RIELABORAZIONI DEL MATERIALE PROPOSTO IL 18 GENNAIO - 9 saggi brevi

 1) Virginia, Tommaso

LUCREZIO

Illud in his rebus vereor, ne forte rearis impia te rationis inire elementa viamque indugredi sceleris (ho paura che dalle mie parole si possa pensare che ti voglia introdurre ai principî di una filosofia empia, additare una via delittuosa). Così recitano i versi dall’80 all’82 del proemio dell’opera De rerum natura composta da Lucrezio, poeta latino del I secolo a.C. La scelta di scrivere il De rerum natura è doppiamente coraggiosa da parte sua: innanzitutto perché il popolo romano era mal disposto nei confronti di una filosofia che, come quella epicurea, sosteneva il disinteresse delle divinità nei confronti delle faccende umane, e in secondo luogo perché  Lucrezio ha scritto in poesia ciò che il suo fondatore Epicuro non avrebbe mai voluto rendere in versi, visto il giudizio negativo nei confronti della poesia, ritenuta attività distraente e fuorviante per l'intelletto. 

La teoria epicurea prevede che nulla si crei, nulla si distrugga ma tutto si trasformi. Secondo il filosofo del IV secolo a.C., tutto ciò che ci circonda è formato dall’unione di atomi: particelle indivisibili che detengono il primato della leggerezza.
E’ proprio della leggerezza che Calvino, nella sua prima Lezione Americana, sostiene le ragioni. La leggerezza per lui è un valore, e lo dimostra attraverso alcune scoperte del mondo contemporaneo, sottolineando come esso si regga su entità sottilissime come i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni e i quarks. Sempre nel saggio dedicato alla leggerezza, Calvino scrive di Lucrezio come di colui che ha approfittato della filosofia epicurea per spiegare la cosmologia e il principio dell'in creazione, il quale sostiene che nulla nasca dal nulla. 

Una delle poche notizie inerenti alla vita di Lucrezio si trova nel Chronicon di San Girolamo (347-320 d.C.), nel quale si fa riferimento alla pazzia del poeta, scatenata da una pozione amorosa (poculo amatorio) e al fatto che avrebbe scritto il De rerum natura nei momenti di stabilità mentale, per poi suicidarsi all’età di 43 anni, nel 55 o 54 a. C. Questo poema è diviso in sei libri scritti in esametri e riprende l’opera più importante di Epicuro, intitolata Perì physeos. 

Il De rerum natura è la prima grande composizione poetica che sostiene che la conoscenza del mondo sia la percezione di ciò che è infinitamente minuto, mobile e leggero, ovvero gli atomi, indivisibili e eterni, che compongono l'intero esistente

L’opera è articolata in  tre gruppi di due libri ciascuno (diadi), che passano dall’infinitesimale al cosmico: atomi (fisica) I e II; uomo (antropologia) III  e IV, fenomeni cosmici (cosmologia) V e VI. Una  opposizione  racchiude poi l’intero poema, che però potrebbe non essere stato concluso dal suo autore: all’inizio la nascita della dea Venere, il diffondersi della primavera nel mondo, alla fine l’apocalittica rappresentazione della terribile peste di Atene del 430 a. C. (già ricostruita dallo storico Tucidide nel IV secolo), con cui il poema si chiude bruscamente. Sono rispettivamente il principio di aggregazione, intendibile anche come principio del piacere, e il principio di distruzione, di disgregazione e morte.

Infine, possiamo dire che Lucrezio scrive il De rerum natura facendo sua la concezione epicurea della creazione del mondo; servendosi della poesia, quindi della prerogativa del poiéin che spetta ai poeti, presenta in versi la formazione dell'esistente, percepita come aggregazione di atomi, particelle leggerissime, che danno origine a una materia consistente. Nella scrittura di Lucrezio sono le parole a compiere questa operazione di aggregazione, facendo così, anche della poesia del poeta latino, un omaggio alla leggerezza. 

2) Ettore, Federico

Il cosmo è un sistema in perenne movimento e cambiamento: un flusso incessante di atomi lo costituisce, particelle indivisibili e eterne che si uniscono a formare l'esistente, da parte sua destinato invece a morire (dissolvendosi nuovamente), prima o poi, macroscopico compreso. Come in un concatenato ossimoro, le componenti più minute e eterne replicano all'infinito forme di vita destinate alla morte. In effetti gli atomi, anche in base alla conoscenza scientifica attuale, sono definibili come strutture elementari provviste di un peso infinitesimale: secondo la teoria epicurea essi, una volta aggregatisi grazie al loro movimento continuo e al clinàmen, giungono a dare consistenza a ciò che di più pesante vi sia: la materia, nelle sue varie espressioni Come rileva Calvino nella sua lezione americana destinata a omaggiare la leggerezza, al concetto di cui essa è portatrice è spesso stato attribuito un valore negativo, inerente alla superficialità e all'assenza di valore di ciò che non ha peso.  Viceversa, nel poema lucreziano, è proprio la leggerezza a trionfare nell'universo, come costituente ineludibile di esso.

Il filosofo Epicuro, noto per la sua visione materialista e la sua teoria sugli atomi, sostiene che essi costituiscono tutto ciò che esiste. La formazione del cosmo è il prodotto dell’aggregazione e della disgregazione degli atomi che, potendosi muovere, si scontrano e s'incontrano con atomi circostanti, dando origine a nuove e infinite sostanze, per poi disaggregarsi determinandone la fine o la morte. Da un’entità infinitamente piccola possono quindi nascere sostanze infinitamente grandi e complesse, costituite da combinazioni tra atomi.  

L’unione e la separazione delle particelle è resa possibile dal solo movimento, il quale può esistere se e solo se, oltre all’essere, è presente anche un non-essere, un suo contrario che è il vuoto. Il risultato di questo sovrapporsi di invisibilità è una materia ribollente, solida, il quale dà luogo a tutto il visibile, e tangibile, nonché al pensabile. Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si modifica, è appunto l'espressione che meglio sintetizza la visione materialista di Epicuro.  

Sempre Calvino nella sua prima lezione americana afferma di voler concentrare le sue energie nel dimostrare che la leggerezza ha tanto valore quanto la pesantezza.  A tale scopo ragiona sul metodo compositivo lucreziano, dimostrando come abbia tolto peso alle figure umane, ai corpi celesti e a tutte quelle strutture che sono caratterizzate da un senso di consistenza, poiché vuole provare che alla base di esse non vi sono che innumerevoli particelle infinitamente piccole che le costituiscono Calvino insomma ribadisce che dietro alle macrostrutture ci sono sempre delle microsostanze che le compongono, non di inferiore importanza. Gli atomi, le particelle costituenti i grandi organismi, rappresentano la forma, l’essenza del prodotto finale. In un organismo vitale, come può essere il corpo umano, la leggerezza si manifesta grandiosamente nelle minuscole cellule che lo formano, che gli consentono la vita. In Lucrezio, infine, a essere leggere nel senso valorizzato da Calvino sono anche le parole prescelte per rendere poetico un tema pesante come quello filosofico, nonché lo stile di cui si serve per realizzare il risultato di tradurre in poesia la descrizione del cosmo e dell'essere umano. 

Le informazioni biografiche inerenti a Lucrezio sono scarne e sospette di tendenziosità: il cronachista San Girolamo, vissuto tra il 347-420 d.C., oltre a indicarne un'approssimativa data di morte (55 o 54 a. C., ma si suggeriscono anche altre date) fa riferimento a uno stato di alterazione mentale causato da un pozione amorosa, che avrebbe condotto al suicidio il poeta, occupato a scrivere nei momenti di assenza di disagio psichico. Senza alcun dubbio la ricostruzione di San Girolamo è inficiata dal pregiudizio negativo nei cristiani nei confronti dell'opera del poeta latino, materialista e ateo, quindi diseducativo secondo i precetti di questa religione. Alcuni critici contemporanei hanno voluto ravvisare nella leggenda propagandistica promossa da Girolamo la traccia di un effettivo disagio psichico, una forma di depressione bipolare del poeta che giustificherebbe oscillazioni, riconoscibili all'interno del De rerum natura, tra ottimismo e pessimismo.  

Il De rerum natura è un poema in esametri, composto da sei libri, forse incompleto. Il titolo riprende direttamente quello dell'opera più importante scritta da Epicuro, ovvero Perì physeos. Possibile che la stesura risalga al biennio 58-59, caratterizzato, dal punto di vista socio-politico romano, da un grande disordine. Per risalire a questa informazione, si può far riferimento ad una dichiarazione di Lucrezio all’interno del libro I, nella parte proemiale, in cui sostiene di non poter venir meno alla cura del bene comune in un periodo così tanto complicato per la sua patria.  Il dedicatario dell’opera è Memmio, un aristocratico, che fu amico e patrono di Catullo. Il De rerum natura si suddivide in tre diversi gruppi da due libri ciascuno, denominati diadi. All’interno dell’opera complessiva, l’iter che il poeta descrive è il passaggio da infinitesimale (ovvero gli atomi e la fisica microscopica) descritto nei libri I e II, alla descrizione dell’uomo nei libri III e IV, e infine la descrizione dei fenomeni cosmici negli ultimi due libri.  


3) Sara, Filippo M.

La filosofia epicurea, all'epoca di Lucrezio, ovvero a metà del I secolo a. C., non era molto diffusa né ben vista a Roma, dove prevaleva la religiosità tradizionale, nella sua forma di instrumentum regni, finalizzata alle cerimonie pubbliche e al consolidamento dell'unità sociale, alla quale era comunque essenziale la paura degli dei. Quanto alle scuole filosofiche, che rientravano nel bagaglio culturale degli aristocratici e dei ceti abbienti, un posto privilegiato deteneva quella stoica, più confacente alla mentalità romana e al suo ordinamento politico. Coraggiosa fu quindi la decisione di Lucrezio, che si sentiva un spirito affine a Epicuro, di proporne la filosofia in un contesto avverso.

A sopperire alla scarsità di notizie biografiche sul poeta, è stata tramandata nel tempo una notizia redatta da San Girolamo, teologo cristiano, che si riferisce a Lucrezio nel suo Chronicon, risalente al 347-420 d.C., dove fa riferimento alla pazzia che avrebbe colto il poeta, nato al principio del I secolo a. C., per aver bevuto un filtro d’amore, e al fatto che, negli intervalli concessigli dallo stato di alterazione, avrebbe scritto il De rerum natura, che Cicerone si sarebbe poi curato di rivedere, per suicidarsi infine all’età di 43 anni, all'incirca a meta del medesimo secolo.  Probabile che la notizia della follia di Lucrezio sia stata frutto di un’elaborazione avvenuta in età cristiana, nel corso del IV secolo, funzionale a screditare Lucrezio per la sua polemica antireligiosa. 

Lucrezio, per elaborare il poema in questione, scritto in esametri, in sei libri, per un totale di 7415 esametri, si ispira e riprende fedelmente il titolo dell’opera Perì physeos, in 37 libri, probabilmente non ultimato, scritto dall'ideatore della filosofia epicurea: Epicuro. Filosofo greco vissuto nel IV secolo a.C., fondò una scuola chiamata "giardino" ad Atene dove insegnò a persone di ogni estrazione sociale, compresi schiavi e donne. Il tema principale della sua filosofia era la ricerca della felicità e l'etica era al centro del suo insegnamento. La conoscenza della natura era considerata fondamentale per liberare la mente dalle credenze indotte dalla religione tradizionale. Epicuro, attraverso il tetrafarmaco, sosteneva che non ci fosse bisogno di avere paura degli dei o della morte e che il piacere fosse facile da procurarsi e il dolore facile da sopportare. Egli distingueva i piaceri in naturali e necessari, naturali ma non necessari, infine non naturali e non necessari. Per quanto riguarda la logica, sosteneva che l'empirismo fosse un metodo affidabile perché le sensazioni sono determinate dal contatto materiale tra l'oggetto e l'osservatore.  

La sua teoria della fisica si basa su quella di Democrito, secondo cui l'universo è infinito e eterno, composto da materia infinita, ovvero gli atomi, e vuoto illimitato; nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, si aggrega e si disgrega continuamente per formare la materia visibile e tangibile. Gli elementi indivisibili della materia sono appunto gli atomi, che si incontrano e si uniscono a causa del clinàmen, un movimento spontaneo che li fa deviare imprevedibilmente dalla linea retta in cui si stavano muovendo. Esso è anche un principio etico, poiché spiega la libertà del volere umano e libera le azioni umane dal rigido determinismo. 

Epicuro, dunque, concepisce, rendendoli pilastri della fisica e dell'antropologia filosofica, il principio di aggregazione, intendibile anche come principio del piacere, e il principio di distruzione, ossia di disgregazione e morte, ripresi e delineati poeticamente nel De rerum natura di Lucrezio fin all'iniziale inno a Venere (31-37): 

Nam tu sola potes tranquilla pace iuvare 

mortalis, quoniam belli fera moenera Mavors 

armipotens regit, in gremium qui saepe tuum se 

reicit aeterno devictus vulnere amoris, 

atque ita suspiciens tereti cervice reposta 

pascit amore avidos inhians in te, dea, visus, 

eque tuo pendet resupini spiritus ore. 

 

Infatti solo tu puoi donare ai mortali la pace, 

perché a detenere il controllo delle opere distruttrici del mondo 

è il bellicoso Marte, che spesso si abbandona nel tuo grembo, 

vinto dall’eterna ferita d’amore, e così, col capo reclinato, 

pasce d’amore i suoi sguardi, anelando a te, o dea, 

e il respiro del dio è sospeso alla tua bocca. 

 

Il principio del lepos è, nell’inno a Venere, dominante: designa la brama sensuale, la voluptas, la forza vitale, ma è anche una qualità formale che Lucrezio rivendica per la sua opera. Il termine lepos si riferisce al fascino che possiede Venere, la dea dell'amore, e che rappresenta anche un potente strumento per attrarre il lettore. Analogamente, la parola suavis (dolci) è utilizzata per descrivere come Venere debba convincere Marte, il dio della guerra, a garantire la pace tra gli esseri umani nei versi successivi al 37. Essa è una parola chiave nel lessico lucreziano ispirato all'epicureismo, poiché richiama il greco hedys e evoca il sommo bene di Epicuro, il piacere.  Il vitalismo e il principio del piacere descrivono il modo in cui l'epicureismo concepisce la vita, cioè come una ricerca del piacere, mentre i loro opposti rappresentano la distruzione e il principio della morte. Questo concetto si riflette anche nel mondo fisico, dove la materia, costituita da atomi, è soggetta alle leggi dell'aggregazione e della separazione. 

L'esistenza degli atomi, però, non può essere dimostrata attraverso i sensi, poiché le manifestazioni sensoriali avvengono per via d'aggregazione di atomi sottilissimi, che non raggiungono la visibilità nemmeno in questa circostanza. Tuttavia, Lucrezio sostiene che l'esperienza e l'induzione possano essere utilizzate per persuaderci della loro presenza. Offre una serie di esempi come il vento, l'odore, le sensazioni di caldo e freddo, umidità e secchezza, riguardo alle quali scrive che siano tutti fenomeni causati da atomi in movimento che, pur non essendo visibili, svolgono un compito e hanno un effetto nella realtà. 

Particolarmente rilevante è, dunque, la questione della leggerezza all'interno di tale rappresentazione atomistica della realtà. Questi corpuscoli infinitesimali sono caratterizzati dal fatto di essere invisibili, dunque sono il massimo della leggerezza che si possa immaginare, ma, nonostante questo, è sufficiente che essi si aggreghino per creare la materia: l’invisibile, dunque, dà come esito il visibile.

Siccome forma (lingua della poesia) e contenuto (concezioni epicuree) procedono appaiati, Lucrezio scrive in versi i contenuti di una dottrina avversa alla poesia, in quanto Epicuro sostiene che essa non debba essere praticata, poiché fuorviante. Nella scrittura sono le parole a compiere l’operazione, che quindi è intrisa di leggerezza, così come nell’universo essa è un elemento portante. Forma e contenuto danno luogo allo stile e questa operazione è in sé un omaggio alla leggerezza, considerata da Calvino, nella sua prima lezione americana dedicata all’opposizione leggerezza-peso, come un tema di cui si può (e ne vale la pena) maggiormente parlare rispetto al peso. 


4) Francesco

Nel Chronicon di San Girolamo, risalente al 347-420 d.C., è riportata una scarna notizia relativa alla vita di Lucrezio, svoltasi all'incirca in un arco di 45 anni, fra il 96 a.C. e il 51 a.C., ma da qualcuno retrodatata o postdatata: il poeta è dipinto come un infermo di mente, caduto nella follia a causa di una pozione amorosa; durante i periodi di tregua concessigli da questa condizione d'insania, avrebbe scritto il De rerum natura, per poi porre fine alla vita suicidandosi. Riconoscibile, in questa notizia, l'impronta di una malevolenza prevedibile da parte cristiana nei suoi confronti, vista la natura materialista e atea della filosofia che il suo poema si propone di divulgare.

Calvino, nella lezione americana dedicata alla leggerezza, riconosce quella che per lui rappresenta una qualità importante della scrittura, appunto la leggerezza, nello stile di Lucrezio. Si tratta addirittura di un valore, prima ancora che un tratto stilistico, già riscontrabile nel mondo contemporaneo. In questo intendimento originale, essa coincide infatti con l’infinitesimale, ovvero ciò che è piccolissimo, come ad esempio i bit, o i neutrini che vagano nello spazio. In Lucrezio tale infinitesimale prende la forma, che coincide anche con il contenuto del poema, della rappresentazione atomistica. In essa l’universo è concepito sulla base delle teorie di Epicuro, secondo il quale in un vuoto immenso si muovono piccoli corpuscoli invisibili, chiamati atomi. A seguito dell’aggregazione di questi ultimi, da tale invisibilità sortisce la materia, ovvero ciò che è visibile. Il massimo valore della leggerezza che una persona possa concepire (la particella definita atomo, indivisibile e eterna) dà luogo, quando si aggrega ad altre particelle simili, a una sostanza, che può essere enorme come una stella o a sua volta piccola come un essere umano o un insetto. Quindi Lucrezio, con la lingua della poesia, ovvero attraverso la forma, fa quel che avviene nella formazione dell’universo, in cui l’atomo invisibile, quando si aggrega, dà luogo alla materia: nella scrittura sono le parole a compiere l’operazione, quindi essa è intrisa di leggerezza, così come quest’ultima nell’universo è un elemento portante. Utilizzando le parole di Calvino, il De rerum natura di Lucrezio è la prima grande opera di poesia in cui la conoscenza del mondo diventa dissoluzione della compattezza del mondo, percezione di ciò che è infinitamente minuto e mobile e leggero.

Passando ora a una descrizione strutturale del De rerum natura, esso è un poema in esametri, in sei libri, probabilmente non finito, che riprende fedelmente il titolo dell’opera più importante di Epicuro, Perì physeos, diviso invece in 37 libri. L’opera è dedicata a Memmio, un aristocratico che fu amico e patrono di Catullo. Nel I libro, citando Memmio, il poeta dichiara di non voler promuovere il venir meno alla cura del bene comune in un periodo tanto difficile per la patria, poiché ricco di disordini, inserendo quindi un riferimento, utile alla definizione della cronologia dell'opera, alla contemporaneità.

In armonia con il pensiero epicureo, l’autore mira a liberare gli uomini dagli affanni e dai problemi esistenziali attraverso la promozione di questa filosofia che trasmette un messaggio razionale, per ciò stesso liberatorio rispetto alle paure irrazionali: la religione, sotto questo profilo, altro non è che una forma di superstizione, che incoraggia gli esseri umani a commettere atti infami, invece di incoraggiare una presa di coscienza di ciò che è, di come il mondo sia, e di come si sviluppino le vicende umane.


5) Filippo G. Elena

Lucrezio, poeta romano vissuto nel I secolo a.C., tratta nel suo poema De rerum natura la filosofia epicurea. Il suo ideatore, Epicuro, filosofo greco che ad Atene aveva istituito una scuola detta Kepos, il “giardino”,  propone una dottrina che permetterebbe a chiunque di raggiungere la felicità. La felicità epicurea va intesa come assenza di turbamenti. Per prima cosa, ad esempio, egli conduce un ragionamento (nel quale consiste il cosiddetto tetrafarmaco) funzionale a liberare gli esseri umani dal timore degli dei, della morte, del dolore e dell’impossibilità di ottenere il piacere. Per quanto riguarda gli dei, afferma che essi vivono negli intermundia, ovvero luoghi situati tra gli infiniti universi esistenti nella concezione epicurea, ed essendo perfetti non si interessano alle faccende umane. Per esorcizzare la paura della morte il ragionamento, sempre di stampo razionalistico e fondato sulla fisica, consiste nel sostenere che la morte sia un passaggio dallo stato di aggregazione dei corpi alla loro disgregazione, ossia da esistenza a inesistenza: ne consegue che quando c’è lei non ci siamo noi, è assente la sensibilità, quindi essa non è da temere, in quanto impercettibile. Il piacere, infine, non è da intendere come mero godimento, ma come soddisfacimento dei desideri. Questi ultimi vanno divisi in tre categorie: naturali e necessari (bere, dormire, mangiare), naturali ma non necessari (mangiare smodatamente e avere rapporti sessuali) e per ultimi quelli non naturali e non necessari (brama di potere e gloria, desiderio della fama). I primi vanno per definizione necessariamente soddisfatti, gli ultimi vanno evitati perché sono irrealizzabili per la maggior parte degli esseri umani, quindi condurranno verso un grandissimo turbamento dello spirito, e per i secondi sta a ognuno ricercare quelli che è in grado di soddisfare e rifuggire gli altri.

Per quanto riguarda la concezione cosmica, Epicuro riprende la visione atomistica di Democrito, che ipotizza che l’universo sia un vuoto nel quale infiniti enti primi indivisibili, detti atomi, si aggregano e disgregano, dando vita così alla nascita della materia, alla sua esistenza e alla sua morte. Epicuro però aggiunge del suo alla teoria, introducendo il concetto di clinàmen, ovvero una deviazione indeterminabile nel moto degli atomi che spiega l’improvvisa aggregazione dei suddetti enti. Questo concetto, trasposto sul piano morale, conferisce libertà di decisione all’essere umano, che così, come un atomo che cambia improvvisamente rotta, può cambiare il suo destino, permettendo agli esseri umani di sottrarsi a una logica rigidamente deterministica.

Scrivere questo poema è stato un atto di coraggio da parte di Lucrezio. L'organizzazione romana prevede il ricorso alla religio come instrumentum regni, ossia la strumentalizzazione della religione a esigenze di controllo della popolazione, ma anche di rinsaldamento della societas, per cui i cives si sentono uniti anche per via dei tributi riconosciuti e offerti alle divinità. I romani in ogni caso rifuggono la divinizzazione di chi è al potere, a causa della loro pessima esperienza nel periodo monarchico, in cui i re erano diventati dei tiranni. Malgrado ciò la religio e il potere sono molto connessi: ad esempio esiste la carica politica del pontefice massimo che, insieme alla carica del censore, contribuisce a tenere sotto controllo la moralità cittadina attraverso la paura degli dei. Quindi la sua polemica antireligiosa, riguardo il timore per il divino, che per la filosofia epicurea non esiste, lo rende un soggetto addirittura sovversivo per l’ordine costituito. Inoltre, sempre restando in tema di coraggio da parte del poeta nella scelta del suo soggetto, sceglie la veste poetica per divulgare una dottrina che considera negativamente la poesia, in quanto espressione d'irrazionalità. Lucrezio incontra quindi una certa resistenza a essere accolto non solo dai suoi contemporanei ma anche da parte degli studiosi cristiani che, considerando la sua posizione anti-religiosa, lo screditarono: a riprova di questo, la notizia biografica riportata da San Girolamo nel suo Chronicon (del V secolo d. C.), da cui risulta che Lucrezio fosse stato colpito da un filtro d’amore che l'avrebbe fatto impazzire, sicché il poema sarebbe stato composto nei periodi di tregua di questa condizione che lo avrebbe portato alla morte per suicidio negli anni 50 del I secolo a.C.

Il De rerum natura è un poema in esametri, in sei libri, per un totale di 7415 esametri. Probabilmente incompleto, riprende fedelmente il titolo dell’opera più importante di Epicuro, Perì physeos, in 37 libri. Il dedicatario è l’aristocratico Memmio, probabilmente colui che fu amico e patrono anche di Catullo. Per la datazione, ci si può affidare al fatto che il poeta nel I libro dichiari non si possa venir meno alla cura del bene comune in un periodo tanto difficile per la patria: si pensa quindi al 58-59, biennio di grandi disordini nei quali fu coinvolto, in quanto pretore nel 58, sicuramente anche Memmio. L’opera è articolata in  tre gruppi di due libri ciascuno (diadi), che passano dall’infinitesimale al cosmico: atomi (fisica) I e II; uomo (antropologia) III  e IV, fenomeni cosmici (cosmologia) V e VI. Una  opposizione  racchiude l’intero poema, pur considerando che potrebbe non essere stato concluso dal suo autore: all’inizio la nascita della dea venere, il diffondersi della primavera nel mondo, alla fine l’apocalittica rappresentazione della terribile peste di Atene del 430 a. C. (già narrata dallo storico Tucidide), con cui il poema si chiude, appunto, bruscamente. Sono rispettivamente il trionfo del principio di aggregazione, il principio del piacere, e del principio di distruzione, di disgregazione e morte.

Lucrezio tratta gli atomi, gli enti primi della realtà, l’infinitesimale e Calvino, nella sua prima lezione americana, dedicata alla leggerezza, identifica nel De rerum natura la prima grande opera poetica in cui la conoscenza del mondo diventa dissoluzione della compattezza del mondo, percezione di ciò che è infinitamente minuto e mobile e leggero. La leggerezza, spiega nella lezione, ha una cattiva fama, perché la si associa all’inconsistenza, ma per Calvino è un valore, già riscontrabile nel mondo contemporaneo: basti guardare a tutte le nuove tecnologie, nelle quali i piccolissimi e incorporei bit dei microchip controllo le enormi e pesantissime macchine.

Nella filosofia epicurea quando un atomo si aggrega con dei suoi simili dà vita alla materia, l’invisibile dà vita al visibile, così come nella scrittura le parole singole danno vita al poema: quindi le parole sono come gli atomi, pura leggerezza.


6) Eleonora Jacopo

Lucrezio, attraverso la scrittura della sua opera De rerum natura, si propone come obiettivo quello di contribuire a  una rivoluzione. Infatti, la sua è una scrittura coraggiosa, che propone e spiega, con numerose dimostrazioni, alla mentalità chiusa (nel senso di refrattaria a questo genere di spiegazioni) dei romani, una nuova concezione della realtà. La sua è, anche per quanto non solo,  una critica alla religione, che attraverso le divinità non riesce a spiegare l’origine del mondo e la nostra realtà. 

Il De rerum natura è un poema in esametri, composto da sei libri e probabilmente non finito, in cui Lucrezio, con molto rigore espone al pubblico romano in modo efficace la filosofia epicurea, come concezione scientifica dell’universo. Il suo intento può essere in contraddizione con i principi dello stesso Epicuro, in quanto ricorre alle stesse divinità per spiegare la realtà, utilizzando così la poesia e i miti, tanto disprezzati dal filosofo, poiché allontanano dalla comprensione del mondo. Nella sua opera, il poeta scioglie tutta la complessità e la compattezza dell’universo, alleggerendo il tutto. Attraverso i principi da lui esposti si arriva a comprendere l’immensità partendo da ciò che è infinitamente piccolo. Il tema della leggerezza viene ripreso e valorizzato da Calvino, il quale stabilisce un ponte temporale tra l’epoca di Lucrezio e la nostra, in entrambe le quali  tutto ciò ché percepiamo come grande, è in realtà formato da piccoli tasselli la cui conoscenza è indispensabile per arrivare a quella della nostra realtà. I tasselli nell’epicureismo, come per Democrito, sono gli atomi, invisibili,  infiniti e eterni corpuscoli che si agitano, e che attraverso il clinamen, un movimento spontaneo che ne provoca una deviazione, si combinano dando origine a ciò che ci circonda di solido, di tangibile di pensabile. Questo rappresenta per Lucrezio una fonte concettuale suggestiva a cui attingere. Il clinamen, rappresenta anche un principio etico, in quanto spiega la libertà della volontà umana e fa si che non dipenda dal destino. Il tema centrale di questa filosofia risulta essere la ricerca della felicità, raggiungibile solo liberando la mente delle paure indotte dalla religione. Non bisogna quindi temere gli dei, né la morte, né il dolore. Inoltre il piacere risulta essere facilmente raggiungibile, perseguendo solo ciò che risulta essere naturale e necessario, rappresentato soltanto dalle azioni di mangiare, bere e dormire.  L’epicureismo è quindi sintetizzato dall’affermazione per cui nulla si crea o si distrugge, ma tutto si trasforma; questa concezione rappresenta un ossimoro, in quanto accosta l’immenso e il visibile al minuscolo e all’invisibile. Molte intuizioni di questa dottrina filosofica furono confermate da ricerche scientifiche, soprattutto riguardanti la teoria dell’increazione, espressa da Lucrezio nel primo libro,  per cui nulla nasce mai dal nulla per volere divino. Il poeta fornisce diverse ipotesi che non accadono nella realtà, ma si verificherebbero se il principio sopra enunciato fosse valido, e che attraverso la dimostrazione per assurdo ne dimostra l’impossibilità. Il poeta latino aggiunge rispetto a Epicuro, il divinitus per volere divino, proprio per rimarcare la polemica nei confronti della  religione, invogliando i lettori a non avere paura degli dei. Lucrezio  passa ad esporre il secondo principio della fisica epicurea precisando il concetto di atomo;  afferma inoltre l’esistenza della materia e del vuoto. Quest’ultimo rappresenta una realtà intangibile e immateriale, che come un recipiente contiene la materia. È il vuoto che permette il movimento degli atomi. Lucrezio afferma in conclusione che solamente una forza straordinaria potrebbe distruggere gli atomi, alludendo alla fine del mondo. La principale critica alla tesi inerente al vuoto è  condotta da Aristotele, che nella Fisica spiega il movimento partendo da una concezione divina che per gli epicurei non era tollerabile, in quanto la spiegazione dei fenomeni fisici non doveva ricorrere alle divinità. Lucrezio passa quindi a spiegare il secondo principio della filosofia epicurea, per cui nulla ritorna al nulla, utilizzando il concetto di atomo. 

Il De rerum natura è dedicata all’aristocratico Memmio, forse  amico e patrono del poeta. Il tema centrale dell’opera risulta essere, come lo scopo della filosofia epicurea, la ricerca della felicità, facendo prevalere l’etica sui secondari scopi dell’insegnamento e della filosofia. Ma senza queste due ultime due arti la felicità risulterebbe essere irraggiungibile. I critici pensano che Lucrezio, attraverso la scrittura, volesse liberare anche se stesso, otre a tutti gli uomini, dalle paure. Inoltre, alcuni intravedono nelle varie parti dell'opera delle oscillazioni dell’umore del poeta, che va dal pessimismo all’ottimismo, e arrivano a sostenere un suo possibile stato di depressione bipolare. Tenendo conto della possibilità dell’incompletezza del poema, si può comunque vederlo delimitato  da un’opposizione:  è con la nascita della dea venere e l’immagine rassicurante del diffondersi della primavera nel mondo che si apre l’opera, in contrapposizione con la terribile immagine della peste di Atene che la conclude bruscamente.

Nell'inno a Venere, posto in apertura del De rerum natura, il poeta evoca quindi la divinità, tra l'altro, come ispiratrice dei suoi versi, sempre in considerazione della potenza vitalistica che la contraddistingue.

Nam tu sola potes tranquilla pace iuvare

mortalis, quoniam belli fera moenera Mavors

armipotens regit, in gremium qui saepe tuum se

reicit aeterno devictus vulnere amoris,

atque ita suspiciens tereti cervice reposta

pascit amore avidos inhians in te, dea, visus,

eque tuo pendet resupini spiritus ore.

 

L’invocazione personale di Lucrezio viene condotta  attraverso una similitudine che richiama la vis con cui Venere anima la natura, la medesima che può essere alleata nello scrivere versi. Il suo potentissimo fascino, il suo lepos,  attrae come una calamita il lettore, persuaso anche dai suoi versi suavis, dolci. Questa ultima parola richiama chiaramente  l’epicureismo e la sua teoria del sommo bene, il piacere. Nei versi è poi presente  anche Marte, legato nell’immagine poetica al principio di morte, di distruzione, che abbraccia il principio di unione, Venere. Il poeta latino, con una al contempo delicata e potente immagine d'amore,  inserisce così una personale richiesta di pace, che consenta a chi voglia conoscere la verità di dedicarsi allo studio, rimanendo nell'ambito dell’osservanza di quanto previsto dal mos.

7)  Alberto Lisa 

Nulla nasce dal nulla. Nulla ritorna al nulla. Incredibile deduzione fuori dal tempo, fatta dagli epicurei in un’epoca antecedente al microscopio e alle scoperte nell’ambito delle particelle atomiche. Secondo la loro concezione l’atomo, a-tomos ossia quello che non può essere tagliato perché troppo piccolo, espressione di leggerezza assoluta, leggerezza in sé, ha un ruolo fondamentale nella composizione dell’Universo poiché, aggregandosi con altre particelle dello stesso tipo, dà vita a ogni cosa. Questo sostiene la fisica epicurea, che nella sua parte morale, con il medesimo piglio razionale, che porta dall'osservazione di ciò che è e a risalire ai fondamentali costitutivi, si prefigge lo scopo di aiutare gli uomini al raggiungimento della felicità. Primo passo, quindi, di questo percorso è assecondare i piaceri suggeriti come tali dal nostro essere umani. Innanzitutto quelli naturali e necessari e in secondo luogo quelli naturali e non necessari. Un secondo passaggio, che favorisce il raggiungimento di una pace interiore, consiste nel liberare gli uomini dal timor degli dei. Una paura ancestrale e profonda, difficile da sgominare se non ricorrendo a argomenti rigorosamente razionali. Gli epicurei osano tra l'altro affermare che le divinità, risiedenti nell’inframundia, siano, in quanto perfette e eterne, incuranti delle faccende umane. 

L’epicureismo è una dottrina filosofica sviluppatasi in Grecia intorno al V secolo a. C., diffusasi in area ellenistica arrivando prima a lambire, all'epoca di Lucrezio, e poi a conquistare, negli ultimi anni del I secolo a. C., anche Roma. Innegabile il contributo di Lucrezio alla sua prima, timida, diffusione, che dovette vincere non poche resistenze. Lucrezio riesce a mettere in atto nella letteratura un procedimento simile a quello che, secondo gli epicurei, opera nella formazione dell’Universo. Pensieri che diventano parole e parole che si aggregano a comporre versi, in cui limpidamente si esprimono concetti. L'operato della leggerezza, alla quale Calvino nell'omonima lezione americana dedica un intero capitolo che è anche un omaggio a Lucrezio, si manifesta così.  

L’idea di unità infinitesimali che si uniscono per formare il mondo è così fertile per il poeta, da consentirgli di compiere l’impresa di conciliare la letteratura latina con un pensiero greco a lei distante, in quanto prossimo all’ateismo e meramente scientifico, anzi, addirittura esplicitamente contrario alla poesia. Senza contare la coraggiosa scelta, molto fuori dal tempo, di intraprendere una polemica antireligiosa. Questo causerà sgomento nel popolo romano, solito a strumentalizzare la paura degli dèi al fine di mantenere la stabilità organizzativa politica (religio instrumentum regni). Infatti, più volte nella storia dell’Impero romano vediamo personaggi, come il pontefice massimo, utilizzare le intimorenti figure divine per mantenere sotto controllo la moralità cittadina.  

Questa decisione creerà a Lucrezio anche oppositori in epoca cristiana. Non a caso il Chronicon di San Girolamo, la principale fonte che abbiamo sull’autore, è a dir poco screditante e lo dipinge come un folle bipolare (per dirla con un lessico moderno), vittima di una pozione d’amore, che si suicida verso il 52 a.C..  

Nel suo De rerum natura, composto da sei libri in esametri, divisi in gruppi da tre, Lucrezio decompone per così dire l’unità dell'esistente, soffermandosi su cosa vi sia alla base di esso, ovvero quanto di più piccolo, mobile e leggero si possa concepire. Parte infatti dalla trattazione degli atomi, per poi passare all’antropologia, fino ad arrivare ai macroscopici fenomeni cosmici. L’opera racchiude in sé il principio di aggregazione e quello di disgregazione che, rispettivamente, aprono e chiudono lo scritto.  Il primo tra i due, associato a vitalità e piacere, trionfa nell’Inno a Venere dell’apertura. La dea dell'amore reca con sé il lepos, principio fertile, sensuale, capace di compiere la fondamentale azione di ammaliare il lettore. In questa parte iniziale dell’opera viene raffigurata dapprima la sua e poi la potenza della sua presenza, che summittit flores, fa nascere i fiori e accompagna l’arrivo della Primavera. Poi il suo intenso abbraccio con Marte, divinità della guerr, ovvero la sensuale immagine della portatrice di pace (tu sola potes tranquilla pace iuvare), che accoglie nel suo grembo Mavors armipotens, il bellicoso dio. Una conciliazione, questa, che è capace di racchiudere in sé quello che per Lucrezio, così come per Epicuro (nonostante egli disprezzasse il mito), può essere addirittura “il tutto”: la totalità che rende il mondo quello che conosciamo.

 

8) Lorenzo, Andrea S., Giuseppe

Ho paura che dalle mie parole si possa pensare che ti voglia introdurre ai principî di una filosofia empia, additare una via delittuosa. Viceversa, si è verificato più spesso che la superstizione dettasse atti scellerati e empi. Questi versi rientrano nell'ampia e articolata parte proemiale del De rerum natura, dedicata inizialmente da Lucrezio a Venere. L’opera del poeta romano vissuto agli inizi del I sec. a.C., come si può dedurre dal titolo direttamente derivato dal Perì Physeos di Epicuro, contiene un elogio , iterato, del poeta greco e una ripresa integrale della sua dottrina, che spazia dalla fisica, all'antropologia, alla cosmologia. Una primaria contraddizione in questa intrapresa poetica consiste proprio nel fatto che il filosofo greco rifiutasse la poesia, ritenendola connessa con il mito e fonte di allontanamento dei lettori dalla comprensione della realtà per via razionale. Lucrezio pertanto accetta la sfida complicatissima di tradurre non solo dal greco al latino un intero pensiero filosofico, ma di renderlo in poesia, quando il suo stesso elaboratore aveva criticato tale metodo di espressione.

Uno dei concetti dell'epicureismo ripresi dal poeta riguarda il principio dell’increazione, secondo il quale nulla nasce dal nulla. Lucrezio aggiunge al concetto il termine divinitus (per volere divino), enfatizzando la polemica antireligiosa e favorendo la tranquillità degli esseri umani vittime del timore nei confronti degli dei. Epicuro stesso affermava, a proposito di questi ultimi, che non avessero niente a che fare con le faccende umane, col fine dichiarato di liberare i greci da soggezione e timore nei loro confronti. Un’idea del genere, che rasenta l'ateismo, non p certamente essere accettata nella Roma del I secolo, dove la religione funge da basilare forma di controllo (religio instrumentum regni), anche se in modo diverso da civiltà come quella egiziana o persiana: i romani rifuggono tutte le forme di venerazione dei governanti, ancor più le forme di vera e propria divinizzazione, ma la religione rimane pienamente inserita all’interno del sistema di potere attraverso cariche come quella del Pontefice Massimo o istituzioni come la censura. A Roma, il timore degli dei funge da strumento molto importante e l’affermazione di un principio come quello di Epicuro costituisce quasi un discorso rivoluzionario da parte di Lucrezio, che mina i fondamenti dell’ordine pubblico e sfiora appunto l’ateismo. A dimostrazione del coraggio dell’autore nella stesura del De Rerum Natura ci sono i versi stessi dell’opera, dove il poeta sembra difendersi dalle accuse di empietà, ma anche la scarna biografia del poeta.  A proposito di questa, la fonte di informazioni più estesa sulla vita di Lucrezio proviene dal Chronicon di San Girolamo (redatto tra il 347 e il 420 d.C.) e dimostra soprattutto la prospettiva fortemente critica nei suoi confronti da parte non solo dei cristiani, ma della società romana, di per sé poco predisposta al pensiero filosofico (Seneca, il primo filosofo latino, vive nel I sec. d.C., quando la filosofia greca è fiorente da oltre 600 anni). Infatti, nella biografia del poeta, l’attenzione del redattore cristiano viene rivolta a una presunta “pazzia” di Lucrezio, causata da una pozione magica, che è una probabile invenzione introdotta con l’unico fine di screditare il poeta che aveva polemizzato nei confronti della religione e dell’esistenza degli dei. Tuttavia la tesi della pazzia, meglio definibile, forse, come bipolarità dell’autore, è sostenuta anche da alcuni critici moderni, in seguito al riscontro nell’opera lucreziana di oscillazioni tra l’ottimismo della ragione ed il pessimismo dei sentimenti. 

Altre scarne informazioni affidabili provengono dall’opera stessa, suddivisa in 6 libri (in tutto da 7415 esametri) e probabilmente mai terminata. La dedica iniziale permette ad esempio di collocare temporalmente la stesura del De Rerum Natura, dato che Lucrezio allude a un momento molto difficile per la patria, che può essere associato al biennio di disordini tra il 58 e il 59, in cui è coinvolto anche Memmio, un aristocratico amico e patrono di Catullo , al quale Lucrezio dedica l’opera.  

Il tema principale del De Rerum Natura è la ricerca della felicità, con evidente sbilanciamento dell'interesse sull’etica rispetto ad altre ramificazioni della filosofia, ma ovviamente lo studio della natura è fondamentale a causa delle sue capacità di liberare la mente dall’indottrinamento della religione tradizionale. Gli insegnamenti epicurei vengono riassunti nel cosiddetto tetrafarmaco, ricetta sintetica di una filosofia che libera dalle paure e rasserena la vita. La dottrina epicurea nasce infatti con lo scopo di liberare gli uomini dalla paura degli dei, della morte, del dolore, e del mancato raggiungimento di piacere nella vita.  A proposito di quest'ultimo, precisa che gli esseri umani possono aspirare a quest’ultimo solo dopo aver preso coscienza di una distinzione tra piaceri naturali e necessari (come il nutrimento o il sonno), naturali e non necessari (come il mangiare in maniera raffinata) e non naturali e non necessari (come l’ambizione, il desiderio di gloria e di ricchezze, che indeboliscono l’uomo). A questo punto il piacere si configura più come l’autosufficienza a cui giunge il saggio occupandosi dei veri piaceri, poco numerosi e facilmente ottenibili.  

Lucrezio fa proprio anche il secondo principio della filosofia Epicurea, nulla ritorna al nulla, che rende necessaria una precisazione sugli atomi e sulla formazione dell’universo (che contiene chiari riferimenti alla cosmogonia democritea). Questo è infinito ed eterno, essendo costituito di soli due elementi illimitati: la materia e il vuoto all’interno del quale si muove. La materia attraversa un continuo processo di aggregazione e disgregazione, senza mai andare incontro ad una distruzione, essendo costituita da atomi, gli elementi più piccoli ed indivisibili esistenti, che si incontrano a causa del clinamen. Questo principio di deviazione agisce anche in campo etico e dà un senso alla libertà del volere degli esseri umani; non può essere tutto dettato da un determinismo meccanicistico, che riduca appunto tutto a pura espressione meccanica. Gli esseri umani, inoltre, non devono sottostare al timore delle divinità (essendo queste disinteressati nei confronti delle faccende umane), ma affrontare la realtà senza temere nemmeno la morte (che per definizione consiste nella disgregazione degli atomi, con conseguente perdita di sensibilità).  

Lucrezio aggiunge un punto di vista personale nel descrivere il funzionamento dell’universo epicureo, lasciando aperta la possibilità di un’eventuale distruzione degli atomi. Questa visione, coincidente con la fine del mondo, costituisce uno di quei casi di oscillazione dello spirito autoriale che dà corda alle voci sulla sua follia. Nel tentativo di tranquillizzare gli uomini, cerca di liberare anche sé stesso, e si spinge a polemizzare con Aristotele, che spiegava la fisica prescindendo dal concetto di vuoto e ritenendo il divino all’origine del movimento delle cose. Nulla di più sbagliato per gli epicurei, che dimostrano l’esistenza del vuoto, e della sua natura immateriale, a partire dal concetto di movimento, dalla porosità dei corpi e dal loro peso specifico.  

La prova dell’esistenza degli atomi non si può dedurre tramite l’esperienza sensoriale, determinata dal contatto materiale tra oggetto ed osservatore, con piccole particelle dei corpi che, mantenendo la struttura del corpo da cui provengono, si staccano da esso per raggiungere le sottili membrane atomiche degli occhi.  Per convincersi dell’esistenza degli atomi è necessario l’ausilio dell’induzione, come dimostra attraverso numerosi esempi.  

Un’interessante analisi di Calvino effettuata nelle Lezioni Americane collega il contenuto, la materia trattata da Lucrezio, con la forma che utilizza per esprimere tali concetti. L’opera lucreziana risulta così essere un omaggio alla leggerezza che combina magnificamente materia e stile. 

L’apparente paradosso della filosofia epicurea arriva a costituire il centro del ragionamento calviniano. Unità infinitesimali tanto da essere visibili ad occhio nudo, eterne e indistruttibili, si aggregano dando vita a ciò che invece è in costante mutazione e percettibile con un semplice sguardo. L’idea dell’invisibile che scaturisce nel visibile, principio dell’universo, arriva a descrivere l’opera di scrittura effettuata da Lucrezio, dove sono le parole leggere ad aggregarsi tra loro.  

La sorpresa si fa ancora più grande se si collegano il piano atomico e la filosofia epicurea alla tematica della conoscenza, che alla fine dei conti risulta consistere proprio nella dissoluzione della compattezza, nella percezione delle particelle più piccole. Epicuro ha seguito il processo inverso a quello del lettore, che prima vuole apprendere i dettami della filosofia e in seguito comprenderla meglio attraverso alcuni esempi. Si è interrogato sulle caratteristiche visibili e ha esteso il proprio ragionamento all’intero cosmo. Ecco che risulta quanto più intuitivo azzardare che il poeta e lo scienziato condividano alcune caratteristiche. Tra queste certamente la meraviglia nello scoprire nuove analogie e nuovi percorsi da seguire che stimola entrambi portando in alcuni casi alla verità cercata.  

Calvino si fa a sua volta portatore dell’idea di leggerezza, che esprime come un desiderio vitale in un momento di autocritica e di sospetto nei confronti della sua opera di scrittura. Simula quindi, in una fase iniziale del discorso, di dubitare della bontà e della legittimità del suo atto di porre al vertice il principio della leggerezza, che in letteratura viene solitamente sminuito e associato alla scarsità di sostanza di un testo. Per dimostrarne l’importanza come valore, fa quindi riferimento al mondo moderno, dove effettivamente, proprio come nella filosofia epicurea, sono le particelle più piccole (riporta gli esempi del DNA, degli impulsi dei neuroni e del software) a dare vita e funzione ai corpi pesanti (come il corpo umano o l'hardware).  

La leggerezza che si oppone alla pesantezza, e viene valorizzata nella sua apparente invisibilità, costituisce insomma il sentimento del mondo tanto apprezzato da Calvino, il quale arriva infine a giustificare l’immagine del mondo che ricava da un discorso scientifico grazie alla risonanza del passato che viene trasposta al presente, e conclude mettendo in mostra la magnifica continuità che collega le epoche e dà vita all’idea di umanità.   


9) Andrea T. Martina Matteo

Alcune scarne informazioni biografiche su Lucrezio risalgono al Chronicon di San Girolamo, del V secolo d.C., nel quale si fa riferimento una condizione di pazzia del poeta, della quale sarebbe diventato preda per aver bevuto un filtro d'amore, e che lo avrebbe spinto al suicidio a 44 o 45 anni, nel 55 circa a. C. Probabilmente la notizia di questa sua follia è un'elaborazione cristiana, nata per screditare la sua posizione antireligiosa. Durante gli intervalli concessagli dallo stato di alterazione, avrebbe scritto il De Rerum Natura, che però ha spinto anche alcuni critici nostri contemporanei a credere al suo bipolarismo, in quanto le sue oscillazioni sarebbero percepibili anche all'interno di essa. 

La scelta di Lucrezio di scrivere quest’opera è stata coraggiosa, poiché il pubblico romano, che rifuggiva la divinizzazione di chi era al potere e faceva un uso strumentale della religione inserita nel sistema di potere repubblicano, era mal disposto nei confronti di una filosofia che, come quella epicurea, sfiorava l’ateismo, sostenendo che gli dei non abbiano niente a che vedere con le faccende degli esseri umani.

Il De rerum natura è un poema in esametri articolato in tre sezioni di due libri ciascuna (diadi), che passano dall’infinitesimale al cosmico: atomi (fisica) I e II; uomo (antropologia) III  e IV, fenomeni cosmici (cosmologia) V e VI. All’interno dell’opera, che probabilmente non è stata portata a termine dell’autore, è presente un’opposizione che vede all’inizio la nascita della dea Venere e il diffondersi della primavera, e dunque il modo in cui agisce il principio di aggregazione e dell'amore, mentre alla fine la terribile rappresentazione delle peste di Atene, ovvero il principio di distruzione, disgregazione e morte. Si pensa che l’opera risalga al 59-58, biennio di grandi disordini nei quali fu coinvolto anche il destinatario del poema: l’aristocratico Memmio, amico e patrono di Catullo, evocato anch'egli nella sezione iniziale del poema. 

Nell’opera inoltre, e parafrasando Calvino che si è espresso in merito, la conoscenza del mondo diventa dissoluzione della compattezza di quest’ultimo, percezione di ciò che è infinitamente minuto e mobile e leggero. Calvino, infatti, nella sua Lezione americana dedicata alla leggerezza, riconosce come quest'ultima caratterizzi lo stile di Lucrezio: per lui essa è un valore già riscontrabile nel mondo contemporaneo. In questo intendimento originale, essa coincide con l’infinitesimale, ovvero con ciò che è piccolissimo, come ad esempio i bit, o i neutrini che vagano nello spazio. Questo, poi, nell’analisi di Lucrezio prende la forma, che coincide anche con il contenuto, di questa rappresentazione atomistica. In essa l’universo è concepito sulla base delle teorie di Epicuro, secondo il quale in un vuoto immenso si muovono piccoli corpuscoli invisibili, chiamati atomi. A seguito dell’aggregazione di questi ultimi, da tale invisibilità sortisce la materia, ovvero ciò che è visibile. Dunque nulla nasce dal nulla. Il massimo valore della leggerezza che una persona possa concepire dà luogo a una sostanza. Quindi Lucrezio con la lingua della poesia, che è la forma, fa quel che avviene nella formazione dell’universo, in cui l’atomo invisibile, quando si aggrega, dà luogo alla materia: nella scrittura sono le parole a compiere l’operazione, quindi essa è intrisa di leggerezza, così come quest’ultima nell’universo è un elemento portante. 



 

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