TERTULLIANO - QUESTIONARIO - SAGGIO

Tertulliano

Africano di  Cartagine, dove nasce  tra il 150 e il 160 da genitori pagani, come accade alla maggior parte dei primi autori cristiani destinati a diventare apologeti o padri della chiesa, si forma  in retorica e diritto, studia la filosofia, poi esercita forse  l'avvocatura in Roma e si converte  al cristianesimo intorno al 195. Tornato in Africa, compone scritti in lingua latina in difesa della Chiesa (si tratta appunto della sua produzione apologetica)  e contro pagani e eretici. Rigorista dal punto di vista sia etico sia dottrinale, nel 213 aderisce  a una delle sette più note per l'intransigenza e il fanatismo, quella dei Montanisti, che in vecchiaia abbandona per dar vita a una setta personale, dei Tertullianisti. Ci sono pervenuti circa quaranta suoi scritti, tra i quali ricordiamo Ad nationes, contro i pagani,  l' Apologeticum,  composti entrambi nel 197, e il  De praescriptione haereticorum, di poco successivo. Numerosi gli scritti che entrano nel merito di comportamenti sociali apertamente condannati:   De spectaculis, De idolatria, De virginibus velandis, De cultu foeminarum. Quanto all’adesione al montanismo, fondato da  Montano, essa lo porta ad aderire all’idea di una fine imminente del mondo, alla quale è necessario prepararsi con rigoroso ascetismo. In merito a questioni etiche, l’intransigenza di Tertulliano si manifesta sotto forma di critica all'immoralità degli spettacoli teatrali e circensi o delle acconciature e dei vezzi femminili. Non si conosce esattamente l’anno della sua morte, ma probabilmente va collocato dopo il 220. 

Nella vulgata scolastica, liceale quando non universitaria, Tertulliano viene relegato in una posizione al contempo eccentrica e marginale. In realtà, negli ultimi cento anni, si sono moltiplicati studi storico-filosofici, religiosi e anche letterari della sua opera. Una delle finalità che accomuna tutti i ricercatori, a qualunque campo appartengano (siano filosofi, teologi o letterati) è quella di superare una sorta di pregiudizio classicistico a causa del quale si  consideri l’intera produzione tardo imperiale (come la si può sommariamente definire cronologicamente) espressione di una decadenza, almeno rispetto al classicismo che trova modo di manifestarsi al limite per tutto il corso del I secolo d. C., ma non oltre. Se si supera  questo pregiudizio, è possibile scoprire che non pochi autori, cristiani o pagani, di questo periodo esprimono concetti e praticano stili espressivi di grande pregio e interesse, per tutte le branche del pensiero appena elencate.

Data la vastità di argomenti trattati da questo apologeta, circoscrivo la  conoscenza del suo pensiero  a due contenuti. Il primo è il Dio in cui crede Tertulliano. La risposta alla domanda che ne deriva, in quale Dio crede Tertulliano? è più difficile da trovare di quanto si possa pensare, una volta che lo si sia definito un po’ troppo semplicisticamente (come ho appena fatto)  apologeta del II secolo d. C.  La sua posizione infatti è  complessa e ricca di sfaccettature, alla cui moltiplicazione concorre senz’altro  il suo statuto di letterato e filosofo, oltre che quello di teologo; di qui il fatto che l'aspetto linguistico sia di primario interesse nelle sue opere, perché le scelte lessicali sono sempre il segno di precise scelte teoretiche. A questo si aggiunge la centralità della componente polemica e irriverente, nonché  l'assoluta libertà di pensiero, che lo porterà negli ultimi anni a staccarsi dalla chiesa ufficiale, che già si stava configurando nettamente da almeno un secolo, col contributo sostanziale dell’apostolo Paolo di Tarso. È difficile insomma dare un'immagine definita del deus tertullianeo poiché egli  la arricchisce di molteplici sfumature, e soffermarsi su di un unico aspetto può essere fuorviante e limitativo. In sintesi, è  possibile individuare almeno due cardini intorno a cui ruota  la speculazione teologica di Tertulliano: l'unicità di Dio e il suo aspetto relazionale, che si esplica innanzi tutto nella forma trinitaria. In un’opera a contenuto polemico, l’Adversus Hermogenem, databile intorno al 205 d.C., Tertulliano sviluppa un'articolata invettiva contro Ermogene, considerato un platonico vicino alla corrente degli gnostici, dai quali si distingue poiché non ritiene come loro che ci sia un demiurgo malvagio, accanto al Dio buono. Piuttosto Ermogene, influenzato, secondo quanto ci testimonia Tertulliano, soprattutto dalla filosofia, nega la creatio ex nihilo ed afferma che la materia semper fuerit, neque nata neque facta. Dio dunque fecerit omnia ex materia.Tertulliano nei primi paragrafi della sua opera, dopo aver presentato Ermogene come un uomo dissoluto, sfrontato e libidinoso, spiega come egli arrivi a dimostrare che la materia è eterna. In primo luogo Dio non può creare dalla propria natura, perché o la creazione comporterebbe una divisione in parti, ma all'essere perfetto non compete la divisibilità, oppure se creasse dall'interezza del suo essere senza diminuzioni sarebbe contemporaneamente totalità e non totalità. Quindi Dio non crea da sé perché dovrebbe divenire, ma non può perché Egli è, oppure dovrebbe non essere, ma in tal modo non potrebbe agire. In secondo luogo, il male non può essere originato da Dio, ma poiché esiste, è necessario che ci sia qualcosa che faccia da depositario per il male, e dunque la presenza di una materia innata et infacta è necessaria per salvaguardare l'assoluta bontà di Dio. Infine, Dio è da sempre Dio e Signore, dunque ci deve essere qualcosa su cui da sempre Dio esercita la sua signoria, nella fattispecie la materia. Tertulliano inizia la sua confutazione proprio dall'ultima argomentazione; egli afferma che Dio è il nome della sostanza, mentre Signore è il nome del potere, dunque questo secondo appellativo non riguarda l'essenza di Dio, ma una sua capacità. Tertulliano riprende implicitamente la distinzione aristotelica della predicazione relativa secondo la quale un padrone è detto tale solo relativamente a uno schiavo, per cui Dio non è Signore per essenza, ma solo in relazione alle realtà su cui esercita il suo potere. Ma nel racconto della Genesi è presentato  Dio con se stesso, che  diventa Signore solo dopo aver creato l'uomo su cui può esercitare la sua signoria. Per concludere, Tertulliano afferma che se la materia è innata, allora deve essere libera e non sottoposta ad alcun Signore, perché solo ciò che dipende da qualcos'altro può essere sottomesso. L'esistenza della materia perciò non è giustificabile con l'appellativo di Signore attribuito a Dio (appellativo che tra l'altro egli non ha da sempre, ma che acquisisce solo dopo la comparsa del soggetto uomo su cui esercitare il potere). Dio prima è Dio, poi diventa signore una volta creata la materia. Anche l’eternità della materia viene puntualmente smontata da Tertulliano, arrivando a sostenere tra l’altro (mi limito a questo dettaglio) che nel caso in cui la materia (comprensiva del male di cui è depositaria) fosse eterna, si manifesterebbe in tale sua eternità la debolezza di Dio, che non è in grado di soggiogarla. In conclusione, Tertulliano preferisce sostenere che l’esistenza del male sia connessa con l’atto volontario da parte di Dio di creare la materia, quindi come un portato della sua onnipotenza, piuttosto che indebolirne l’essenza ammettendo che di fronte al male Dio è appunto impotente, trovandosi di fronte a un’altra forma di eternità oltre alla sua (l’onnipotenza, se ne evince, è un attributo per Tertulliano più importante della bontà).  Tuttavia il male, connesso con la materia, non è eterno: finirà col giudizio universale. Anche questo è portato da Tertulliano a motivo invalidante della tesi di Ermogene, che annette alla materia e al male la qualità dell’eterno che non appartiene loro. Restando ancora un attimo nel solco della domanda da cui sono partita, tratto la questione della creazione dal nulla: Tertulliano la descrive come un atto assolutamente trascendente che non ha a che fare con un agire artigianale. Egli espone una teologia negativa più forte perché, oltre a non poter definire Dio poiché incapaci di conoscerlo, non si può nemmeno capire il modo in cui Egli agisce. Ciò che emerge è che si tratta di un agire che opera attraverso sophiam, valentiam, sensum, sermonem, spiritum e virtutem, dove sensus indica il pensiero e virtus, in senso prettamente romano, la forza più che un elemento etico. Si tratta dunque di un Dio capace valente e forte, tanto da portare all'esistenza, senza bisogno di alcun sussidio, tutto il cosmo dal nulla. Egli inoltre è mosso dalla sua sapienza ed opera attraverso degli elementi ineffabili come il pensiero, la parola e lo spirito. La conferma di una tale impostazione si può reperire anche nell'uso della terminologia impiegata da Tertulliano lungo tutto il trattato. Dio infatti risulta un auctor, unus et unicus, che fecit et condidit, in qualche caso constituit et instituit il mondo, mosso da una voluntas che esprime il senso di forza del divino. Scompare quasi del tutto il termine artifex e non sono mai usati fingo, formo, plasmo, nemmeno nella citazione di Gn. 2,7. Tertulliano in altre opere quando cita questo passo riporta il verbo finxit, qui invece ricorre al più neutro fecit, mitigando l'immagine dell'uomo plasmato. Il motivo di tale variazione è evidente in quanto, in un trattato in cui l'impegno di Tertulliano è tutto teso a dimostrare la creatio ex nihilo e l'inutilità di porre una materia increata, la descrizione della nascita dell'uomo come plasmazione dal fango avrebbe indebolito l'impianto argomentativo.

Una semplificazione del pensiero di Tertulliano ha anche portato ad attribuirgli l’affermazione credo quia absurdum, che non risulta letteralmente presente in nessuno scritto, anche se vi si avvicina concettualmente l’idea, delineata precedentemente, secondo cui Dio sia un ente inconoscibile per vie razionali, da cui può ben conseguire l’accettazione di un assurdo intrinseco al concetto di Dio, per raccapezzarsi col quale non resta che affidarsi alla fede. D’altra parte, in parziale contraddizione con questa sorta di proclamazione esclusivamente fideistica, c’è lo sforzo dimostrativo, condotto con metodi filosofici, di cui ho appena dato testimonianza per quanto concerne la natura di Dio e le caratteristiche dell’atto creatore.

Non è invece una scorretta semplificazione il concetto di anima naturaliter christiana, dal quale prese ispirazione anche Manzoni nel proporre ai lettori dei Promessi sposi  l’anima candida di Lucia Mondello. L’espressione risale all’Apologeticum, precisamente al capitolo in cui l’autore, sotto forma di un’esclamazione, riconduce la sapientia christiana a un dono di natura, un’elargizione che si fa risalire a quell’onnipotente divinità di cui ho delineato prima le caratteristiche. Questa precisazione, relativa alle caratteristiche peculiari della sapientia christiana mette da parte il sospetto d’irrazionalismo supportato dal credo quia absurdum: non mette infatti in discussione la ragione, ma il pregiudizio secondo cui l’accesso alla verità sia precluso alle anime semplici. La verità, in quando depositata direttamente in tutte le anime, è alla portata di chiunque, qualunque sia il grado di ingegno e cultura in suo possesso. A Manzoni piacque molto la  prospettiva di Tertulliano, al punto che plasmò il suo personaggio più amato (da lui), ovviamente Lucia, come una sorta d’incarnazione perfetta dell’anima naturaliter christiana. Lucia è in grado di sentire e cogliere profondamente quello che intelletti sopraffini, nel senso erudito del termine, colgono solo lontanamente o sono destinati a non cogliere mai.  Manzoni ha  così anche l’occasione di suggerire come operi la grazia: illuminando gli spiriti umani a prescindere da quello che tocca loro in sorte come destino sociale.

Dai questionari

Il genere apologetico ricorre nella letteratura cristiana dei primi secoli. Rappresenta un corpus di opere volte a difendere la nuova fede dalle critiche e dagli attacchi che riceveva. Tra le prime opere apologetiche si annoverano i due libri Ad nationes scritti da Tertulliano nel 197. Pochi mesi dopo, l’autore riprende e approfondisce questi temi con la sua opera Apologeticum, che non si rivolge più solo ai pagani in generale, ma anche alle autorità politiche dell'epoca. L’opera è strutturata in due grandi sezioni: nella prima è presente una confutazione delle accuse infondate che circolavano comunemente contro i cristiani, mentre nella seconda vengono respinte le accuse più serie di sacrilegio e quelle di carattere religioso e politico. L’idea presente nell’Apologeticum che l’anima sia portata per così dire inconsciamente a cercare il vero Dio, viene trattata nel breve scritto intitolato De testimonio animae. La serie delle opere apologetiche contro i pagani si conclude con la lettera aperta Ad Scapulam indirizzata al proconsole d’Africa che, a differenza dei suoi predecessori, applicava rigidamente provvedimenti persecutori contri i cristiani. 


La letteratura cristiana latina nasce intorno alla metà del II secolo come letteratura di traduzione dopo che il cristianesimo si diffonde in territori e ambienti in cui il greco non è conosciuto o è conosciuto male. Le prime testimonianze sono rappresentate da traduzioni della Bibbia dal greco al latino, in modo da permettere a tutti di capire le Scritture. Queste prime versioni bibliche sono molto rispettose del testo originale e noi le conosciamo per via di diversi manoscritti, che contengono ampi passi o anche interi libri presi molto frequentemente dal Nuovo Testamento e anche attraverso le citazioni della Bibbia inserite all’interno degli scritti anteriori a Girolamo, colui che ha realizzato una nuova versione di questa, la Vulgata. In passato, il termine scelto per distinguere le prime versioni da questa è Vetus Latina, come se si trattasse di un gruppo unitario composto da due sottogruppi intitolati Itala e Afra, rispettivamente di origine italica il primo e africana il secondo. Al giorno d’oggi la preferenza ricade sull’espressione Veteres Latinae. Nell’antico testamento le traduzioni sono principalmente fondate sulla versione greca, anche detta dei Settanta, che risale al III secolo a, C. 

Agostino dà un suo giudizio personale, dal quale si può comprendere come ai suoi tempi si sentisse la necessità di compiere una revisione degli scritti, in quanto non sempre coincidono con l’originale e, inoltre, sono presenti alcuni costrutti non classici, caratterizzati da irregolarità morfologiche. Le Veteres Latinae sono comunque molto importanti perché forniscono una testimonianza dell’atteggiamento nei confronti dei testi da tradurre che risulta essere diverso da quello utilizzato dagli scrittori classici. Infatti, per questi traduttori è molto importante rimanere fedeli alla versione originale, senza ampliamenti, semplificazioni o omissioni, che, invece, sono più frequenti nella traduzione precristiana. 


Oltre alle opere apologetiche, il corpus degli scritti di Tertulliano può essere suddiviso in altre tre categorie: le opere antiereticali, etico-disciplinari ed ecclesiali. Tertulliano è, infatti, considerato uno dei maggiori autori di  componimenti antiereticali poiché si rivelò molto preparato sia in ambito retorico che teologico. Il manifestarsi di dissensi dottrinali, e la nascita di sette e movimenti eretici, portarono Tertulliano ad approfondire e a delineare le proprie idee riguardo alla Chiesa e a denigrare, dimostrandone l’inconsistenza appunto dottrinale,  i movimenti dissidenti. Inaugura dunque, polemiche determinanti nei confronti di alcune correnti eretiche all’interno delle sue opere come nell’Adversus Marcionem (Contro Marcione), in cui si occupa del marcionismo. All’interno di questo  scritto, concepito tra il 207 e il 212, e formato da 5 libri, Tertulliano si dimostra un ottimo polemista riuscendo a deridere molte idee strambe della setta di Marcione, ad esempio servendosi della formulazione del “fantasma di Dio”, che corrisponde al Cristo, incorporeo, presente nel docetismo. Combatte quest’ultimo anche nell’opera intitolata De carne Christi (La carne di Cristo), in cui rifiuta la visione docetista in base alla quale venivano disprezzata la materialità e il corpo, poiché ciò era estraneo al cristianesimo primitivo. Anche nella stesura del De resurrectione mortuorum (La resurrezione dei morti) si pone in difesa della dignità del corpo di fronte alle accuse dei movimenti che si basano sulla visione filosofica dualistica della realtà, per cui il corpo veniva considerato la “prigione dell’anima”. Tra i dualisti Tertulliano combatte principalmente i seguaci di Valentino, il più celebre esponente dello gnosticismo, nelle opere intitolate Adversus Valentinianos,  Scorpiace e De Anima, in cui afferma che bisogna attribuire il peccato all’anima poiché ha libero arbitrio. Inoltre, afferma che l’anima è immortale ma non è ingenerata, oltre a difendere la visione materialistica di  soffio vitale.

Successivamente, è possibile analizzare un ulteriore gruppo di opere in cui Tertulliano tratta di vari problemi morali e disciplinari che lo porteranno a distaccarsi dalle posizioni della Chiesa e a fondare la setta tertullianista, movimento alla ricerca della coerenza assoluta, eliminando ogni tipo di compromesso. All’interno del De spectaculis, Tertulliano decide di condannare addirittura qualsiasi tipo di spettacolo, da quelli teatrali fino ai giochi atletici, poiché ritenuti immorali ed estremamente connessi alla religione pagana. All’interno del De cultu feminarum (L’eleganza femminile) definisce, inizialmente, la donna come diaboli ianua (la porta del diavolo) poiché ritiene Eva responsabile del peccato originale. Successivamente si dimostra un moralista moderato ed equilibrato, arrivando a sconfessare questa visione. Un altro comportamento immorale, secondo Tertulliano, è quello delle “seconde nozze” in cui, all’interno dell’opera Ad uxorem, raccomanda alla moglie, nel caso in cui diventasse vedova, di non sposarsi nuovamente. Inoltre, è possibile avvertire l’influsso montanista in alcune opere come De exhortatione castitatis,  De monogamia e De virginibus velandis in cui si manifesta un comportamento fortemente rigorista. Si può notare un atteggiamento rigorista anche nel De corona in cui, prendendo spunto da una vicenda di un soldato cristiano, afferma che i cristiani non devono arruolarsi per non violare la legge imposta da Dio. Il suo atteggiamento rigoristico diventa sempre maggiore nelle opere successive come il De idolatria, in cui afferma che i cristiani devono mantenere un distacco da ogni forma di idolatria, e il De fuga in persecutione in cui dichiara che che non è lecito evitare le persecuzioni. Infine, all’interno del De palio, Tertulliano denota il cristianesimo come fuga dal mondo ordinario alla ricerca della libertà.

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Focus Tertulliano di Virginia

Secondo le scarne informazioni che ci sono pervenute, Quinto Settimo Fiorente Tertulliano nasce a Cartagine verso la metà del II secolo da genitori pagani. Riceve un’istruzione improntata sulla retorica e il diritto e probabilmente esercita anche l’avvocatura a Roma. Tuttavia, dopo la conversione al cristianesimo avvenuta intorno al 195, passa il resto della vita a Cartagine, dove compone testi in latino in difesa della chiesa, tra i quali spiccano l’Ad nationes e l’Apologeticum. Entrambe le opere vengono composte intorno al 197, e si presentano la prima come un’invettiva contro i pagani e la seconda come un  discorso di difesa che si rivolge alle autorità politiche, confutando inizialmente le accuse calunniose che vengono rivolte ai cristiani e poi, nella seconda parte, respingendo le accuse più serie, di natura religiosa e politica, di sacrilegio e di lesa maestà. 

Dal 220 in poi non ci è pervenuta nessuna informazione sulla vita di Tertulliano, ma ci è giunta la notizia della sua adesione all’eresia1 rigorista dei Montanisti2 nel 213, alla quale segue la fondazione della setta dei Tertullianisti, che si dedicano a una ricerca di coerenza assoluta e al rifiuto di ogni sorta di compromesso. L’atteggiamento radicale e rigorista di Tertulliano, che lo porterà a distaccarsi dalla chiesa, è rintracciabile nelle opere etico-disciplinari ed ecclesiali come il De spectaculis, in cui condanna gli spettacoli di qualsiasi genere per la loro immoralità e perché strettamente connessi con la religione pagana, il De cultu feminarum, in cui si presenta nelle vesti di  un moralista intransigente e il De virginibus velandis, con il quale sostiene la necessità per le  vergini di ricorrere  all’uso del velo. Con queste opere, Tertulliano cambia completamente obiettivo rispetto all’Apologeticum e si propone di suggerire ai cristiani i comportamenti che devono adottare per risultare impeccabili agli occhi di Dio. Il rigorismo dell’autore, e la necessità di un’invettiva che non ammette la possibilità di concessioni all’avversario, unito alla convinzione di avere ragione nella sua tensione sincera e ardente verso la verità, lo porta spesso a scontrarsi con le prescrizioni dello stato imperiale, ad esempio per quanto riguarda l’arruolamento dei soldati, riguardo al quale Tertulliano si esprime nel De corona, affermando che un cristiano non dovrebbe andare in guerra per non violare la legge di Dio. 

Nell’Apologeticum risalta una delle caratteristiche preponderanti di Tertulliano, che trasforma la difesa in una requisitoria e  pone sotto accusa la corruzione della società pagana e l’immoralità del suo culto, per poi contrapporre ai delitti imputati ai pagani l’intenzione dei cristiani di pregare per la salvezza dell’impero e dell’imperatore. Il periodo in cui scrive Tertulliano ha come sfondo un panorama di credenze estremamente variegato, in cui il cristianesimo, che comincerà a assumere connotati precisi solo con l’avvento di Paolo di Tarso a metà del primo secolo, non è ben delineato nei suoi contenuti dottrinari, ancor più per i pagani, che non ne comprendono i presupposti fideistici, del tutto estranei alla loro cultura. 

Una delle domande fondamentali che nascono a proposito di Tertulliano è senza dubbio quella inerente alla natura (e sostanza) del  Dio in cui crede, domanda la cui risposta non può essere scontata ma che si può ricercare tra l’altro nel passo Il Dio dei cristiani contenuto nell’Apologeticum. In questo brano la concezione della divinità viene delineata in  uno stile conciso e a tratti veemente, ma allo stesso tempo elaborato e solenne. Proprio a partire da questo scritto è stata attribuita a Tertulliano, nonostante non appaia da nessuna parte, la frase credo quia absurdum, perché vi  spicca l’affermazione tipica di Tertulliano che ciò che ci fa comprendere Dio è proprio il non poterlo comprendere, con la quale, però, l’apologeta voleva intendere che l’incapacità stessa dell’uomo di concepire la grandezza di Dio rende conto della sua infinità. Il raggiungimento di Dio, quindi, risulta impossibile attraverso vie razionali, ma praticabile solo facendo appello a una fede che crede a prescindere. Il Dio di cui parla Tertulliano è un onnisciente e onnipotente, e ha cercato di ridurre la sua distanza dagli uomini incarnandosi in Cristo,  al quale è possibile affidarsi riconoscendo la sua assurdità.

Sempre nello stesso passo dell’Apologeticum Tertulliano espone chiaramente la sua idea dell’anima naturaliter christiana: se il Dio cristiano è una potenza creatrice e gli esseri umani fanno parte del suo creato, allora necessariamente essi hanno in sé  una naturale predisposizione verso il cristianesimo. Ogni essere umano contiene in sé la verità, accessibile a chiunque riesca a conoscere profondamente se stesso. Tertulliano stabilisce una netta distinzione tra i soggetti, che sono riusciti a entrare in contatto con la propria anima naturalmente cristiana, e quelli ai quali è stato impedito dall’ambiente culturale nel quale sono cresciuti. A distogliere l’attenzione dall’anima cristiana, secondo Tertulliano, è ovviamente la cultura pagana, che nell’epoca a lui contemporanea permea la società al punto che nemmeno lui stesso è riuscito a sfuggirne e, anzi, ne ha avuto bisogno per la sua istruzione. 

Il concetto di anima naturaliter christiana verrà ripreso nell’Ottocento da Manzoni, che ne rende perfetta incarnazione Lucia, protagonista insieme a Renzo  del romanzo I promessi sposi. La fanciulla,  per quanto (o forse proprio perché) sprovvista di cultura e appartenente al mondo dei semplici  e degli umili,  riesce a sentire profondamente la presenza di Dio nella sua anima, consentendo a  Manzoni di spiegare attraverso di lei il complicato concetto teologico di Provvidenza e il modus operandi di quest’ultima. Lucia, con la sua fede originaria e totalizzante, che non viene mai meno ma si rinsalda nei momenti che potrebbero essere di pura disperazione (per esempio durante  la tragica notte trascorsa nel castello dell’Innominato), è la chiave di volta per comprendere l’enigma dell’arazzo che agli esseri umani pare incomprensibile poiché ne vedono solo il retro: è infatti la sua voce a  invitare tutti ad avere fede in Dio  anche quando tutto quello che accade appare simile a un racconto narrato da un idiota, pieno di strepiti e rumore, che non significa nulla (Shakespeare, Macbeth). 

1. Il termine deriva dal greco hairesis, ovvero “scelta”, e indica una visione non conforme alla verità riconosciuta dalla chiesa. 

2. Denominato così dal suo iniziatore, il prete frigio Montano (seconda metà del II secolo), dava valore primario ai doni soprannaturali concessi ad alcuni suoi membri. Presentava come imminente la discesa dello Spirito Santo, con il ritorno del Cristo trionfatore, e sosteneva che tale ritorno avrebbe instaurato un regno di mille anni, prima del giudizio finale, riservato ai soli giusti. 



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