CONFRONTO FRA TRADUZIONI - MORTE DI ORFEO - LIBER XI,1-14
Carmine dum tali silvas animosque ferarum
Threicius
vates et saxa sequentia ducit,
ecce
nurus Ciconum tectae lymphata ferinis
pectora
velleribus tumuli de vertice cernunt
Orphea
percussis sociantem carmina nervis.
5
e
quibus una leves iactato crine per auras,
'en,' ait 'en, hic est nostri contemptor!' et hastam
vatis
Apollinei vocalia misit in ora,
quae
foliis praesuta notam sine vulnere fecit;
alterius
telum lapis est, qui missus in ipso 10
aere
concentu victus vocisque lyraeque est
ac
veluti supplex pro tam furialibus ausis
ante
pedes iacuit. sed enim temeraria crescunt
bella
modusque abiit insanaque regnat Erinys; [...]
TRADUZIONE A
Mentre Orfeo, poeta di Tracia, cantando così seduceva le selve e le belve e smuoveva le pietre, che cosa succede? Succede che, come pazze, le donne dei Ciconi, il seno coperto di pelli ferine, dal crinale di un colle lo vedono che è lì che toccando le corde le accorda al canto che canta. Una allora, lasciando garrire i capelli alla brezza, sbraita: "eccolo chi ci disprezza!" E gli scaraventa in faccia un tirso, perché la smetta con quelle canzoni apollinee; ma il tirso fasciato di foglie non lascia che un piccolo livido. Un'altra gli tira una pietra, ma quella ancora volando si arrende agli accordi perfetti della voce e della lira, e quasi a chieder perdono per la sua forsennata arroganza, gli rotola ai piedi. Però la battaglia infuria ormai senza quartiere, su tutto imperversa l'Erinni demente.
TRADUZIONE B
Ed ecco, mentre il poeta Tracio col suo canto seduce piante, belve e sassi, una masnada di baccanti cinte di pelli, da un’altura lo scorge a tastar le corde della sua cetra. Una di loro, capelli al vento, lo avvista, “è qua chi ci umilia”, e imbracciato il nodoso bastone sacro a Dioniso lo lancia addosso al cantore apollineo. Lieve è la ferita: lo proteggono le foglie del tirso. Un’altra tira un sasso, che si ritrae dal colpirlo e, vinto dalla melodia, gli cade ai piedi a implorar perdono. Ma ormai impazza la feroce Furia, e smisurata è la battaglia.
TRADUZIONE C
Mentre il poeta di Tracia induceva le selve e le bestie a seguirlo, e attirava a sé le pietre con il suo canto ammaliatore; le donne dei Ciconi, impazzite e rivestite da mantelli di pelli selvagge, lo scorgono dalla sommità di una collina nell’atto di accompagnare il suo canto con le corde della lira (ricevuta in dono da Apollo). Una di queste, con i capelli sciolti al vento, grida ‘’Ecco colui che ci insulta!’’ e, per interrompere il canto apollineo, lo colpisce al volto con un tirso fasciato di foglie, che gli procura solamente un lieve livido. Un’altra scaglia un sasso, che non raggiunge il poeta, protetto dall’armoniosa melodia prodotta dalla sua lira e dalla voce soave, ma gli cade dinanzi ai piedi, quasi a chiedere perdono per il forsennato gesto. Però ormai la guerra imperversa e travolge tutto con irrefrenabile furia.
TRADUZIONE D
Mentre con questo canto il poeta di Tracia ammaliava le selve,
l'animo
delle fiere, e a sé attirava le pietre,
ecco che
le donne dei Cìconi in delirio, col petto coperto
di pelli
selvatiche, scorgono Orfeo, dall'alto di un colle,
che
accompagnava il suo canto col suono delle corde.
E una di
loro, scuotendo i capelli alla brezza leggera,
gridò:
"Eccolo, eccolo, colui che ci disprezza!" e scagliò il tirso
contro
la bocca melodiosa del cantore di Apollo, ma il tirso,
fasciato
di frasche, gli fece appena un livido, senza ferirlo.
Un'altra
lancia una pietra, ma questa, mentre ancora vola,
è vinta
dall'armonia della voce e della lira,
e gli
cade davanti ai piedi, quasi a implorare perdono
per quel
suo forsennato ardire. Ma ormai la guerra si fa furibonda,
divampa
sfrenata e su tutto regna una furia insensata. [...]
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