tre anelli e le tre religioni: non importa quale sia quella autentica, e non è necessario capirlo.

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Lorenzo


PRESENTAZIONE SESTA NOVELLA SESTA GIORNATA  

 

Avendo particolarmente apprezzato, nella novella di Ser Ciappelletto la tematica di persone che attraverso inganni e sotterfugi alla fine riescono a cavarsela senza alcuna sbavatura  conseguenza, mi sono concentrato sulla sesta giornata. 

La sesta giornata del Decameron, infatti, prevede come argomento principale quello di personaggi usciti da situazioni complicate grazie ad una pronta ed arguta risposta. Ha come regina Elissa, la più giovane della compagnia. 

Mentre ancora echeggiano le risa causate dalla novella raccontata da Panfilo, arriva il turno di Fiammettache prende il nome dalla protagonista di gran parte dei componimenti giovanili di Boccaccio, che prende e che qui assume come punto di partenza proprio un riferimento fatto da Panfilo alla famiglia fiorentina dei Baronci (descrive la bruttezza di un personaggio dicendo che a qualunque de’ Baronci più trasformato l’ebbesarebbe stato sozzo). Comincia quindi riproporre la novella che si può introdurre con il titolo: è preceduta dalla sintesi, che funge da titolo, Pruova Michele Scalza a certi giovani come i Baronci sono i più gentili uomini del mondo o di Maremma, e vince una cena 

Questo Michele Scalza, definito l’uomo più piacevole al mondo, era vissuto poco tempo addietro a Firenze ed era conosciuto per la sua abilità nel raccontare novelle sempre nuove. Durante una giornata con alcuni amici a Montughisi trova coinvolto in una discussione riguardante l'identificazione degli uomini più gentili di Firenze e,d al sentire di nomi come quello degli Uberti o dei Lambertiprende la parola e stupisce tutti affermando che i più gentili uomini e i più antichi, non che di Firenze, ma di tutto il mondo o di Maremma, sono i Baronci. Fiutando l’inganno occulto nelle sue prole, gli altri si mettono a ridere, ma Scalza nega la presenza di alcun sotterfugio doppio senso o allusione e propone addirittura una scommessa, che vede come premio una cena offerta con ricompensa finale consistente in una cena per il vincitore. Raggiunto l’accordo, che vede Piero di Fiorentino, il proprietario di casa, come giudice, un certo Neri Mannini si propone come avversario.  

Una volta sentite le ragioni di questocostui, ha la parola Michele Scalzache decide di dimostrare che i Baronci sono gli uomini più antichi, in quanto è risaputo che quanto gli uomini sono più antichi, più son gentili 

Ci si può soffermare per fare un interessante rilievo storico riguardante questa famiglia dei Baronciquasi sicuramente veramente esistita a Firenze. Riferimenti alla casata compaiono, oltre che nella novella precedente a questa, anche nel famosissimo racconto di Frate Cipolla da Certaldo, il decimo della sesta giornata, dove viene citato un modo di dire molto in uso all’epoca. Infatti, per indicare il fatto che una persona non fosse di aspetto particolarmente gradevole, si usava dire che parea essere de’ Baronci.   

Sarebbero quindi stati creati da Dio prima degli altri uomini, quando ancora era inesperto nel modellare le forme e nel dipingere. A questo sarebbe dovuto il loro aspetto particolarmente strano, con viso lungo e stretto, larghe mascelle… sì come sogliono esser i visi che fanno da prima i fanciulli che apparano a disegnare. Così egli suscita il riso generale e gli viene data ragione anche dal giudice della disputa.  

Una volta concluso il racconto, si apre una breve parentesi che giustifica le parole utilizzate da Panfilo nella novella precedente per definire la bruttezza del viso di Messer Forese.  

Risulta interessante il fatto che anche le altre famiglie nobili citate siano effettivamente parte della storia di Firenze, come ad esempio quella degli Uberti che, appartenuta alla fazione ghibellina, trova in Farinata degli Uberti il suo più famoso esponente, presente anche nel decimo canto dell’Inferno di Dante. Quindigrazie a questa novella, seppur dal racconto non particolarmente intricato, si riesce a conoscere qualche dettaglio riguardante la vita fiorentina dell’epoca con riferimenti pungenti ed ironici a personaggi spesso realmente esistiti. Anche gli stessi Baronci, magari per la caratteristica peculiare di un unico membro della famiglia con un tratto fisico distintivo, sono rimasti nella storia come famiglia nota per la propria bruttezza.  

Certamente questo rappresenta unulteriore dimostrazione di quanto siano realistici i racconti dei dieci ragazzi giovani,  fornendo uno spaccato della vita del tempo. Si può quindi aprire un discorso volto a dimostrare come non ci si debba soffermare sull’apparente egoismo della compagnia che si isola creando un vero e proprio locus amoenus, perché l’abilità di Boccaccio sta proprio nel farli rimanere in stretto contatto con la realtà che fa ingresso all’interno del loro isolamento grazie ai racconti.  

Lo stesso Montughi, località dove è ambientata la vicenda, è un colle realmente esistente nei pressi di Firenze che prende il nome dalla famiglia degli Ughi il cui capostipite Ugo marchese di Toscana risiedeva proprio in queste zone.  

Ci si può anche soffermare ad analizzare la capacità sovversiva di Michele che, completamente sicuro della sua posizione, persegue nel cercare di farla valere fino a portare tutti gli altri ad ammettere la sua ragione. Ha quindi addirittura del carnascialesco non esclusivamente per la sua capacità di suscitare il riso, ma soprattutto a causa della sua abilità nel ribaltare la situazione.  

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Martina


QUARTA GIORNATA, QUARTA NOVELLA

Nel Decameron di Boccaccio, Filostrato è il re della quarta giornata, che tratta il tema degli amori infelici. [non tutti questi a capo sono corretti: qui non ha senso]

Il narratore della quarta novella della quarta giornata è Elissa, il cui nome, che significa “colei che è stata abbandonata”, allude al personaggio di Didone nell’Eneide. [di seguito]

Nell’introduzione della novella viene brevemente riportata la sintesi del contenuto di essa: Gerbino, contra la fede data dal re Guglielmo suo avolo, combatte una nave del re di Tunisi per torre una sua figliola, la quale uccisa da quegli che su v'erano, loro uccide, e a lui è poi tagliata la testa. [di seguito]

Successivamente Filostrato, ancora scosso dal precedente tragico racconto di Lauretta, invita il nuovo narratore a prendere la  parola e a raccontare la sua storia. Così Elissa comincia con una spiegazione riguardante il modo in cui l’Amore e la passione possono essere generate nelle persone dalle parole dai discorsi.

Assai son coloro che credono Amor solamente dagli occhi acceso le sue saette mandare, coloro schernendo che tener vogliono che alcuno per udita si possa innamorare. [di seguito]

Dopo aver comunicato questa premessainizia la narrazione raccontando la storia di Guglielmo II, re di Sicilia, il quale ebbe due figli: Gostanza e Ruggeri. Quest’ultimo morì prima del padre e lasciò lui un figlio di nome Gerbino, il quale, dal suo avolo con diligenza allevato, divenne bellissimo giovane e famoso in prodezza e cortesia, non solo nel Regno di Sicilia, ma anche in diverse altre parti del mondo. Tra coloro che provavano una forte ammirazione nei confronti di Gerbino, c’era una figlia del re di Tunisi, la quale era una delle più belle creature che mai dalla natura fosse stata formata, e la più consumata e con nobile e grande animo. Sentir parlare di uomini valorosi era la sua gioia, e ciò che udiva volentieri riguardo le coraggiose gesta di Gerbino, le faceva alimentava  sempre più pensare a il pensiero di  lui e a di  come potesse essere, fino al punto che se ne innamorò, per fama e senza aver avuto alcun contatto diretto.  D’altra parte, anche la fama della bella fanciulla viaggiava parecchio, fino a giungere in Sicilia, dove aveva attirato l’attenzione di Gerbino.

Non avendo il permesso del nonno di recarsi a Tunisi, Gerbino incaricò qualche commissionario lì diretto di svelare alla fanciulla l’amore che egli provava nei suoi confronti. Ella, all’udir tali parole, con animo lieto, riferì al messaggero che anche lei era innamorata del principe. Così i due cominciarono a scambiarsi numerosi doni, alimentando sempre più il loro amore, fino a quando però, il re di Tunisi maritò sua figlia, distruggendo così ogni possibilità da lei desiderata con Gerbino.

Avvenne che il re di Tunisi la maritò al re di Granata; di che ella fu crucciosa oltre modo, pensando che non solamente per lunga distanzia al suo amante 'allontanava, ma che quasi del tutto tolta gli era.

Egli, avuta notizia di ciò, decise di far qualcosa per non perdere la sua amata, ma quando il re di Tunisi venne a conoscenza del suo piano, informò il re di Sicilia delle intenzioni del nipote e così i due fecero un accordo in cui vietò al fanciullo  in  base al quale era vietato al giovane fare qualsiasi cosa a danno del per opporsi al matrimonio della figlia ormai deciso. Gerbino però, spinto dalla volontà di dimostrare di non essere un uomo vile e dall’amore nei confronti della ragazza, decise di partire ugualmenteper Tunisi. Arrivato nei pressi di Tunisi, il giovane fu avvistato da coloro che erano a bordo della barca in cui vi era la figlia del re. Gli equipaggi delle due imbarcazioni iniziarono a combattere, fino a quando i saraceni, accortisi di star perdendo, presero la giovane e decisero di gettarla in mare. La tragicità di questo evento è resa evidente e chiara dalla seguente citazione espressa dalla narratrice:

Il che veggendo i saracini e conoscendo sé di necessità o doversi arrendere o morire, fatto sopra coverta la figliola del re venire, che sotto coverta piagnea, e quella menata alla proda della nave e chiamato il Gerbino, presente agli occhi suoi lei gridante mercé e aiuto svenarono, e in mar gittandola dissono:

-Togli, noi la ti diamo qual noi possiamo e chente la tua fede l'ha meritata.

Gerbino, poiché ormai aveva perso la sua amata, furioso, uccise ogni uomo a bordo dell’imbarcazione avversaria e, in questo stato di terribile tristezza, tristemente,  ebbe la forza di sconfiggere sconfisse i saraceni. In seguito recuperò il corpo della dama in mare e, tornato in Sicilia, lo seppellì. Quando la notizia giunse al re di Tunisi però, il re Guglielmo II fu messo a conoscenza dell’accaduto e gli fu comunicato che, poiché l’accordo non era stato rispettato, il nipote sarebbe stato dovuto essere arrestato e successivamente condannato a morte. Così il re di Sicilia preferì subire la perdita del suo unico nipotepiuttosto che guadagnarsi la reputazione di re infedele ai patti.

E così, i I due amanti morirono miseramente in poco tempo, senza aver mai potuto vivere la gioia del loro amore.

Con questa novella, Elissa vuole far capire come la Fortuna, intesa come sorte, abbia un ruolo fondamentale nel rendere gli amori impossibili e tragici. Essa è una grande forza dominatrice dei destini umani che, in quanto tale, non può esser contrastata. Infatti, nel caso in cui qualcuno provi a modificare la sua sorte, ne subisce le conseguenze, proprio come avvenne con i due innamorati che, non potendo stare insieme a causa del matrimonio combinato tra la dama giovane e il re di Granata, ed essendo dunque a conoscenza coscienti di non poter mai vivere il loro amore, cercarono di trovare una soluzione alternativa. I loro sforzi però, anche se causati promossi e garantiti da un amore reciproco, a cui, essendo il principale impulso naturale, è impossibile ed inutile porre un freno, furono inutili in quanto il loro destino era già stato determinato dalla Fortuna, tant’è che la favola si concluse tragicamente con la loro morte.

Un'altra considerazione può riguardare una circostanza notevole, rimarcata soprattutto all'inizio della novella. I due giovani si innamorano senza essersi mai visti, il loro è quindi un classico amor de lonh, ovvero amore da lontano, che rappresenta già un topos della narrativa cortese.  Gli amanti possono appunto essere colti da Amore benché sia mancato qualsiasi contatto fisico: tale è la potenza di questa che, non a caso, viene spesso rappresentata come una divinità. 

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Virginia

Decima novella, quarta giornata  

Nella quarta giornata, presieduta da Filostrato, si narra di coloro li cui amori ebbero infelice fine. Il narratore della decima novella è Dioneoche è il più giovane della brigata portatore di una vena molto spiccata di estro, fantasia e libertà. 

La moglie d’un medico per morto mette un suo amante adoppiato in una arca, la quale con tutto lui due usurari se ne portano in casa; questi si sente, è preso per ladro; la fante della donna racconta alla signoria sé averlo messo nell’arca dagli usurieri imbolata, laonde egli scampa dalle forche e i prestatori d’avere l’arca furata son condennati in denari. 

In questa novella la protagonista è la moglie del chirurgo Mazzeo della Montagna, la quale, sentendosi trascurata dal marito, ha molti amanti; fino a quando non si innamora di uno di loro, Ruggeri D’Aieroli, uomo che non gode di buona fama in città. Dioneo, che è portatore di uno spirito sovvertitore e carnascialesco com'è possibile constatare nella citazione e, sì come savia e di grande animo, per potere quello da casa risparmiare, si dispose di gittarsi alla strada e voler logorar dell’altrui, con la quale descrive il comportamento della donna, fa uso dello stile antifrastico, tipico dell’autore e rintracciabile anche nelle novelle di Ser Ciappelletto e di Griselda ed è lo strumento espressivo della figura retorica dell’ironiaIn questo caso, la sua saviezza infatti è tale solo in relazione al fine propostosi, quello di ingannare audacemente il marito e anche l'opinione pubblica, dal momento che il suo amante è uno che gode di cattiva fama e lei è pur sempre la moglie di un medico.  L'antifrasi si manifesta così in modo sottile ma eloquente, sortendo anche l'effetto di sconcertare il lettore, impedendogli di maturare con chiarezza l'idea di quale sia l'eventuale chiave di lettura suggerita  da chi racconta [ricordati che un rilievo acquista profondità solo se viene esplicitato adeguatamente]  Un giorno il medico, poiché gli viene affidato un paziente che necessita di un’operazione alla gamba, prepara una soluzione in grado di far cadere in un sonno profondo chiunque la beva. Ma l’uomo, dovendo recarsi ad Amalfi, rimanda l’operazione e parte. La donna, approfittando dell’assenza del marito, invita Ruggeri a passare la notte con lei, una volta tanto in casa sua. Ma, dovendo aspettare che tutti gli ospiti se ne vadano, chiude l’amante nella sua stanza. Egli, assetato, decide di bere dalla brocca contenente la soluzione preparata da Mazzeo, credendo che contenesse solo si tratti di acqua, e cade in un sonno molto profondo. Quando la donna rientra in camera e vede l’amante, non ruiscendo a  risvegliarlo, pensa che egli sia morto, così chiama la sua fante  [decisamente troppo testuale] serva e insieme decidono di portarlo depositarlo in un’arca nel deposito  di un legnaiolo lì vicino. La stessa notte due usurai, mettendo in atto un piano già elaborato, rubano l’arca e la portano a casa loro. Quando Ruggieri, all’alba, si sveglia e provoca rumore, le donne degli usurai, impaurite, danno l’allarme. Ruggieri poi viene portato davanti al giudice e, poiché era stato scambiato per un ladro, dichiarato colpevole e condannato all’impiccagione. Quando il medico rientra in città, si accorge subito che la sua soluzione è sparita e chiede spiegazioni alla moglie, la quale, collegando i fatti,  capisce tutto. La donna, dopo aver appreso della condanna a morte del suo amante, decide di mandare la fante, che avrebbe dovuto fingere di essere lei quella coinvolta nella storia con Ruggieri, prima a scusarsi con Mazzeo e poi dal giudice a dimostrare l’innocenza dell’uomo. Il piano riescee il giudice, dopo aver verificato le informazioni che gli vengono riferite, dichiara Ruggieri innocente, suscitando la gioia di tutti e permettendo in questo modo ai due amanti di continuare la loro storia.  

Quando la moglie trova l’amante morto e il narratore descrive la situazione con la citazione per che, amandolo sopra ogni altra cosa come facea, se fu dolorosa non è da domandare; e non osando far romore, tacitamente sopra lui cominciò a piagnere e a dolersi di così fatta disaventuraviene sottolineato, attraverso l’affermazione iperbolica amandolo sopra ogni cosa, quanto forte sia l’amore tra i due e quanto dolore possa provocare nella donna la presunta morte dell’amante. In questo passaggio è rintracciabile il motivo topico mitico della morte di uno dei due amanti, che risale alla mitologia greca nel mito di Piramo e Tisbe.  In un certo senso l'amore sembra diventare in questa circostanza più nobile: in fondo la donna, nella parte precedente, era stata dipinta come desiderosa di essere soddisfatta (da lì la quantità di amanti) e poi come scaltra, una volta trovato un amante che valeva la pena. In questo passaggio, appunto, il suo amore si nobilita e il riferimento mitico, ovviamente, svolge una parte in questa operazione.

Nella citazione La donna allora comprendendo ottimamente come il fatto stava, disse alla fante ciò che dal medico udito aveva e pregolla che allo scampo di Ruggieri dovesse dare aiuto, sì come colei che, volendo, a un’ora poteva Ruggieri scampare e servare l’onor di lei. La fante disse: «Madonna, insegnatemi come, e io farò volentieri ogni cosa.» La donna, sì come colei alla quale strignevano i cintolini, con subito consiglio avendo avvisato ciò che da fare era, ordinatamente di quello la fante informòin cui si legge nel punto in cui viene riportato il discorso tra la fante e la moglie, che, dopo aver trovato escogitato un piano, prega la prima di aiutarla a realizzarlo, lL’autore delinea l’amore tra questi due amanti, che si sviluppa su uno sfondo tragico. Il sentimento che li lega, come l’amore cortese, è assoluto e deve superare diversi ostacoli prima di potersi manifestare.  Si tratta comunque di una transizione, che avviene anche piuttosto repentinamente, fra un amore assolutamente profano e quel tipo di amor sacro che è appunto l'amor cortese, qui evocato.

In ultima analisi, possiamo notare che il vero burattinaio di questa novella è proprio la fortuna, intesa come vox media, cioè come buona o cattiva sorte, come elemento che rimanda a qualcosa di  alla dimensione casualeSe non fosse intervenuto il destino, il medico non sarebbe dovuto partire per Amalfi lasciando incustodita la soluzione, gli usurai non avrebbero rubato l’arca un attimo dopo che le donne vi avevano riposto Ruggieri e l’uomo non sarebbe stato condannato a morteNelle novelle di Boccaccio a svolgere questo ruolo di forza indomabile che governa ogni cosa e della quale gli umani, che vorrebbero imitarne i modi, non possono nemmeno conoscerne i fini, è proprio l’autore narratore, che fa le veci del caso e al quale non sfugge nemmeno una fiaba con i suoi topoi e il suo lieto fine.  


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Filippo M. 

Il tema della sesta giornata del Decameron è quello elle risposte pronte e argute che permettono di togliersi d’impaccio o da una situazione pericolosa. Nella quinta novella questa risposta intelligente permette a Giotto, di far passare chi lo ha preso in giro per uno stolto, che non ha pensato abbastanza prima di parlare. Panfilo, l’oratore della novella, prima di iniziare il racconto vero e proprio, comincia con dire dicendo che la Natura ha nascosto dietro a uomini di aspetto bruttissimo un grande ingegno. Presenta quindi i due personaggi al centro della narrazione, che sono: Giotto e messer Forese da Rabatta, anche lui aveva un il cui volto è poco aggraziato. I due si incontrano perché possiedono entrambe terreni nel Mugello e li stavano andando a controllare. Il ritorno a Firenze lo compiono insieme, sono molto stanchi e a rendere più difficile il cammino è una forte pioggia. Si riparano nella casa di un contadino, loro conoscente e, passata la pioggia, riprendono il cammino. Camminando Mentre procedono nel fango, ovviamente inzaccherandosi, il loro aspetto stanco e miserabile è ancora più marcato e Forese, senza disavvezzo a far caso al proprio aspetto, ma invece analizzando a fondo quello di Giotto, fa un battuta proprio su questo: “ Giotto, tu pensi che, se, per caso, ci venisse incontro un forestiero che non ti avesse mai visto, crederebbe che tu sei il migliore pittore del mondo, come ,in realtà,  sei?”. Giotto però, risponde con prontezza, senza lasciare altre possibilità al messer suo interlocutore di controbattere: “Messere, forse che egli, guardando voi, potrebbe credere che sapete l’abicì?”. La novella si conclude con la riflessione di Forense che giudica giusto ciò che gli è stato ridato restituito. Giotto era il più grande artista della sua epoca, per questo il confronto è molto forte, e si può percepire la sensazione provata da Forense quando guarda questo arsita dalle doti fenomenali, ridotto come un comune anziano impacciato e stanco per una lunga camminata nel fango. La battuta infatti non è sbagliata, vedendolo verrebbe più facile pensare che sia contadino e niente di più, ma ovviamente l’errore sarebbe di chi giudica, poiché l’aspetto esteriore non ha nulla a che fare con le proprie capacità. Con le parole Giotto si dimostra incontrastabile, imbattibile, viene anche detto infatti, che lui era un ottimo favolista e quindi possedeva un buon controllo della lingua. Nella novella viene quindi trattato, con leggerezza, il tema del contrasto fra apparenza e sostanza. La maggior parte delle persone si limita alla prima, rendendola giudice di qualsiasi cosa, dalle situazioni in cui ci si trova a vivere alle rievocazioni di storie da parte di altri. L'apparenza richiede di essere sempre superata, per capire quanto di essa rappresenti l'espressione di una sostanza e quanto invece rappresenti un'indebita sovrapposizione, pronta a dileguarsi ove il giudizio pretendessi di sndare ben più in là, alla ricerca delle radici e del senso delle cose.

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Filippo C.

Tancredi e Ghismonda: quanta giornata prima novella, il tema è dato dagli amori infelici, finiti in tragedia, re Filostrano fiammetta [distrazioni]
Tancredi è il sovrano principe  di Salerno, un reggente buono e intelligenteche ha una sola figlia, Ghismonda, alla quale vuole tantissimo bene e che è una ragazza bellissima. Passa molto tempo prima che la fa  faccia maritare e alla fine la  concede al Duca di Canova dal del quale rimane presto vedova, ritornando dal padre. A palazzo viene servita e riverita, ma si accorge che il padre non ha intenzione di farla risposare. Allora lei si decide di  trovare un amante. Sceglie un giovane della corte, un certo Guiscardo, un ragazzo di umili origini ma virtuoso e dalle buone maniere, dal quale si fa notare e scopre  per poi scoprire che l’interesse è ricambiato. Per coronare il loro amore attraverso un incontro, ella gli comunica mediante una lettera come raggiungerla quella una  sera stabilita. Vicino al palazzo è presente una grotta che in una fenditura al suo interno cela una scala che conduce nel castello. Questo passaggio è stato dimenticato da tutti, diventando quindi segreto, ma Amore l’ha fatto tornare in mente alla ragazza innamorata  a Ghismonda il cui cuore è dominato dal dio. QuelAlla sera Gismonda manda via le sue damigelle e si ritira per andare a incontrare il suo amante. Di questi incontri se ne susseguirono svariati. e da quella volta essi s'incontrano ripetutamente, con reciproca e crescente soddisfazione. “Ma la fortuna invidiosa di così lungo e di così gran diletto, con doloroso avvenimento la letizia dei due amanti risolse in tristo pianto”. Tancredi, solito andare nella camera della figlia per passare un po’ di tempo insieme a lei, un dì vi si reca mentre lei la giovane donna è in giardino con le sue damigelle. Deciso ad aspettarla, finisce per addormentarsi in un punto dove è celato allo sguardo. Gismonda nel mentre frattempo lascia le sue cortigiane e va in camera sua per incontrare Guiscardo. A lungo parlano e si sollazzano e il padre di lei finisce con lo svegliarsi e accorgersi della relazione della figlia rendersi conto di quello che sta accadendoMa Per quanto interiormente sconvolto, decide di stare fermo e zitto e di andarsene dal nascondiglio solo quando sarà una volta rimasto solo per evitare la vergogna di essere visto. Cosìquando la camera viene lasciata dai 2 amanti,  il re Tancredi  riesce a sgattaiolare via. Arrabbiato In preda alle furie  ordina a suoi sudditi di aspettare Guiscardo nella grotta, dove riescono a catturarlo lo catturano e lo portano dal re. Qui il sovrano lo interroga e lo giudica severamentedicendogli rinfacciandogli che in cambiò della benignità che ha mostrato nei suoi confronti ha abbia contraccambiato con l’oltraggio e la vergogna. Ma il giovane risponde al reggente: “L’amore può troppo più che nè io nè voi possiamo”. Gismonda è ignara della prigionia dell’amato. Tancredi decide di andare a parlare con l’adorata figlia in camera sua. Le dice di sapere della sua storia relazione con Guiscardo e che l’ha di averlo già imprigionatoe le confessa di provare ambigui sentimenti, da un lato l’amore che prova verso di lei, dall’altro lo sdegno a causa del suo comportamento, ma prima di prendere una decisione preferisce ascoltare cosa la figlia ha da dirgli al riguardo. Detto ciò scoppia a piangere come un fanciullo. Lei afferma di non voler negare il fatto o pregare per la sua pietà o il suo perdono, ma anzi gli confessa che Guiscardo è l’uomo che lei ama e che amerà per il resto della sua vita, e fa intendere che se la toglierà qualora il giovane morisse, anche se il padre pensa che menta dicendo questo. Continua affermando che il suo sentimento d’amore è sorto per colpa di Tancredi che non si è preoccupato di trovarle un nuovo marito in grado di soddisfare i suoi naturali desideri di donna (“Esser ti dovea, manifesto, essendo tu di carne, aver generata figliuola di carne e non di marmo o di ferro”). Poi dice di aver scelto Guiscardo per le sue virtù e i suoi modi, che lo rendono un uomo superiore a tanti nobili (“In che non ti accorgi che non il mio peccato ma quello della Fortuna riprendi, la quale assai sovente li non degni ad alto leva, a basso lasciando i degnissimi”). Dice poi che Amore è una forza a cui nessun mortale può opporsi. Poi viene lasciata sola. Il giorno successivo, mentre il padre è via da palazzo, dà ordine di portare il cuore dell’amato appena giustiziato dentro una coppa d’oro alla figlia. Quest’ultima appresa la moglie dell’amante, si era già procurata delle erbe velenose per togliersi la vita.. Così Ghismonda, circondata dalle damigelle, dopo aver fatto un piccolo breve discorso, incompreso dalle altre, che non sanno ignare  della sua relazione segreta, mescola acqua e erbe velenose nella coppa insieme al cuore per berne il contenuto e poi distendersi sul letto attendendo la morte. Tancredi, che viene subito avvertito delle intenzioni della figlia, si precipita nella sua stanza e al suo capezzale piange. La figlia lo redarguisce “Chi vide mai alcuno, altro che te, piangere per ciò che egli ha voluto” e come ultimo desiderio gli chiede di essere seppellita vicino al suo amato e con queste parole trapassa. Tancredi allora fa seppellire nello stesso sepolcro i due amanti.
 Commento: Il principale tema della commedia  è l’amore, che si manifesta in diverse forme. C’è l’amore ossessivo ed egoista di Tancredi che vuole tenere tutta per sé la figlia e pensa che per renderla felice basti rinchiuderla in una gabbia d’oro. Poi c’è l’amore dei due amanti, Ghismonda e Guiscardo, che è un amore sincero ed extraconiugale (fuori dal matrimonio), che va oltre le loro enormi differenze sociali.

Decima giornata e decima novella, icui si narra di chi, con cortesia e magnanimità, ha vissuto avventure d'amore o di altro genere, panfilo re doneo racconta [forma appuntistica...]
Pietro di Vinciolo è un ricco uomo perugino. Su di lui circolano molte voci e l’opinione generale è che sia un sodomita, niente di più vero, Pietro è effettivamente omosessualema per cercare di dissipare questa coltre di pettegolezzo fama che potrebbe nuocergli, decide di sposarsi, effettuando un matrimonio di convenienza. Finisce quindi per maritarsi con una giovane, dai capelli rossi, molto attratta dai piaceri della carneale nel libro viene definita così, come si evince da questa sintetica e eloquente notazione del narratore:  “la quale due mariti più tosto di uno avrebbe voluti”. Dopo il matrimonio lei la donna si accorge che il marito non la calcola si cura minimamente di leicon lei ci parla pochissimo non solo non le parlanel letto non fa ciò che lei si aspettava ma nemmeno s'induce a praticare alcuna attività sessuale con lei. Per questo s'induce a pensare che quello lì la abbandona per soddisfare le sue perversioni, e pertanto  si lamenta e rimpiange il matrimonio di essersi indotta a sposarlo (Se egli sapeva che io ero femina, perché per moglie mi prendeva se le femine contro all’animo gli erano? --- e se non avessi creduto ch’è fosse stato uomo, io non lo avrei mai preso). Inoltre esprime tutta la voglia necessità, a sua volta, di avere provare piaceri sessuali (Se io non avessi voluto essere al mondo, mi sarei fatta monaca). Passa poi a immaginare il rimorso che proverebbe da vecchia se ora, che è giovane, non si godesse la vita. Alla fine si decide a trovare un amante, dopo il seguente ragionamento: io, compiendo adulterio,  offenderò le leggi sole [compiendo adulterio], dove egli offende le leggi e la natura[a causa della sua omosessualità]. La giovane decide di confidarsi quindi con una vecchia riguardo a questa sua decisione. Ella le conferma che il rimorso sarebbe enorme se adesso non si godesse la vita e si propone di aiutarla a trovare un baldo giovane. E così fa, la giovane trova un amante e con lui si incontra molte volte, anche se teme che il marito la possa scoprisse. Una sera il marito esce per andare a cenare da un suo amico, Ercolano. La moglie coglie la palla al balzo e combina con il suo amante. Ma durante la serata il Pietro torna e la donna è costretta a nascondere l’amante dentro una cesta vicino alla stalla. La ragazza accoglie il marito e gli domanda come mai sia già tornato e se abbia già mangiato. Lui risponde di non averlo ancora fatto a causa di un fattaccio avvenuto a casa di Ercolano e glielo riporta. Sentendo starnutire in casa sua qualcuno che non era né la moglie né lui né Pietro, Ercolano si allarma e va a cercare l’origine di quei rumori, ovvero un giovane, ben  nascostoche starnutiva a causa di un po’ di zolfo inalato. Ercolano capì aveva capito subito che il ragazzo era l’amante della moglie, che la quale infatti, quando arrivarono erano arrivati a casa gli li aveva fatti fece aspettare per un po’ fuori dalla porta. La donna, rendendosi conto del fatto  vedendo che il suo peccato era palesefuggì fuori dalla porta. Ercolano non la fermò, era interessato com'era solo al ragazzo, che  e trascinatolo trascinò fuori dal suo nascondiglio con la forza e, avendo preso prese un coltello per ucciderlo si apprestò a ucciderloMa Pietro lo impedì, e allora Ercolano uscì di casa con il giovane e andò non si sa dove. La moglie allora, che avrebbe ben più preferito difendere la moglie di Ercolano in quanto con cui condividevano il peccato, decide [tempo] di non difendere i peccati altrui e invece muove critiche e ricopre di insulti alla donna. Pietro chiede poi di cenare, ma la moglie cerca di convincerlo ad andare a dormire. Per sfortuna in quel momento un asino che si trovava nella stalla spinto dalla sete passa vicino alla cesta e pesta una mano del giovane lì nascosto, che di conseguenza urla. Pietro si allarma, scopre il giovane, ma anziché arrabbiarsi se ne si rallegra di questa della scoperta perché per lui non era un ragazzo qualsiasi ma bensì uno dietro cui andava da molto tempo invano. E Perciò gli domanda cosa stesse facendo in quella cesta e il ragazzo gli dice tutto. Allora lo prende per mano e va dalla moglie e la rimprovera di aver giudicato una peccatrice essendo lei stessa un’adultera. Lei allora monta su tutte le furie e dice al marito che lui a causa della sua perversione non la tratta come dovrebbe fare un marito con la moglie e che allora lei è legittimata a trovarsi un amante. Il marito quasi non la ascolta e anzi chiede se può portare la cena per tutti e tre. Così cenano tranquillamente e dopo Pietro riesce a trovare il modo di far divertire tutti e tre quella notte, anche se l’autore dice di non ricordarsi quale fosse. Fatto sta che la mattina successiva il giovane viene accompagnato in piazza “non assai certo qual più stato si fosse la notte o moglie o marito, accompagnato” (non certo se quella notte avesse agito come moglie o come marito).
 Commento: Siamo nel basso medioevo in Europa, l’omosessualità è considerata un peccato, una perversione contro natura a causa della dottrina cristiana. Nonostante questo Pietro di Vinciolo, che tutti reputano sodomita, è un uomo ricco (ha perciò un business e una carriera un certo prestigio sociale, che gli deriva dalla ricchezza), intrattiene relazioni interpersonali (non è un emarginato della società). Quindi ,malgrado venga detto che l’omosessualità è contro le leggi, bene o male Pietro vive tranquillamente a Perugia. Poi è importante le figure dell’uomo e della donna che viene presentata nella novella. L’uomo è descritto come buono a mille cose capace di fare di tutto (Essi (gli uomini) nascon buoni a mille cose) e migliore quando è maturo (nel sesso), almeno secondo la vecchia che aiuta la moglie a compiere il suo soddisfacente, alla fine per tutti, tradimento. Le donne invece sono buone soltanto a essere madri. Si capisce che la società dell’epoca è fortemente maschilista, ma non sessuofoba, come lo saranno altre società più avanti nel tempo. Il sesso è un fatto della vita una manifestazione felice della natura, sia degli uomini che delle donne. Il quadro che ne viene fuori è di un medioevo non così oscurantista come quello che ci viene spesso proposto.


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