CICERONE: MODELLO DI RISCRITTURA FUNZIONALE ALLO STUDIO

 DA TRECCANI, Vita e opere di Cicerone rivisto e con tagli

Cicerone è originario di Arpino, in Sabina, dove nasce nel 106 a. C. da  agiata famiglia equestre. A Roma riceve un’istruzione adeguata al suo status: maestri di diritto i due Scevola, l'augure e il pontefice, di  filosofia l'accademico Filone di Larissa e lo stoico Diodoto, di eloquenza Apollonio Molone di Rodi. Il primo impegno forense risale all'81 a. C., mentre entra nell'attività politica nell'80 con la difesa di Sesto Roscio Amerino: l’orazione s’intitola Pro Roscio Amerino, e il suo patrocinato è accusato di parricidio per un intrigo a sfondo politico che faceva capo a Crisogono, liberto di Silla. Dopo la vittoria in foro, Cicerone, forse temendo una vendetta da parte di quest’ultimo, compie  un viaggio in Grecia e in Asia. Al suo ritorno ha inizio la sua carriera politica, con un incarico di questore (primo gradino del cursus honorum)  per la Sicilia occidentale, nel 75. I Siciliani sono talmente soddisfatti di lui, che lo scelgono come loro patrono nella causa intentata contro Verre, protetto da amicizie potenti dell’oligarchia romana. Cicerone conduce un’inchiesta nei confronti di Verre, i cui risultati sono esposti nelle orazioni, accorpate e  intitolate Actio I in Verrem e Actio II in Verrem: gli basta tuttavia pronunciare solo l’Actio I per indurre  Verre a recarsi volontariamente in esilio. Edile curule nel 69, pretore nel 66, sostiene la legge che conferisce a Pompeo il comando (Pro lege Manilia o De imperio Cnei Pompei) della guerra contro Mitridate, perché, sebbene incostituzionale, risponde alle necessità del momento. Il 63 è l’anno del consolato: Cicerone si oppone alla legge agraria di Servilio Rullo, difendendo Gaio Rabirio, sventa  prima il tentativo di Catilina di giungere al potere per vie legali, per poi reprimere quello di conseguirlo con la violenza. La congiura, nella quale sono sicuramente implicati personaggi come Crasso e Cesare, è scoperta e soffocata nel sangue, anche per via di metodi illegali. Gli eventi lo conducono quindi a avvicinarsi, tra i conservatori, in particolare  a Pompeo. Inviso a Cesare,  questi si sbarazza di lui provocandone l'esilio nel 58 con la rogatio di Clodio (atto illegale in quanto retroattivo), perché Cicerone  aveva fatto giustiziare dei cittadini romani senza regolare processo, durante il consolato e sempre in relazione agli eventi della congiura di Catilina. Resta in esilio un anno, tornando a Roma in un periodo di gravi torbidi, causati in particolare dalle squadre contrapposte di Milone e di Clodio, acerrimo nemico dell’oratore. La posizione di Cicerone, in questo periodo, si può riassumere così: suggerisce agli ottimati di non favorire un avvicinamento di Pompeo a Cesare, come si può evincere dal De haruspicum responso, ma è costretto a assecondare invece le intenzioni dei triunviri, come risulta dall’orazione De provinciis consularibus. Allontanatosi dalla vita politca, nell’otium scrive il  De oratore e il De republica. Dopo l'uccisione di Clodio e il conseguente processo contro Milone, Cicerone non può, per lo spiegamento di forze operato da Pompeo, pronunziare in difesa di lui l'orazione che pubblica più tardi. Nel 51 è inviato come  proconsole in Cilicia, dove per un piccolo successo militare è proclamato imperator.  Per quanto riguarda la guerra civile ormai imminente,  Cicerone  si adopera vanamente per scongiurarla, e dopo lungo tergiversare si schiera dalla parte di Pompeo; dopo Farsalo (nel 48) si riaccosta a Cesare, accettandone la vittoria, e tributando persino qualche elogio al dittatore (nel Brutus e nel Pro Marcello). È un periodo particolarmente tormentato della sua vita:  alle angustie politiche si aggiungono quelle familiari, ovvero nel 47 il divorzio da Terenzia, nel 45 la morte della figlia Tullia, e poco dopo il divorzio dalla seconda moglie, la giovane Publilia. Cicerone cerca rifugio negli studî (sono di questo tempo le principali sue opere filosofiche). Poi, ucciso Cesare alle idi di marzo del 44 e aggravatasi in Roma la situazione pur dopo la riconquistata libertà,  abbandona la città dove torna alla fine di agosto. Contro Antonio, che mostra di voler succedere a Cesare, scaglia le 14 Filippiche, organizza la lotta di una parte degli ottimati contro di lui,  e sostiene perfino Ottaviano. Formatosi però il secondo  triumvirato,  Cicerone viene lasciato  da Ottaviano alla vendetta di Antonio, diventando il primo dei proscritti: nel 43 i sicarî di Antonio lo raggiungono nelle vicinanze della sua villa di Formia: mozzatagli la testa e le mani, le espongono, per volontà del mandante,  appese ai  rostra del foro.

Opere

Orazioni: le orazioni giunte a noi sono 58, mentre abbiamo notizie di altre 48 con frammenti di 17 di esse. Si tratta sia di orazioni forensi, ovvero di difesa di persone, sia politiche o commiste di entrambe le caratteristiche.

Opere di oratoria: il trattato De inventione (o Rhetorici libri), in due libri, composto nell'82-81 era un completo trattato di  retorica, ma Cicerone nel comporlo si fermò alla prima parte, la cosiddetta inventio, alla quale dovevano seguire dispositio, elocutio, memoria, pronuntiatio. Il De oratore, in 3 libri, dialogo fra gli oratori Antonio, Crasso, Scevola, Cesare Strabone, che tratta, in modo originale, della scienza o dottrina necessaria all'oratore, dell'invenzione e della disposizione, e dello stile. Il Brutus, del 46, contiene la storia dell'eloquenza romana.,  l’Orator, sempre del 46, presenta un ritratto dell'oratore perfetto.

Lettere: la corrispondenza di Cicerone comprende 864 lettere (di cui 90 indirizzate a lui) in 4 raccolte: Epistulae, dette Ad familiares, in 16 libri, dal 62 al 43; Ad Atticum, dal 68 al 44, in 16 libri; sono le più utili a documentare  i retroscena della politica e della società romana del suo tempo; Ad Quintum fratrem, in 3 libri, dal 60 al 54 (29 lettere): Ad Brutum, in 2 libri, del 43. Le lettere ad Attico furono pubblicate da Attico stesso nel 33, le altre dopo la morte di Cicerone forse dal liberto Tirone.

Opere filosofiche: ad eccezione del De officiis sono tutte in forma dialogica. Cicerone  rivela una sostanziale adesione al platonismo e allo  stoicismo e un chiaro rifiuto dell'epicureismo. Nella prima di esse, il De republica (iniziata nel 54 e, dopo varî rimaneggiamenti, compiuta nel 51), C. si occupa dello Stato e della migliore forma di governo. Le dottrine platoniche e aristoteliche, che ne forniscono lo spunto, vengono rielaborate in funzione della situazione di fatto e della realtà romane e si risolvono nella concezione che la forma mista di governo (monarchia, oligarchia e democrazia) sia la migliore. Il 6° libro dell'opera, il cosiddetto Somnium Scipionis, che espone la dottrina dell’immortalità dell’anima, ha avuto enorme fortuna. Al De republica seguì il De legibus, che ora si tende a considerare come l'ultima opera di Cicerone, composta verso la fine del 44, a illustrare l'estrema difesa della legalità contro Antonio. Ancora nel 45 C. passò all'approfondimento del problema etico nei 5 libri del De finibus bonorum et malorum. Sulla fine del 45, mentre attendeva al Timaeus, libera traduzione dell'omonimo dialogo platonico, di cui ci sono giunti frammenti con l'introduzione, si volse a comporre le Tusculanae disputationes,  5 libri di dialoghi nei quali, fondendo insieme posizioni socratiche, platoniche e stoiche, tratta del problema della felicità, e il De natura deorum, in tre libri. Al principio del 44 compose il Cato Maior de senectute; dopo la morte di Cesare pubblica il De divinatione, in 2 libri, dialogo fra Cicerone e il fratello Quinto sulla mantica, nel quale Cicerone finisce con il sostenere  la tesi della duplicità della religione, ufficiale e popolare da un lato, interiore e colta, dall'altro; poco tempo dopo sempre nel 44, scrisse il De fato dedicato  Aulo Irzio, pervenutoci incompleto, complementare, come il dialogo precedente, al De natura deorum, nel quale si dibatte la questione del contrasto fra destino e libero arbitrio. Ancora del 44 è l'operetta Laelius de amicitia. L'ultima opera filosofica di Cicerone, e la più famosa, è il De officiis, trattato di forma espositiva indirizzato al figlio, intorno ai doveri morali.

Altre opere:  nel 45, morta la figlia Tullia, compone il De consolatione, di cui sono rimasti pochi frammenti, poi l'Hortensius (in memoria del grande oratore Q. Ortensio Ortalo), per noi perduto, specie d'introduzione ed esortazione allo studio della filosofia, la cui lettura volse sant'Agostino (che lo scrive nelle sue Confessiones) alla filosofia.

          Come filosofo Cicerone non è originale: precisamente è un eclettico, che, applicando il criterio logico degli Accademici, la verisimiglianza o probabilità (e probabile gli sembra tutto ciò che ha conferma nel senso comune o consenso delle genti, spiegato con la presenza in tutti gli uomini di nozioni innate), sceglie e riunisce temi e concetti della filosofia greca. Ma in questo eclettismo, determinato sempre meglio nel suo significato positivo della ricerca delle fonti greche di Cicerone, consiste la grandezza della sua opera: si tratta precisamente di un’assimilazione della cultura greca, che continuava un indirizzo già avviato nel circolo di Scipione Emiliano nel II secolo a.C., ma si cimentava a quel punto in un campo pressoché nuovo (unico antecedente notevole il De rerum natura di Lucrezio), per il quale occorreva creare perfino il mezzo di espressione, ovvero appunto il linguaggio filosofico.

          Lo stile di Cicerone, particolarmente quello delle orazioni e dei trattati (le lettere sono soprattutto per noi moderni un  esempio del sermo familiaris latino), divenne ben presto esemplare; sicché a Quintiliano, nella seconda metà del I secolo d. C.,  sembrava riprovevole l'ardire di Seneca che volutamente s'era allontanato dai  canoni ciceroniani di simmetria e sonorità; molti tra gli autori cristiani (Girolamo sopra tutti) modellarono la loro prosa sull'esempio ciceroniano, che influì poi per questo tramite sulle artes dictandi del Medioevo. Anche maggiore l'influsso di Cicerone sullo stile degli umanisti.

 

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