MODELLI LAVORO CESARE/MACHIAVELLI e CARISMA
Il saggio che segue è stato concepito da Lorenzo
Nel ricostruire la figura di Giulio Cesare non si può evitare di prendere in considerazione l’operazione di storiografia svolta da lui stesso attraverso i suoi racconti, poiché l'analisi dei Commentarii può contribuire a illuminare, da una prospettiva privilegiata, l'azione politica, oltre che militare, di un protagonista della finis reipublicae o, per usare il linguaggio dello storico novecentesco Ronald Syme, della rivoluzione romana.
Nell'accostarsi alle due opere di Cesare, un interesse preliminare può essere rivolto allo stile: controllato, sobrio, dettagliato in certe descrizioni guerresche, ma alieno al pathos o al moralismo. Uno stile che ben s'adatta a una forma diaristica, connotato com'è da ablativi assoluti o da cospicuo ricorso al discorso indiretto. La volontà, che dimostreremo apparente o comunque negata nei fatti, di risultare oggettivo e raccontare la realtà è enfatizzata in particolare dalla trovata di parlare di sé stesso in terza persona, in modo da fornire una prospettiva che risulta (appunto nelle intenzioni) ancora più distaccata e priva di giudizi.
Tuttavia, persino alcuni dei primi lettori dei Commentarii, tra tutti Asinio Pollone, intravedono per cominciare nell’operazione di Cesare una caratteristica di finzione artistica che certamente non può addirsi al racconto della realtà. Da qui l'idea che Cesare possa iniziare a meritarsi la qualifica di impostore, nel senso di personaggio che si rende protagonista di impostura, da intendersi nel senso di operazione volutamente manipolatoria, in quanto storico che si dedica alla finzione artistica. Questa operazione non è certo soggetta a giudizi morali, e tanto meno a biasimo, in quanto la storiografia appartiene comunque all’ambito delle arti (è opus oratorium maxime), ma riconoscerla è utile per identificare la direzione che l’autore è intenzionato a percorrere nel suo tentativo di persuadere della liceità di ogni sua scelta (tanto nel corso della campagna gallica, quanto durante le guerre civili).
La caratteristica inevitabilmente manipolatoria che appartiene al racconto storico risulta senza dubbio avere un corrispettivo nella realtà: in sintesi, Cesare inizia a minare dalle fondamenta la res publica verso la quale manifesta rispetto e ossequio e predispone ottimamente il terreno affinché il suo erede e successore Ottaviano riesca a portare a compimento il processo da lui avviato.
Quanta parte egli abbia in tale processo rivoluzionario, che condurrà al passaggio da repubblica a impero siglato appunto definitivamente da Ottaviano, si comincia a notare fin dal ritorno di Cesare in patria, alla morte di Silla, quando è abile a rifiutare la proposta di Lepido, riconoscendo la prematurità del sovvertimento che egli vuole attuare, destinato infatti a fallire. Comincia a questo punto a manifestarsi in Cesare quella peculiarità che Machiavelli attribuisce al principe di successo, che consiste nell’incarnare la furbizia della volpe ove si sia in grado di prevedere gli sviluppi delle situazioni, di distinguere tra quella che rischia di rimanere un’avventura e la prospettiva, invece, di successo duraturo.
L’abilità nella simulazione, altra virtù principesca, si nota fin dalle prime imprese giovanili, ma a partire dal 70 a. C., con l’avvicinamento con Crasso, se ne rende manifesta la produttività. Il primo atto strategico in tal senso consiste nella restituzione ai tribuni delle prerogative che loro spettavano: un tributo alla respublica, anzi, a un'idea di restauratio del mos maiorum che non poteva non accattivare simpatie del fronte più conservatore e sospettoso nei confronti dei populares e di Cesare stesso. Quando assume la carica di questore, Cesare prosegue a compiere gesti emblematici in tal senso, ad esempio ristabilendo l’onore politico alla famiglia di Gaio Mario, in piena opposizione con l’operato di Silla, perseguendo l’obiettivo di far passare quest’ultimo come attentatore ai valori della res publica finalmente uscito di scena.
Nel frattempo, il suo progetto nascosto, ma nemmeno così profondamente, continua a progredire, e si guadagna la carica di pontefice massimo dopo averla resa nuovamente una carica elettiva, mentre prepara il terreno per la sua più grande impresa. Questa risulta essere la conquista della Gallia, non a caso posta al centro della versione storiografica, da cui è iniziato il nostro discorso, ovvero i Commentarii de bello Gallico.
Naturalmente le motivazioni della spedizione, condotta fra il 57 a. C. e il 50 a. C., sono tutte ricondotte alla finalità collettivamente condivisa del consolidamento della repubblica, sotto forma di espansionismo territoriale e diffusione della cultura romana. Tuttavia, nemmeno al lettore più sprovveduto e disattento sfugge quanta parte abbia, nella decisione di protrarre così a lungo e così lontano l'impresa miliare, l’ambizione personale del condottiero. Infatti il successo in battaglia per un generale costituisce una fonte di grandissimo potere e gli garantisce la fedeltà dell’esercito, che spesso arriva a seguirlo in ogni sua, ulteriore, iniziativa. Questi vantaggi consentono a Cesare di non risultare indebolito dalla distanza che lo separa da Roma durante l’assalto alla Gallia e, anzi, gli permettono di favorire la nascita di una sua nuova base politica, pronta eventualmente a sostenerlo una volta rientrato nell'Urbe.
Si tratta insomma di simulazione e dissimulazione, conclamate virtù politiche del principe machiavellico, riconosciute diffusamente a Cesare da numerosi storici moderni. Il termine impostore, utilizzato in particolare da Luciano Canfora per indicare la propensione dei vincitori di ogni epoca, a raccontare la storia a modo loro, si addice a Cesare in una varietà di sfumature: da quella che gli riconosce una strategia in grado di riscuotere l'apprezzamento di Machiavelli, a quella che lo rende meritevole della fine violenta, voluta da chi non si era lasciato persuadere dalla messinscena fraudolenta e intendeva con la sua morte vendicare la ferita quasi mortale inferta al sistema repubblicano.
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Il seguente, invece, da Filippo G.
Caio Giulio Cesare
nasce, e vive la sua giovinezza, in un contesto pericoloso: Silla è al potere e
gli scontri civili imperversano per i territori romani. Per salvarsi dalle
liste di proscrizione del dittatore il giovane Cesare è costretto, inseguito da
sicari, a scappare a lungo per non finire ammazzato. Decide pertanto che la
strada migliore sia sparire momentaneamente, allontanandosi da Roma: si reca in
Asia dove resterà fino alla morte di Silla nel 78 a.C. Appena il suo trapasso
diventa noto, c’è già chi architetta di prendere quel potere per lungo tempo
risieduto nelle mani degli optimates: Lepido. Egli invita Cesare ad unirsi a
lui, ma il discendente di Mario declina l’invito. Ha già capito che la
strategia non potrebbe funzionare. Dimostra di avere, in questa occasione, la dote massima secondo la politologia
classica: la capacità di prevedere gli eventi. Infatti Lepido riceve una sonora
sconfitta e con lui tutta la forza politica dei populares risulta indebolita.
Cesare adotta, invece, un’altra strategia. Per riprendere il linguaggio di
Machiavelli, usa l’astuzia della volpe anziché la forza bruta del leone, che si
è dimostrata vana contro i sillani (come è stato dimostrato con la rovina di
Lepido). Preferisce mettere in difficoltà i propri avversari accusandoli e
portandoli in tribunale piuttosto che combattendoli.
Nel 71 a.C. avviene una
svolta, ovvero i primi contatti tra Cesare e il ricchissimo Crasso, e l’anno
successivo, il 70 a.C., è una pietra miliare della politica romana, in quanto i
consoli in carica si accordano per smantellare il sistema sillano. Tirando
ormai altri venti a Roma, viene restituito l’onore politico alla fazione
mariana. Cesare, come un buon politico secondo il Principe di Machiavelli, sa
cogliere le occasioni, e così durante i funerali di sua zia fa sfilare immagini
propagandistiche di Mario. Sulla scia di questa decisione, quando sarà edile
rimetterà al proprio posto i trofei del famoso capo dei populares. L’esperienza
più rilevante si verifica però quando si troverà al governo della Spagna
Ulteriore, durante la quale solleverà la provincia della pesante pressione
fiscale e si costruirà una rete clientelare indispensabile per essere qualcuno
nel mondo romano.
Così è in grado di entrare
nella grande politica romana al fianco dell’eques Crasso. Ma la sua carriera
non è che iniziata. Nel 63 diventa pontefice massimo grazie alla pressione da
lui esercitata per far tornare elettiva la massima carica religiosa, che non lo era stata più sotto Silla.
L’importanza di questa carica risiede nel rapporto di timore che esiste tra il
popolo romano e gli dei, nella commistione fra ius e fas che implica: “Quello
che presso gli altri popoli è oggetto di biasimo, cioè la superstizione
religiosa, è ciò che mantiene la coesione dello Stato romano” come scrive
Polibio, con un pizzico di malevolenza, forse. La paura del piano divino
diventa quindi un instrumentum regni, uno strumento dei governanti per
controllare la cittadinanza. Cesare. però, ha delle posizioni filosofiche
filo-epicuree, una dottrina che predica l’assenza dell’intervento divino e
quindi l’inutilità del timore del piano celeste. In questa mossa si può capire
quanto ci sia di machiavellico nella figura del futuro dittatore: in politica,
non esiste filosofia o integrità morale che tenga (o che abbia diritto di
essere) quando è in ballo il potere.
Ma Cesare deve ancora
fare quel grande balzo in avanti per raggiungere il gigante che in quegli anni
domina la scena romana (Pompeo): una campagna militare.
Così con una grossa
armata parte alla conquista delle Gallie, propagandando di farlo “per la gloria
di Roma”, malgrado lo stia facendo per puro interesse personale. Questa
ipocrisia gli sarà rinfacciata dai Pompeiani, che (si può dire considerando un
po’ ironicamente la questione) seguono un politico che agisce nel medesimo
modo. Questa è l’impostura di Cesare: il pretendere di essere qualcosa che
non è.
La sua maschera è, alla fine, il suo più grande tratto machiavellico.
Una coesistenza di due essenze, opposte tra di loro, che costituiscono il
politico: una che simula l’interesse ai valori e agli altri e che ricopre un
nocciolo di tutt’altra pasta, interessato soltanto al potere, incurante del
prezzo che può comportare ottenerlo.
Questa facciata,
repubblicana e altruista, è tenuta fino alla sua morte (per mano di coloro che
non sono cascati nella sua propaganda) ed è anche presente nei suoi stessi
scritti: i Commentarii. Questi sono composti dal De bello gallico” e dal De
bello civili, nei quali Cesare racconta gli eventi avvenuti durante la campagna
militare nelle Gallie (nel primo) e nella guerra civile (nel secondo). I suoi
scritti hanno uno stile controllato, privo di pathos o retorica e non mirano ad
impartire continuamente lezioni di moralità al lettore, ma a restituire i fatti
con oggettività.
Queste opere, però,
malgrado il loro stile superficialmente privo di soggettività, sono
l’espressione di un punto di vista, che viene ovviamente fatto passare come il
migliore, ma rimane tale: quello di Cesare stesso. Vanno presi quindi come dei
racconti di parte, in quanto è avvenuta una manipolazione da parte di un autore
che riscrive la Storia per far risplendere la sua storia. Per citare Canfora:
“Il racconto di Cesare, la sua prospettiva storica, alla quale noi ci
accostiamo con la consapevolezza del quid manipolatorio di cui si è detto, ha
al proprio centro una carriera tutta rivolta al superamento della res publica,
dell’ordinamento tradizionale dello Stato romano”.
Scheda sul carisma
Il termine carisma ha una valenza sia in campo religioso che in campo politico. Nel primo caso fa riferimento all’unzione sacra che si riceve alla cresima, quindi un dono elargito da Dio. Nel secondo caso, invece, si tratta della capacità di esercitare, grazie a doti intellettuali o fascino personale, un forte ascendente sugli altri e di assumere la funzione di guida, di capo (1). Ed è proprio nell’ambito della politica, la cui etimologia risale al greco politikḗ (tékhnē), ovvero arte di governare, che possiamo rintracciare esempi lampanti di personalità fortemente carismatiche.
Primo fra tutti Cesare, il grande impostore, il quale conduce una carriera politica tutta volta al superamento della res publica, alla quale, però, è sempre intento a dichiarare la propria fedeltà. Cesare ha fatto propria l’arte che alcuni storici, tra cui Canfora, riconoscono nell’agire di diversi soggetti e che Machiavelli riconosce tra le virtù del principe, ovvero l’arte della manipolazione, del simulare e dissimulare. Ma sia l’astuzia del principe di Machiavelli che l’astuzia di Cesare consistono nell’affermare, propagandisticamente, che tutte le loro azioni siano volte a garantire il bene collettivo, quindi quello della res publica.
Cesare sicuramente ha trovato la chiave per esercitare al meglio il suo carisma e la sua politica attecchisce così bene perché si afferma proprio in un momento in cui il popolo romano è alla ricerca di un personaggio che sappia ridare stabilità a Roma durante il travagliatissimo I secolo a.C. Egli, appartenente al raggruppamento dei populares e sostenuto durante la sua scalata sociale in particolare dall’esercito, dopo la vittoria contro Pompeo, avvia una riforma dello Stato volta a instaurare il governo di uno solo. Ma la sua sorte viene scritta nel momento in cui attraversa il Rubicone con le sue legioni e giunge a Roma armato, compiendo così l’azione che gli costerà la vita.
Il suo progetto politico, però, viene ripreso dal suo figlio adottivo Ottaviano, il quale, forse ancora più abile nell’arte della simulazione e dell’autoelogio (2) e provvisto, di nuovo, di forte carisma, riesce a trovare l’escamotage per riuscire a ridurre la repubblica a un nome senza corpo né forma (3), lasciando dell’ormai vecchio ordinamento politico solo la facciata, e accentrando in realtà ogni potere nelle sue mani.
Note
1. Dal dizionario Treccani.
2. Scrive le Res gestae: l’affermazione e esaltazione dell’auctoritas dell’imperator Cesar Augustus.
3. Da Svetonio.
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Ettore
SCHEDA ESPLICATIVA TERMINE CARISMA IN POLITICA
Il termine carisma ha in sé un significato che è legato alla religione, infatti la sua etimologia lo riconduce al latino charisma, dono soprannaturale, elargito da Dio a qualcuno, ma a vantaggio dell'intera comunità (da Treccani). La persona carismatica è quindi quella prescelta, toccata da Dio, e può essere quindi un profeta o un leader religioso. E’ chiaro dunque che questa dote non viene concessa da Dio a chiunque, se si vuole restare in ambito religioso, bensì solo a qualcuno, a pochi, che manifestando la loro autorevolezza, si creano un seguito di persone che ubbidiscono loro e appunto li considerano come leader. Non di rado infatti, quelle personalità carismatiche, hanno il potere di provocare sommovimenti sociali e raccogliere attorno a sé masse popolari che si fidano ciecamente di loro.
L'ambito in cui può manifestarsi una personalità carismatica, però, non è solo quello religioso; basta che vi sia una collettività di persone e immediatamente può accadere che il carattere di un membro riesca a farsi riconoscere per la sua originalità, per la sua diversità e per la sua capacità di attirare l’attenzione degli altri. Un campo in cui il carisma di una persona è determinante, ad esempio, è quello della politica. Il sociologo tedesco Max Weber (1864-1920), pubblica un'opera dal titolo Il leader, in cui descrive la personalità carismatica come una qualità che fa apparire chi la possiede come una persona dotata di poteri inaccessibili alla gente comune. Spesso e volentieri le persone che presentano questa indole naturale, emergono maggiormente durante i periodi di crisi e incertezza, per garantire una sicurezza e un ordine che sembrano venir meno. Spesso le persone carismatiche sono provviste di una grande autostima, che le può condurre talvolta ad una forma di narcisismo: si riconoscono come unici in grado di ricondurre la comunità, la collettività o la società, alla salvezza, guidando altri esseri umani che, a differenza di loro, sono incerti e timorosi.
Nel corso della storia, alcuni soggetti si distinsero dagli altri principalmente per il loro carisma, tra cui Giulio Cesare, provvisto di doti comunicative e abile stratega politico: attraverso tali abilità costituì un potere personale, pur mantenendo in vita le strutture politiche della repubblica, predisponendo comunque il terreno all'avvento di Ottaviano Augusto, ancor più abile di lui nel portare a compimento un'operazione di smantellamento della res publica.
Nel corso della storia, dall'antica alla contemporanea, sono certo numerosi i soggetti carismatici che hanno investito nella forza, non di rado anche suggestiva, della propria personalità per portare avanti progetti considerati originariamente impossibili: da Cristoforo Colombo a Napoleone, da Washington a Mandela, gli esempi sono variegati e molteplici, anche se appare evidente una sproporzione fra il loro numero e quello ben superiore degli esseri umani nel loro insieme.
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