ARTICOLO PER PREPARARSI AL TEMA (IN AGGIUNTA ALLE ALTRE INDICAZIONI DATE)
IDENTITÀ IN MOVIMENTO
«In un tempo in cui è facile indignarsi, commuoversi è la vera rivoluzione», dice Titti De Simone, attivista storica Lgbt, anche lei con gli occhi umidi mentre stringe la mano della sua compagna Francesca Vitucci. Preciado scava con le parole, affonda nelle radici della storia personale e universale di questo tempo. Parla alle nuove generazioni. E sembra non interessargli altro. Intervistarlo non è facile. Sfila ineffabile tra la folla che lo insegue come se fosse l’ultima rockstar, eppure non ha nulla del divo: si sorprende della bellezza intorno e delle storie piccole che la comunità Lgbt gli porge alla ricerca di un consiglio. «Preciado, ma questa intervista?». «La faremo». Dopo tre giorni arriva la notizia: «Si è suicidato un altro ragazzo trans. Aveva 15 anni». Preciado si irrigidisce. La voce è ferma, gli occhi severi e così inizia questo nostro colloquio.
«Intanto mi sembra importante parlare di “omicidi sociali” invece che di suicidi. Perché in molti casi il suicidio è la conseguenza di un insieme di violenza istituzionale e politica così opprimente che è impossibile sopravvivere. Ciò che è veramente problematico è che la riduzione della transessualità attorno alla nozione di disforia fa pensare a molte persone che il suicidio sia la conclusione di un percorso di una persona non sana mentalmente. Praticamente se sei trans sei una persona con problemi mentali. Ma non è vero. Per me la disforia non è una condizione clinica, non è una patologia. La disforia risolve un sistema epistemico di violenza politica e istituzionale ed è per questo che uso la nozione di disforia. Come nel diciannovesimo secolo con “l’isteria”, che era una nozione con la quale la borghesia vittoriana definiva quello che per loro era il problema delle donne, cioè il loro piacere, e quindi era un sistema di controllo del corpo femminile. Nel ventunesimo secolo c’è la disforia. Da quando sei bambino entri in un protocollo clinico, all’interno di tecnologie e tecniche riparative che impediscono la disforia. Ma ciò che è realmente disforico è il regime epistemico in cui viviamo, questo regime che è normativamente binario e che oltretutto è un regime piuttosto recente, risale al diciannovesimo secolo, non a tanto tempo fa. Ma da quel momento si è cristallizzato e si è naturalizzato, è stato imposto a ogni singolo corpo, quindi ciò che sta accadendo ora, quando le persone commettono suicidio è come fosse un crimine sociale: rimuovere quei corpi non conformi dalla società».
C’è uno scontro culturale in corso. In Italia come in Inghilterra, in Francia, in Spagna. Femministe trans-escludenti (Terf) contro persone transgender. Su loro, dice Preciado, non bisogna sprecare energie: «Mi sembra che la questione sia non permettere al femminismo conservatore, essenzialista, transfobico di definire i termini del dibattito. Questo per me il punto più problematico. Una delle questioni più importanti è che le terf non riconoscono il soggetto trans come un soggetto politico con il quale poter dialogare, una posizione questa insostenibile. E se queste sono le basi, io posso dialogare con le femministe terf solo se loro mi riconoscono come soggetto politico, altrimenti non è possibile. Pretendono che tu entri in un dibattito dove i termini del discorso sono stati scelti da loro e questi termini sono quelli del patriarcato coloniale, dell’oppressione, dell’esclusione, termini fortemente essenzialisti. Quindi non è che nego la possibilità di dialogo con loro, anzi il contrario, però mi piacerebbe prima di tutto essere riconosciuto come soggetto politico, per poter discutere, e poi che si cambiasse metodologia per negoziarne un’altra insieme».
Prosegue Preciado: «Sembra quasi che le femministe terf esistano in quanto movimento grazie a noi. Prima non esistevano come femministe, non le avevo mai viste, non si vede la loro pratica politica, non ce l’hanno una pratica da attiviste. Faccio un esempio: l’ultima volta che sono stato in Spagna il problema era che queste persone mi chiamavano con il mio nome femminile, mi definiscono “donna” ma mi chiamano anche “signore”. Entrare in dialogo con loro significa accettare una forma di violenza». È una questione di linguaggio, anche: «Servirebbe un dibattito che non parta dalle nozioni della tassonomia moderna: uomo/donna; femminile/maschile; eterosessuale. Un discorso che riflette su quali sono le tecnologie di produzione del corpo e come il corpo contemporaneo possa sopravvivere in una società come la nostra grazie a un insieme di tecnologie. E queste tecnologie possono essere: nominali. Il nome è una tecnologia. Il linguaggio è una tecnologia, non è naturale. Il nome non è naturale. Il mio nome Beatriz non era naturale e neanche il mio nome attuale Paul lo è. Sono entrambi finzioni politiche. La differenza è che uno è legittimato socialmente e politicamente e l’altro no. Loro credono, tuttavia, che esistono nomi che sono naturali, che ci sono organi naturali. Il dibattito attuale sull’aborto per esempio è fondamentale. Perché ovviamente l’aborto non è naturale, è una tecnologia politica».
Lo scenario politico preoccupa, con la destra che avanza e i diritti che si restringono? «Dobbiamo capire che il discorso sulle persone trans non è marginale, non riguarda solo poche persone, penso sia cruciale invece e riguardi tutti nel cambiamento epistemico globale. Ciò che accade al corpo trans è esemplare di quello che accadrà al mondo e alla società nell’immediato futuro. Penso che ci siano tre corpi cruciali in questa rivoluzione: il corpo razzializzato, il corpo trans e il corpo migrante. E tutto quello che riguarda il dibattito sulla riproduzione deve essere inserito all’interno di questo contesto e non riguarda solo le donne, non è un dibattito solo femminile. Queste forze tentano di reimmettere nella società proprio quel regime patriarcale che ha caratterizzato il diciannovesimo e ventesimo secolo. Non è solo l’estrema destra a farlo. A volte a rappresentare questo regime sono i neoliberali, a volte sono alcune femministe. Queste forze reazionarie sono trasversali alla società».
Il futuro è l’unico posto dove possiamo andare e questo interessa oggi a Preciado, nient’altro: «Voglio parlare con le nuove generazioni. Sono in contatto con un’associazione di teenager trans e parlo con loro spesso. E loro si costituiscono proprio come soggetti politici in queste conversazioni. È meraviglioso. La maggior parte di loro ha 14 o 15 anni, cercano di convincere i genitori a fargli prendere gli ormoni, ma già pensano a cosa fare del loro potenziale riproduttivo. Quindi questi sono i discorsi che fanno e, ripeto, hanno 14 anni. Possiamo quindi renderci conto che siamo di fronte a un modo completamente nuovo di parlare di corpi, di fluidi, di ormoni, del modo in cui vogliamo presentare noi stessi. Non all’interno di un sistema binario, ma oltre questo sistema. E questo ci porta a un’estrema libertà di pensiero e di discussione».
È il mondo nuovo, anche se non lo vediamo. «Ma è il mondo reale. Non è il mondo delle femministe Terf che non fanno altro che difendere i loro privilegi. E parlare di libertà non basta perché spesso è un concetto che difende il vecchio regime patriarcale. La libertà è differente dalla liberazione».
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