GEOPOLITICA COME ARCHEOLOGIA: ALLA RICERCA DI NESSI TRA MITO E STORIA ATTUALE

La geopolitica è una scienza che attualmente gode di grande fortuna: nel senso che molti la nominano, la citano, sostengono di muoversi nella sua prospettiva,  per quanto una vera e profonda cognizione di studi geopolitici sia un possesso limitato a pochi. In Italia una rivista di geopolitica molto approfondita è Limes, mensile del gruppo editoriale L'Espresso che dedica numeri monografici a questioni di rilevanza internazionale, avvalendosi di contributi da tutto il mondo. I numeri di cui mi servo per questa lezione che prende spunto dal Libro di Samuele, precisamente dall'episodio di David e Golia, risalgono al 2015 il primo, Israele e il libro, e al 2018 il secondo, Israele lo stato degli Ebrei. 
Assumiamo come punto di partenza del discorso il seguente: il mito prima e la storia sono gli alimenti della nostra memoria. Si parla infatti di memoria mitica e di memoria storica. Ogni civiltà, ogni nazione, ogni popolo ha una sua memoria mitica e una sua memoria storica. In qualche caso mito e storia si sono a un certo punto saldati, con la complicità di autori (poeti, narratori) che hanno obbedito a una vocazione interiore o a una richiesta politica: il caso culturalmente  a noi più vicino è quello del poeta latino del I secolo a. C., Virgilio, che con l'Eneide fortemente voluta da Ottaviano Augusto imperatore, ha realizzato un poema in cui il mito dei profughi Troiani fuggiti dalla loro città data alle fiamme dagli Achei si salda con quello dei Romani fondatori di una civiltà destinata a dominare il Mediterraneo. 
Nella contemporaneità sono gli studi geopolitici a mettere a fuoco quanto mito e storia ancora concorrano a alimentare e fondare rivendicazioni territoriali, per esempio, o a rinfocolare nazionalismi utili a ridisegnare, o confermare,  assetti politici. Il percorso odierno ci porterà quindi a rintracciare una connessione fra quanto si trova scritto nella Bibbia, il Libro  per gli Ebrei, e alcune problematiche contemporanee localizzate nell'area in cui si trova lo stato d'Israele. 
Si legge nell'editoriale di Limes/2015 intitolato Una giungla nella villa?:
Non tutte le storie hanno pari valore quando vengono brandite con le armi. La storia sacra è molto più uguale di ogni epica laica. C'è un solo spazio al mondo dove la sacralizzazione del passato può diventare l'arma assoluta del presente e la promessa del miglior futuro: la tradizione cristiana l'ha battezzato Terrasanta. Formidabile deposito materiale di simboli e memoriali cari alle religioni del Libro, come sommariamente usiamo definire ebraismo, cristianesimo, islam. Molta santità in pochissima terra. Qui religione e geopolitica, sacro e profano tendono a incrociarsi per fortificare pretese incompatibili. Ciò che altrove è mera disputa geopolitica vi assurge a precetto georeligioso. La causa della mia nazione è la causa del mio Dio. 
Se sulla proprietà di un ritaglio di terra si può negoziare, la Verità non è mediabile. Quando i fanatici si impossessano delle religioni a fini strategici, ogni vertenza diventa incomponibile. La parabola del conflitto arabo-israeliano, sempre meno sensibile al computo costi-benefici che sottende (ma non esaurisce) le dispute fra nazioni e sempre più involto nella contrapposizione di fede, conferma tale assioma. E' su questo punto che s'infrangono i labili sforzi delle diplomazie miranti allo scambio "terra contro pace": qui non esiste terra, ma solo Terra Sacra, incredibile per definizione. Nella guerra di religione non si danno scelte razionali. [...]
I primi ad annettere l'archeologia alla geopolitica in Terrasanta furono i britannici. Sotto gli auspici della regina Vittoria e la guida dell'arcivescovo di York, nel 1865 nacque il Palestine Exploration Fund (Pef). Al quale si deve il Survey of Western Palestine, repertorio di carte prodotto dall'ambiziosa indagine geografica che tra il 1871 e il 1877 portò a catalogare oltre diecimila toponimi arabi utili, quando considerati varianti di originarie denominazioni aramaiche o ebraiche, a identificare determinati luoghi biblici. In questa impresa archeologi, ingegneri, geologi e cartografi erano affiancati da militari, a conferma che a muoverla non era solo amor di conoscenza. Lo stesso arcivescovo di York, William Thomson, stabilì nel discorso con cui il 22 giugno volle inaugurare l'attività del Pef: "Questa Palestina appartiene a voi e a me, è molto specificatamente terra nostra. [...] Ci apprestiamo ad attraversare la Palestina in lungo e in largo, perché ci è stata assegnata la responsabilità di questa terra". L'editoriale prosegue con una cronistoria che conduce a ricostruire un vertiginoso aumento di ricerche di stampo affine a quello sopra descritto condotte dai britannici ma anche dai tedeschi (la Società imperiale ortodossa di Palestina, sorta nel 1882). Quasi nessun interesse veniva rivolto alle persone che abitavano la Terrasacra: in maggioranza arabi musulmani o cristiani, pochissimi ebrei. Per il sionismo militante, anche se laico, la legittimazione religiosa a fondare lo stato di Israele, nome conferito per volontà divina al patriarca Giacobbe (Genesi, 32,29) era ed è un apriori, come scriveva chiaramente il fondatore del movimento sionista Theodor Herzl: noi ci riconosciamo come nazione per mezzo della fede. Rivendicare radici tanto profonde, certificate nei testi e nelle tradizioni bibliche, nella Torah, è per la repubblica d'Israele una strategia geopolitica.

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