1) Il filosofo Seneca, il quale, in quanto consigliere dell'imperatore Nerone, aveva imparato a conoscere i popoli, diceva "Unusquisque mavult credere quam iudicare": "Ciascuno preferisce credere che giudicare". E' su questa debolezza umana che si costruisce la credulità.
2) Solo ciò che è veramente immobile, e fosse anche un unico istante nel mare dei milioni d'anni, si fa durata fuori del tempo, si fa canto che mostra il cammino, si fa guida; oh, unico istante di vita, dilatato sino a comprendere il tutto, sino a colmare il cerchio della conoscenza del tutto, un cerchio dischiuso all'infinito; alto sopra il canto radioso, alto sopra il radioso crepuscolo respirava il cielo, e la sua dolcezza autunnale, chiara e acerba, da migliaia di secoli si era ripetuta immutabilmente e ancora per migliaia di secoli immutabilmente si sarebbe ripetuta, e tuttavia inconfondibile nel luogo e nel tempo, e il serico splendore della sua cupola era come soffuso di silenzio nella notte incipiente. (Hermann Broch)
3) "La Pizia, che aveva gli occhi spalancati, ascoltava distrattamente guardando attonita il mendicante dinanzi a lei, il quale si appoggiava alla figlia che era anche sua sorella, e dietro di lui c'erano le rupi, e i boschi, e più in giù il cantiere del teatro, e per finire il mare inesorabilmente turchino, e dietro tutto il cielo, il cielo di piombo, la superficie di quel nulla assoluto in cui gli uomini, per poter tirare avanti, proiettano ogni sorta di cose, divinità e destini di ogni genere, e quando il tutto cominciò a chiarirsi nella sua mente, quando riuscì a ricordare che pronunciando quell'oracolo lei aveva solo voluto fare uno scherzo mostruoso a quel giovane chiamato Edipo perché lui, una volta per tutte, si togliesse dalla testa la sua fede negli oracoli, allora tutt'a un tratto Pannychis XI scoppiò a ridere, e la sua risata diventò immensa, incommensurabile; dopo che il cieco se n'era andato zoppicando con la figlia Antigone già da un bel po', lei stava ancora ridendo. Eppure, come di colpo era scoppiata a ridere, così di colpo la Pizia ammutolì quando le venne in mente che non tutto ciò che era accaduto poteva essere considerato frutto del caso." (Friedrich Durrenmatt, La morte della Pizia, Adelphi, p. 21)
4) Sii come il promontorio, contro cui si infrangono incessantemente i flutti: resta immobile, e intorno ad esso si placa il ribollire delle acque. «Me sventurato, mi è capitato questo». Niente affatto! Semmai: «Me fortunato, perché anche se mi è capitato questo resisto senza provar dolore, senza farmi spezzare dal presente e senza temere il futuro». Infatti una cosa simile sarebbe potuta accadere a tutti, ma non tutti avrebbero saputo resistere senza cedere al dolore. Allora perché vedere in quello una sfortuna anziché in questo una fortuna? Insomma, chiami sfortuna per un uomo ciò che non è un insuccesso della natura umana? E ti pare un insuccesso della natura umana ciò che non va contro il volere di tale natura? E allora? Hai appreso qual è il suo volere: sarà forse quel che ti è capitato a impedirti di essere giusto, magnanimo, temperante, assennato, non precipitoso, sincero, riservato, libero, dotato di tutte le altre qualità che, quando sono insieme presenti, consentono alla natura dell'uomo di possedere ciò che le è proprio? Ricorda poi, ad ogni evento che ti induca a soffrire, di far uso del seguente principio: «questo fatto non è una sfortuna, mentre è una fortuna sopportarlo nobilmente». Marco Aurelio, I ricordi
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