FOCUS SUL LAVORO: UNA CONDANNA O UN VALORE (9 testi corretti senza evidenziazioni)
1) Nella società di oggi il lavoro viene visto come qualcosa che dà dignità, se oggi ci fosse un mos maiorum il lavoro rientrerebbe sicuramente in questo, come uno dei valori che maggiormente caratterizzano la società odierna. A volte c’è addirittura, da parte di qualcuno, un'esasperazione nel rendere il lavoro l'unica ragione della vita. Invece, un certo numero di coloro che scrivono dell’aurea aetas, vedono il lavoro come una condanna, e perciò lo eliminano dalla vita degli uomini di questo periodo, come se il lavoro fosse una delle condizioni che impediscono all’uomo la felicità. Come scrive Ovidio nelle Metamorfosi, quando gli uomini entrano nella prima fase del declino, l’età dell’argento, si vedono costretti, a causa dell’alternarsi di quattro stagioni che prendono il posto della perenne primavera, a costruire case e rifugi e a seminare i semi dei cereali in una terra che non produce più spontaneamente. Così termina, per loro, la fase aurorale e felice in cui potevano appunto fare a meno di lavorare. (Andrea T.)
2) Il lavoro, durante l’età dell’oro, viene visto come un ostacolo che impedisce all’uomo di raggiungere la felicità: essa è identificata nella tranquillità e nella pace, dati da una condizione di serenità, di armonia tra uomini e natura. Quest'ultima donava gratuitamente i propri frutti, permettendo agli esseri umani di non condurre nessuna attività lavorativa. Nell’età dell’oro dunque la natura era concepita come un locus amoenus, favorevole all’uomo: egli viveva in comunione con se stesso e con gli altri. La sua virtus specifica era quindi l’innocenza, nella quale l’essere umano viveva per così dire prigioniero (il lato negativo della medaglia) di una “gabbia d’oro”. Questa condizione di quieta innocenza venne poi modificata dall'irrompere della cultura.
Al lavoro visto come superfluo, o non ancora necessario, successivamente Virgilio contrappone, nelle Georgiche, la visione della laboriosità come condizione necessaria alla sopravvivenza. Il lavoro diventa a quel punto una caratteristica umana, un’occupazione che dona all’uomo dignità, quindi, se non una virtus di per sé, un alimento alle virtutes.
Nelle Georgiche la natura è avversa all’essere umano che, per dominarla, è costretto a sviluppare e potenziare le proprie artes ovvero le abilità che conducono a risultati concreti.
La fatica del lavoro può diventare quindi, a seconda dei contesti, una punizione oppure un valore, in grado di elevare l’uomo e che differenziarlo dagli altri esseri viventi, sviluppando appunto le artes.
Virgilio nelle Georgiche insiste su quanto il lavoro nobiliti l’uomo, in ottemperanza alla volontà e su commissione di Ottaviano, che ha come scopo della sua politica culturale quello di promuovere la laboriosità, una virtus della quale le bonae artes necessitano. Sotto l’impero augusteo, infatti, c’era si centrale è la valorizzazione del lavoro con il fine di elevare l’uomo, di conferirgli dignità. (Elena)
3) Esiodo rappresenta come creature semidivine gli esseri umani nel periodo in cui, ignari di dolore e lavoro, possono permettersi di non praticare alcuna attività. Ne consegue che il lavoro risulti essere non solo un impegno che situa chi lo pratica a un livello inferiore a quello degli dèi, ma sia anche spiacevole, paragonabile ad un dolore. Anche per Platone l’assenza di necessità di lavorare è proposta sotto specie di utopia e come stato paradisiaco, giacché consente di dedicarsi a occupazioni più virtuose, quali filosofare e dialogare. Analogamente, per Ovidio l’età dell’oro corrisponde a uno stato di felicità originaria, a un'esistenza senza obblighi. (Matteo)
4) Esiodo rappresenta gli uomini durante l'età dell'oro come semidivini, ignari di cosa significhino dolore e lavoro, nella convinzione che praticare un'attività lavorativa sia un obbligo riservato esclusivamente agli uomini e che, per questo, costituisca uno dei peggiori aspetti della vita degli esseri umani. Anche per Platone la possibilità di non esercitare lavori manuali è da considerarsi una condizione ottimale, perché consente di dedicarsi alle attività intellettuali e in particolare alla ricerca della sapienza e dell'amore. Analogamente, anche per Ovidio l’età dell’oro corrisponde ad un’assenza di lavoro. Quindi, almeno in queste rappresentazioni del mondo classico, il lavoro manuale non veniva visto come una fonte di valori, come sarà poi in futuro, ma come una limitazione all'esercizio dell'attività intellettuale, considerata l'unica attività nobile e la sola degna di un uomo libero.
Tuttavia, a differenza degli autori sopra citati, Virgilio, all'incirca nello stesso periodo in cui scrive Ovidio, attribuisce invece un valore positivo al lavoro che, sviluppatosi nell'età successiva a quella dell'oro, costituisce a suo dire l'impegno principale che permette di distinguere l'uomo dagli animali. Grazie al lavoro, infatti, gli esseri umani sono in grado di sviluppare le artes, cioè le attività pratiche. Questa è la concezione sviluppata da Virgilio soprattutto nelle Georgiche, che si contrappone a quella affermata in precedenza nelle Bucoliche. Una contrapposizione a cui non fu estranea la pressione di Ottaviano che, in maniera indiretta, lo forzò a esaltare il lavoro e il sistema di valori che vi si riconnettono, risalendo alle origini del mos maiorum e all'idea del vir bonus colendi peritus.
Anche nella rappresentazione ebraico-cristiana dell'Eden i progenitori degli uomini non sono costretti al lavoro. Solo nel momento in cui, a causa del morso della mela, suscitano la collera di Dio gli esseri umani saranno costretti a lavorare per vivere, e le donne a partorire con dolore.
Sul tema del lavoro, in ambito cristiano, interverranno successivamente le riflessioni del protestantesimo e del calvinismo. Il pensiero protestante, infatti, in età moderna tra il 1600 e il 1700, promosse per la prima volta un'idea di lavoro come valore assoluto, operando un'associazione fra economia e religione. Questo nesso tra religione e lavoro divenne nell'Ottocento oggetto di studi, soprattutto da parte del sociologo Max Weber, che scrisse un saggio intitolato L'etica protestante e lo spirito del capitalismo in cui si istituiva uno stretto rapporto fra la religione e lo sviluppo imprenditoriale. (Jacopo)
5) Esiodo rappresenta gli esseri umani come creature semidivine, che non provano dolore né praticano il lavoro, palesando che esso non sia solamente un'attività umana, ma addirittura una punizione, dal momento in cui diventa necessario. Anche nella visione platonica, l'assenza di lavoro è assimilata a una condizione paradisiaca, che consente all’uomo di occuparsi di attività nobili come la filosofia. Tali visioni possono certo essere state influenzate da una mitica rappresentazione del lavoro come una sorta di punizione, sopraggiunta per via di qualche errore commesso dagli esseri umani. Successivamente, ci fu una svolta sul tema del lavoro, in merito al quale si sono espresse religioni in età moderna, soprattutto in ambito protestante, nei paesi nordici. Tra Sei-Settecento, in particolare il calvinismo, ha coltivato una mentalità lavorista, che rende appunto il lavoro centro dell'esistenza e valore assoluto. Il nesso fra etica protestante e lavoro è stato studiato e dimostrato da Max Weber, a fine Ottocento, nel suo saggio intitolato L'etica protestante e lo spirito del capitalismo. (Tommaso)
6) Per Esiodo, durante l’età dell’oro, gli uomini conducevano un'esistenza semidivina poiché erano privi di dolori, non si sottoponevano a fatiche, non conoscevano né vecchiaia né lavoro e, quindi, vivevano in uno stato di beatitudine. Secondo Platone, all’interno della società perfetta non doveva esistere il lavoro poiché gli uomini devono dedicare la propria vita al dialogo e al filosofare. In questi casi, il lavoro non viene visto come un valore ma, più che altro, un’imperfezione. Un’interpretazione che si può dare al lavoro è addirittura quella di una condanna per l’uomo, perché lo distoglie dal suo stato di beatitudine originario. Infatti, nella rappresentazione edenica, il lavoro non è presente ma, nel momento in cui Dio si infuria per il fatto che gli umani cedano alla tentazione della conoscenza vietata, essi subiscono la condanna al lavoro. Nell’ambito della cultura religiosa protestante, particolarmente calvinista, il lavoro però ha assunto tutt’altro aspetto poiché, tra il 1600 e il 1700, viene visto come un vero e proprio valore fino ad essere considerato quello assoluto della vita. Su questo tema si sono soffermati alcuni studi del sociologo ottocentesco Max Weber, esposti all’interno dell’opera L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Col calvinismo, spiega Weber, si instaura un ribaltamento delle idee più antiche come quella edenica e dell’età dell’oro poiché, per Calvino, la vita non ha un senso compiuto senza il lavoro. Possibile ravvisare in questo un'affinità, nuovamente, con l'Antico: nelle Georgiche, opera di Virgilio commissionata da Ottaviano, il poeta afferma che il lavoro è ciò che valorizza l’uomo e lo contraddistingue dagli animali, anche se precedentemente (nelle Bucoliche) aveva scritto il contrario. Quindi, sia nel caso dei calvinisti che nel caso di Virgilio e Ottaviano la moralità delle persone viene richiamata per scopi economici e governativi. (Alberto)
7) Esiodo, un poeta greco del VIII-VII secolo a. C., autore in particolare del poema cosmologico intitolato Le Opere e i giorni, scrive la prima rievocazione di una stirpe di esseri umani dell'età dell'oro, ai quali diedero vita gli dei nell'era di Crono, motivo per cui essi vivevano in uno stato di beatitudine, considerato vicino al divino, ignari di dolori, fatiche, lavoro e vecchiaia. La pratica di una professione infatti, non solo è un’attività esclusivamente umana di livello notevolmente inferiore a quello degli dei, ma è anche considerato da tutti i poeti che scrivono dell’aurea aetas, uno dei peggiori aspetti della vita degli uomini, come se il lavoro fosse una delle condizioni che impediscono ad essi di raggiungere la felicità; perciò questi poeti vedono il lavoro come un qualcosa di negativo, una condanna per gli esseri umani, poiché li allontana da uno stato di benessere caratterizzato, fra l'altro, da una natura incontaminata, che non viene danneggiata dall’agricoltura e da altre attività umane.
L’assenza della necessità di lavorare è caratteristica anche della visione platonica, in cui l’uomo si dedica principalmente a occupazioni come conversare e filosofare. Allo stesso modo, Ovidio nelle Metamorfosi dipinge l’età dell’oro come una fase in cui era possibile condurre un'esistenza in armonia con la natura e senza cultura, in cui il lavoro e le leggi erano assenti per consentire una spontanea armonia complessiva.
Analogamente nella rappresentazione edenica il lavoro è inizialmente assente, per poi essere inflitto come punizione da Dio, che si infuria a seguito della trasgressione commessa da Adamo ed Eva, e rende appunto il lavoro una condanna: la donna partorirà soffrendo, mentre l’uomo dovrà lavorare per vivere.
Quanto a Virgilio, sono presenti nella sua poesia ambedue le rappresentazioni: anche se il labor improbus irrompe nella vita dell'umanità beata dell'età dell'oro, e ne causa il declino, la sua negatività è attenuata dal fatto che dalla sua necessità provengono le artes, ossia un raffinamento e un’applicazione delle capacità umane, che valorizzano gli uomini differenziandoli dagli animali.
Sul tema del lavoro, in età moderna, sono poi intervenute anche le religioni cristiane, soprattutto in ambito protestante nei paesi nordici, culla originaria del capitalismo. Tra il '600 e il '700 ha preso forma una mentalità che promuove il lavoro come un valore assoluto, al punto che il tema del nesso tra etica religiosa protestante e lavoro, alla fine dell’800, è diventato oggetto di studio del sociologo Max Weber, il quale ha scritto un saggio intitolato L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. (Martina)
8) Con l'avvento di Giove, iniziano tutte le disgrazie e le fatiche: il caldo e il freddo, la proprietà privata, che diffonde i contrasti e l'avidità tra gli uomini, e anche la necessità di lavorare. Quest' ultima sembra a tutti gli effetti essere una condanna, in quanto interrompe la libertà totale, spezza l'armonia con la natura e ostacola il permanente manifestarsi di una gioia che rende l'età dell'oro quel periodo decantato dai poeti ai quali è impossibile ritornare se non nell'immaginazione. Non mancano tuttavia visioni completamente differenti della stessa situazione: al tempo della loro dorata infanzia, gli uomini facevano il bene perché non conoscevano il male, perché non avevano scelta; l'arrivo del lavoro, e quindi della fatica, se da un lato corrompe gli animi più deboli dall'altro tempra gli animi e li rende forti, permettendo tuttavia la pratica della bontà e della concordia con la natura. L'arrivo di Giove può essere per alcuni, o almeno per chi se ne accorge, il dono del liberò arbitrio: un individuo inizia a scegliere, e la prima scelta molto generale, che prima non era possibile, sarà quella tra bene e male. La vita diventa più travagliata, a volte ingiusta, esistono persone come i malfattori, come i briganti, che attaccano e derubano altre persone che non meriterebbero certo una pena simile; ci sono i più ricchi e i più poveri, quelli che senza lavorare vivono di lusso con l'eredità a loro ceduta e quelli che muoiono di fame, magari colpiti da una grande sfortuna. In un mondo in cui ci sono bene e male, dove si è tentati di cadere nell'immoralità, però, chi sceglie di far del bene e chi è probo si innalza sugli altri per virtù, e l'armonia da lui guadagnata con gli altri e con l'universo è stata ben conquistata. (Filippo M.)
9) La visione dell’età dell’oro di Platone e quella di Ovidio concordavano su un concetto: l’età dell’oro è stato un periodo in cui gli uomini vivevano concordi tra loro e in completa armonia con gli dei e con la natura. In questa condizione, paragonabile a un paradiso terrestre di memoria biblica, gli uomini non erano costretti a lavorare, ricevevano dalla natura direttamente tutto il necessario. A un certo punto, però, si meritano quella sorta di condanna che è, appunto il lavoro medesimo: il poeta e il filosofo lo concepiscono come tale, perché corrisponde a un’imposizione a faticare. Anche per Virgilio l’inizio dell'età in cui si lavora, per ottenere cibo e quanto serve alla vita, coincide con la fine dell’età dell’oro, ma il poeta non considera il labor come del tutto improbus, ovvero come una punizione degradante, bensì come un valore: infatti, oltre a essere ciò che differenzia l’uomo dall’animale, il lavoro ha come risultato le artes, ovvero le applicazione pratiche, che gli consentono di raffinare le proprie virtutes. (Andrea S.)
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