TERSITE IL DEMAGOGO
Per parlarvi di Tersite, questo personaggio ridicolo e patetico dell'Iliade, mi ricollego a quanto ho detto nell'audiolezione su Foucault. Ho parlato di dire il vero, di come sia fondamentale che ci sia qualcuno che sa, ha il coraggio di dire il vero. E costui deve anche avere come interlocutore qualcuno disposto ad ascoltare il vero. Bene, ecco, Tersite è un personaggio che può essere esaminato alla luce di questa esigenza. Prima occupiamoci di quello che dice: Tersite accusa Agamennone di essere un vanaglorioso, di credere di essere il migliore dei Greci perché gli è stata affidato il compito di guidare la missione di conquista. Agamennone, possiede quella che la collettività riconosce come areté, virtù. E' un aristos, un migliore, uno dei migliori, e poi è il capo. E cosa fa Tersite: di fronte a tutti, in un'assemblea di aristoi, tra i quali appunto Agammenone è il capo, si mette a parlare a vanvera, dice il poeta, grida, si contorce, fa smorfie, come una specie di buffone, dalla cui bocca può uscire di tutto, qualsiasi contumelia, qualsiasi accusa. Agamennone non si cura dei validi condottieri che guida, pensa solo a prendere la parte migliore del bottino e, culmine dell'accusa infamante, vuole solo far l'amore con giovani fanciulle. Tersite non risparmia nella sua invettiva nemmeno Achille, che pure sembra, per un momento, onorare per lo meno come guerriero. Achille non ha reagito all'affronto di Agamennone, alla fin fine è una femminuccia come gli altri Greci, che temono solamente l'autorità di Agamennone. Tersite, con la sua deformità e il suo modo di parlare offende tutti: è come il buffone di certe opere teatrali, supera i confini di ciò che è lecito, può anche essere dica qualcosa che frulla nelle mente di altri tra i presenti, che però non si sentirebbero mai autorizzati a parlare. Lo fa Tersite per loro? Il poeta antico, o quella coralità di popolo da cui è stata concepita e poi scritta l'Iliade, non ce lo dice, e si aprono per noi meravigliosi territori d'interpretazione. Tersite viene poi bastonato impietosamente da Ulisse, non prima di essere stato verbalmente redarguito e preparato alla punizione. Questa, mentre si svolge e dopo essersi svolta, riconduce il personaggio che per un poco ha occupato la scena in un cono d'ombra, abbattuto, umiliato, piangente. Non suscita compassione, ma commenti feroci, compiacimento. Ha tentato, Tersite, di portare scompiglio e disordine, mettendo in discussione l'autorità di Agamennone: ma se c'è qualcuno che può mettere in discussione un'autorità, questo è soltanto il dio. Il dio colpisce Agamennone quando lui si rifiuta di restituire Criseide. Ma Tersite non è legittimato da nessuno, non può permettersi di parlare male e a punirlo, non a caso, è un re, il figlio di Laerte, Ulisse, un altro aristos.
Alla fine della scena, non so noi, ma certo lo spirito collettivo che qui si è espresso, prova una certa soddisfazione: sono state dette parole forti che, se fossero vere, ossia se venissero riconosciute come tali, dagli ascoltatori, e contemporaneamente godessero dell'autorevolezza di chi le ha pronunciate, potrebbero sovverire l'ordine. Se a parlare di Agamennone nei termini di un capo che non merita rispetto, perché lui per primo non ne nutre nei confronti di chi gli è affidato, fosse un portatore di verità, fosse un soggetto autorizzato alla parresìa di cui dice Foucault, chissà cosa accadrebbe. Nel mondo dell'Iliade, possiamo arrivare a dire, i Tersite (che trasformiamo così in una categoria che va di là dai confini del singolo personaggio) sono lasciati parlare, si può venire anche sfiorati dall'idea che dicano qualcosa di vero, ma poi, dato che ricade su di loro il ludibrio collettivo, si capisce che sono solo dei ciarlatani. Ora mi ricollego all'audio lezione e concludo il mio intervento su questo tema: da una parte ci sono quelli che si possono permettere un accesso alla verità, perché si muovono nelle profondità, posseggono l'autorizzazione a parlare a dire il vero e per questo meritano di essere ascoltati.
Dal'altra ci sono quelli che confondono le idee. Quelli che parlano solo animati da spirito di vendetta o d'invidia, o chissà che altro. E costoro, ci suggerisce il testo omerico, vengono puniti, rimessi al loro posto e tutto torna come prima.
No. Adesso vi chiedo di fare uno sforzo interpretativo e un salto nella contemporaneità, che ci può aiutare nel momento che stiamo vivendo.
Non è vero che tutto torna come prima. Tersite, anche lui, il gobbo, guercio, con la testa a punta, pelato, Tersite, ha svolto una funzione che io vi chiedo di riconoscere insieme a me.
Ha parlato di qualcosa di vero. L'ha detto male, l'ha detto senza essere autorizzato, l'ha detto senza coraggio perché poi piange quando viene castigato e questo, da parte sua, è un umano segno di viltà.
Ha detto che le guerre si fanno per ottenere oro. Ha detto che quelli che comandano pensano molto a se stessi e poco agli altri. Ha detto che tutti quelli che lasciano fare sono dei vili. Ha detto cose vere, ma male, eppure il poeta o i poeti o il popolo che ci parla attraverso il tempo nei versi che attribuiamo a Omero gli hanno dato la parola.
Quindi, concludo davvero: la parresia di Tersite è una la verità che si guarda di fronte a uno specchio che deforma ma non occulta del tutto. Di quali lenti dobbiamo servirci, a questo punto, per non farci ingannare?
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