COMPITO OVIDIO PER IL 12 OTTOBRE - età dell'oro FELICITA'/eudaimonìa

Di seguito trovate un'introduzione, che sintetizza i versi che tralascio, e i versi da TRADURRE fino al riordino, aiutandosi con la traduzione di Sermonti. 

Introduzione

I versi che abbiamo letto sinora, dal I al XLII, contengono la descrizione di come dal Caos primigenio inizino a differenziarsi i componenti costitutivi dell'universo, complice una forza demiurgica che Ovidio variamente identifica in un deus non meglio precisato, che può anche apparire in qualche passaggio del testo una personificazione della natura. Tale descrizione prosegue con ulteriori dettagli, rispetto a quelli già visti: la terra è suddivisa in zone calde e fredde, aride e ghiacciate, e vengono anche predisposti eventi meteorologici, come nebbie, venti impetuosi, tuoni e folgori. Tutto si anima, in un turbinio di immagini e di nomi, che sono altrettante personificazioni, come Zefiro, Borea, Austro. A un certo punto, al verso LXXX, compare l'animal sanctius, un animale più nobile, provvisto di intelletto e degno di primeggiare (quod posset dominari in cetera). Naturalmente è l'homo, rispetto alla cui nascita Ovidio propone due ipotesi: o sarebbe stato modellato da seme divino (divino semine) da ille opifex rerum, ossia una sorta di fabbro celeste, oppure sarebbe stato Prometeo a impastare con acqua piovana la terra appena distinta dall'etere e recante su di sé l'impronta dello stampo celeste. In ogni caso questo essere, scrive ancora Ovidio, non tiene il volto verso terra, ma lo punta al cielo, a contemplare le stelle (ad sidera tollere vultus). Ora, di seguito, propongo i versi che conducono attraverso la splendida, originaria, età dell'oro, culla dell'eudaimonìa e della felicitas

Aurea prima sata est aetasquae vindice nullo,

 90sponte suasine lege fidem rectumque colebat.

Poena metusque aberant nec verba minantia fixo

aere legebanturnec supplex turba timebat

iudicis ora suised erant sine vindice tuti.

Nondum caesa suisperegrinum ut viseret orbem,

 95montibus in liquidas pinus descenderat undas

nullaque mortales praeter sua litora norant.

Nondum praecipites cingebant oppida fossae;

non tuba directinon aeris cornua flexi,

non galeaenon ensis eratsine militis usu

100mollia securae peragebant otia gentes.

Ipsa quoque immunis rastroque intacta nec ullis

saucia vomeribus per se dabat omnia tellus;

contentique cibis nullo cogente creatis

arbuteos fetus montanaque fraga legebant

105cornaque et in duris haerentia mora rubetis

et quae deciderant patula Iovis arbore glandes.

Ver erat aeternum placidique tepentibus auris

mulcebant zephyri natos sine semine flores.

Mox etiam fruges tellus inarata ferebat

110nec renovatus ager gravidis canebat aristis;

flumina iam lactisiam flumina nectaris ibant

flavaque de viridi stillabant ilice mella.

Traduzione Sermonti

Prima a fiorire è l'età dell'oro, che senza leggi 

e senza tutori coltiva di suo giustizia e lealtà.

Ignoti, castighi e paure; nessuno leggeva minacce affisse

in tavolette di bronzo, né tremava al cospetto del giudice

una folla di supplici: tutti sicuri senza esser protetti.

Non ancora il pino, segnato sui monti natali, fendeva 

le onde per esplorare mondi ignoti, e non c'era

mortale che conoscesse altre rive che le sue rive.

Non c'erano ancora fossati scoscesi a recingere i borghi;

non trombe diritte di bronzo, non corni ricurvi, non 

elmi, non una spada; senza bisogno di eserciti,

praticavano i popoli in pace la dolcezza di vivere.

La terra poi, liberamente, non smossa dal rastrello,

non piagata ancora dal vomere, produceva tutto da sé;

contenti dei cibi prodotti senza sfruttarla, gli umani

coglievano vuoi corbezzoli, vuoi fragole di montagna,

vuoi le corniole, vuoi, tra le spine dei rovi, le more,

vuoi le ghiande cadute dall'albero ombroso di Giove.

Perpetua la primavera, e i tiepidi soffi di Zefiro

carezzavano con dolcezza fiori nati senza semenza.

Non arata, la terra non tarda a ricoprirsi di messi,

e i campi non dissodati a biancheggiare di spighe

pingui; scorre il latte a torrenti, il nettare scorre,

e biondo sgocciola il miele dal verde dei lecci. 

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