VERSIONE IN PROSA MERCOLEDI' 25 MARZO

Come per la volta scorsa, leggere attentamente dal nostro libro di testo pp. 126-128 (testo, note, percorso di lettura). Quindi effettuare versione in prosa della traduzione di Monti:
 Queto s’asside
Ciascheduno al suo posto: il sol Tersite
Di gracchiar non si resta, e fa tumulto275
Parlator petulante. Avea costui
Di scurrili indigeste diceríe
Pieno il cerébro, e fuor di tempo, e senza
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O ritegno o pudor le vomitava
Contro i re tutti; e quanto a destar riso280
Infra gli Achivi gli venía sul labbro,
Tanto il protervo beffator dicea.
Non venne a Troia di costui più brutto
Ceffo; era guercio e zoppo, e di contratta
Gran gobba al petto; aguzzo il capo, e sparso285
Di raro pelo. Capital nemico
Del Pelíde e d’Ulisse, ei li solea
Morder rabbioso: e schiamazzando allora
Colla stridula voce lacerava
Anche il duce supremo Agamennóne,290
Sì che tutti di sdegno e di corruccio
Fremean; ma il tristo ognor più forti alzava
Le rampogne e gridava: E di che dunque
Ti lagni, Atride? che ti manca? Hai pieni
Di bronzo i padiglioni e di donzelle,295
Delle vinte città spoglie prescelte
E da noi date a te primiero. O forse
Pur d’auro hai fame, e qualche Teucro aspetti
Che d’Ilio uscito lo ti rechi al piede,
Prezzo del figlio da me preso in guerra,300
Da me medesmo, o da qualch’altro Acheo?
O cerchi schiava giovinetta a cui
Mescolarti in amore alla spartita?
Eh via, che a sommo imperador non lice
Scandalo farsi de’ minori. Oh vili,305
Oh infami, oh Achive, non Achei! Facciamo
Vela una volta; e qui costui si lasci
Qui lui solo a smaltir la sua ricchezza,
Onde a prova conosca se l’aita
Gli è buona o no delle nostr’armi. E dianzi310
Nol vedemmo pur noi questo superbo
Ad Achille, a un guerrier che sì l’avanza
[p. 37 modifica]
Di fortezza, far onta? E dell’offeso
Non si tien egli la rapita schiava?
Ma se d’Achille il cor di generosa315
Bile avvampasse, e un indolente vile
Non si fosse egli pur, questo saría
Stato l’estremo de’ tuoi torti, Atride.
   Così contra il supremo Agamennóne
Impazzava Tersite. Gli fu sopra320
Repente il figlio di Laerte, e torvo
Guatandolo gridò: Fine alle tue
Faconde ingiurie, ciarlator Tersite.
E tu sendo il peggior di quanti a Troia
Con gli Atridi passâr, tu audace e solo325
Non dar di cozzo ai re, nè rimenarli
Su quella lingua con villane aringhe,
Nè del ritorno t’impacciar, chè il fine
Di queste cose al nostro sguardo è oscuro,
Nè sappiam se felice o sventurato330
Questo ritorno rïuscir ne debba.
Ma di tue contumelie al sommo Atride
So ben io lo perchè: donato il vedi
Di molti doni dagli achivi eroi,
Per ciò ti sbracci a maledirlo. Or io335
Cosa dirotti che vedrai compiuta.
Se com’oggi insanir più ti ritrovo,
Caschimi il capo dalle spalle, e detto
Di Telemaco il padre io più non sia,
Mai più, se non t’afferro, e delle vesti340
Tutto nudo, da questo almo consesso
Non ti caccio malconcio e piangoloso.
   Sì dicendo, le terga gli percuote
Con lo scettro e le spalle. Si contorce
E lágrima dirotto il manigoldo345
Dell’aureo scettro al tempestar, che tutta
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Gli fa la schiena rubiconda; ond’egli
Di dolor macerato e di paura
S’assise, e obbliquo riguardando intorno
Col dosso della man si terse il pianto.350
Rallegrò quella vista i mesti Achivi,
E surse in mezzo alla tristezza il riso;
E fu chi vôlto al suo vicin dicea:
   Molte in vero d’Ulisse opre vedemmo
Eccellenti e di guerra e di consiglio,355
Ma questa volta fra gli Achei, per dio!
Fe’ la più bella delle belle imprese,
Frenando l’abbaiar di questo cane
Dileggiator. Che sì, che all’arrogante
Passò la frega di dar morso ai regi!

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