TABELLE VERSIONI IN PROSA/ANALISI DEL I CANTO DEL PURGATORIO

 Lorenzo, Francesco, Jacopo, Sara, Canto I del Purgatorio, vv. 1-18

Testo 

Parafrasi  

Commento 

Per correr miglior acque alza le vele  
omai la navicella del mio ingegno, 
che lascia dietro a sé mar sì crudele;           3 
 

e canterò di quel secondo regno  
dove l’umano spirito si purga  
e di salire al ciel diventa degno.                    6 
 

Ma qui la morta poesì resurga,  
o sante Muse, poi che vostro sono;  
e qui Caliopè alquanto surga,                        9 
 

 

seguitando il mio canto con quel suono  
di cui le Piche misere sentiro  
lo colpo tal, che disperar perdono.            12 
 

 

Dolce color d’oriental zaffiro,  
che s’accoglieva nel sereno aspetto  
del mezzo, puro infino al primo giro,         15 
 

a li occhi miei ricominciò diletto,  
tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta  
che m’avea contristati li occhi e ‘l petto.   18 

Per solcare acque migliori la navicella del mio ingegno alza le vele e lascia dietro di sé il mare tanto crudele dell’inferno; 

 

e canterò di quel secondo regno in cui lo spirito umano si purifica e diventa degno di salire verso il cielo.  

 

Ma qui risorga la poesia morta, o sante Muse, poiché vi appartengo; e qui Calliope si elevi  molto, 

 

accompagnando il mio canto con quel suono di cui le misere Piche (le figlie di Pierio mutate in gazze) sentirono un colpo tale da disperare di essere perdonate.  

 Un dolce colore di zaffiro orientale, che si diffondeva nell’atmosfera serena dell’aria, pura fino all’orizzonte,  

 

restituì letizia ai miei occhi, non appena io uscii fuori dall’aria morta (dell’Inferno) che mi aveva rattristato gli occhi e il cuore.   

Il passaggio in un regno ultraterreno differente è accompagnato da una variazione nel registro espressivo con cui il poeta racconta il suo viaggio. Dante descrive il cambiamento di atmosfera mediante una metafora che accosta il passaggio nel Purgatorio a una navigazione che finalmente viene condotta in acque migliori rispetto a quelle crudeli dell’Inferno. Al verso 4 è presente una perifrasi inserita per rendere più chiara agli occhi del lettore la funzione del purgatorio, presentato come il luogo dove lo spirito umano si purifica e diventa degno di salire al cielo.  

Dal verso 7 al verso 12 l’auctor esordisce con un’antitesi che mette in relazione la sua poesia, metaforicamente morta, utilizzata per trattare le vicende infernali, con il tema della risurrezione. Infatti esprime la richiesta di restituire vitalità alla sua operazione rivolgendosi alle Muse e in particolare a Calliope, alla quale chiede di essere accompagnato con quel canto che fu determinante per il destino delle Piche. In questo caso Dante richiama il racconto mitico che vede le presuntuose figlie del re di Tessaglia sfidare nel canto le Muse. In quel caso è proprio il canto di Calliope a risultare decisivo per l’esito del confronto, che si conclude con la conseguente metamorfosi delle fanciulle in gazze (presenti nei versi come Piche).    

Nei 6 versi successivi si può rintracciare una lode al sorgere del sole (e, nuovamente, al tema della rinascita) effettuata dall’auctor che descrive il cielo del purgatorio come di “color d’oriental zaffiro”. L’oriente, punto cardinale da cui sorge il sole, rappresenta simbolicamente appunto l’idea di rinascita, che collima in generale con la primavera astronomica, ma anche con  quella situata al principio della storia del mondo, che ha dato vita all’eden. La vista del cielo blu sortisce un effetto rassicurante e rasserenante per l’agens, fino a poco prima immerso nella opprimente aria scura e tetra dell’Inferno.  


Elena, Eleonora

Canto I (versi 40-60) 


Parafrasi 

Commento 

«Chi siete voi che contro al cieco fiume

fuggita avete la pregione etterna?»,

diss’el, movendo quelle oneste piume.

 

 

 

 

 

             

 

 

«Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna,

uscendo fuor de la profonda notte

che sempre nera fa la valle inferna?

 

 

 

 

 

 

 

 

Son le leggi d’abisso così rotte?

o è mutato in ciel novo consiglio,

che, dannati, venite a le mie grotte?».

 

 


 

Lo duca mio allor mi diè di piglio,

e con parole e con mani e con cenni

reverenti mi fé le gambe e ‘l ciglio.

 

 

 

 

Poscia rispuose lui: «Da me non venni:

donna scese del ciel, per li cui prieghi

de la mia compagnia costui sovvenni.

 

 

 

 

 

Ma da ch’è tuo voler che più si spieghi

di nostra condizion com’ell’è vera,

esser non puote il mio che a te si nieghi.

 

 

 

 Questi non vide mai l’ultima sera;

ma per la sua follia le fu sì presso,

che molto poco tempo a volger era.

"Chi siete voi che risalendo il fiume sotterraneo siete 

fuggiti dalla prigione 

eterna?" Disse egli 

muovendo quella barba 

dignitosa 

 



"Chi vi ha guidati, cosa vi indicò la strada, uscendo fuori dalla notte profonda che rende sempre oscura la valle infernale? 

 

 

 



Sono così corrotte le leggi dell'abisso? O è stata istituita nei cieli una nuova legge, per cui voi dannati venite alle mie grotte?" 

 

  

Il mio maestro allora mi afferrò, e con le mani e con cenni mi fece capire di abbassare lo sguardo e inginocchiarmi 

 

 

Poi gli rispose: "non sono venuto qua di mia iniziativa, una donna scese dal cielo per le cui preghiere io aiutai con la mia compagnia costui. 

 

 

Ma dato che il tuo volere è che ti spieghiamo meglio la nostra condizione, non è possibile che il mio desiderio sia diverso dal tuo. 

 

Costui è ancora vivo, ma a causa del suo peccato si trovò a essere vicinissimo alla morte dell’anima.

Nelle terzine precedenti vengono descritte le quattro stelle,  simboleggianti le virtù cardinali, che incorniciano il volto di Catone l’Uticense. Quest’ultimo, apparso all’improvviso con un aspetto degno di reverenza, quasi come un’icona di santità, in queste terzine si rivolge ai due poeti.  

Il piglio austero e accusatorio  con cui parla a Dante e Virgilio è dato da un fraintendimento, chiarito successivamente dal maestro dell’agens. 

Il primo custode del purgatorio, in quanto tale, ha il compito di proteggerlo da anime indesiderate. Virgilio dunque si premura di far colui che intercede e per prima cosa fa si che Dante assuma una posizione riverente, per poi fare una sintesi di ciò che è accaduto fino a quel momento. 

La personalità di Catone è molto spiccata e si manifesta attraverso il dialogo.  

Il maestro racconta  di non essere sceso da solo,  fa riferimento, senza nominarla, a Beatrice, ‘’una donna scese dal cielo’’, che in veste di grazia operante diede avvio al viaggio per salvare Dante dalla dannazione.  

Successivamente inizia un discorso che riguarda la condizione spirituale di entrambi i poeti. Utilizza una parola, nei confronti del poeta che accompagna, gravida di significato: “follia”. Follia riguarda da un lato Dante e la sua paura di star facendo la cosa sbagliata andando nell’altro mondo e scrivendone le vicende che lo riguardano, dall’altro, la follia dell’alter ego del poeta, Ulisse. 

 

 Ettore, Giuseppe, Alberto, Tommaso

Canto I del Purgatorio, vv. 61-81                                           

TESTO 

PARAFRASI 

COMMENTO 

Sì com’io dissi, fui mandato ad esso 

per lui campare; e non lì era altra via 

che questa per la quale i’ mi son messo. 

 

Mostrata ho lui tutta la gente ria; 

e ora intendo mostrar quelli spirti 

che purgan sé sotto la tua balìa. 

 

Com’io l’ ho tratto, saria lungo a dirti; 

de l’alto scende virtù che m’aiuta 

conducerlo a vederti e a udirti. 

 

Or ti piaccia gradir la sua venuta: 

libertà va cercando, ch'è sì cara, 

come sa chi per lei vita rifiuta. 

 

 

Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara 

in Utica la morte, ove lasciasti 

la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. 

 

 

 

 

Non son li editti etterni per noi guasti, 

ché questi vive e Minòs me non lega; 

ma son del cerchio ove son li occhi casti 

 

 

di Marzia tua, che ’n vista ancor ti priega, 

o santo petto, che per tua la tegni: 

per lo suo amore adunque a noi ti piega. 

Così come io dissi, fui mandato da lui per salvarlo; e non c’era altra via che questa che ho intrapreso. 

 

Gli ho mostrato tutta la gente dannata; ed ora intendo mostrargli quegli spiriti che si purificano sotto la tua custodia.  

 

Sarebbe lungo raccontare come io l’abbia guidato; dall’alto scende una virtù che mi aiuta a condurlo a vederti e ad ascoltarti.  

 

Ora che sai del viaggio, per rendere più accetta la sua venuta, sappi che egli va cercando la libertà, quella libertà così preziosa, come sa chi per essa rifiuta la vita. 

 

Tu lo sai, perché per lei non ti fu amara la morte ad Utica, dove lasciasti il corpo che dopo il Giudizio finale risplenderà di luce fulgida. 

 

Le leggi eterne non sono state violate da noi, perché lui vive e io non sono sotto la giurisdizione di Minosse; io sono del cerchio in cui si trovano gli occhi casti  

 

 

della tua Marzia, che ti prega ancora, o venerabile uomo, che tu la consideri sempre tua: per il suo amore, quindi, piegati al nostro desiderio.  

Nella prima terzina Virgilio sottolinea come sia stato lui ad assumersi l’onere di salvare la vita spirituale di Dante. Dopo aver compiuto un lungo viaggio, attraverso i cerchi dell’Inferno, intraprende un nuovo pellegrinaggio attraverso le balze del Purgatorio. Catone, custode del secondo regno, viene rappresentato dall’ auctor con un carattere tendente alla possessività (in questo caso sembrerebbe del Purgatorio); ha il compito di verificare che nessuna anima fugga dall’Inferno, ma certo il caso di Dante e di Virgilio è un’eccezione e per questo motivo il maestro deve riassumere brevemente al guardiano il motivo dell’iter di Dante. Virgilio spiega il motivo per il quale ha mostrato all’agens tutte le anime dannate del regno di Satana, facendogli così conoscere le sofferenze a cui sono sottoposte. Dante, dopo aver completato il viaggio all’inferno, viene accompagnato in quello che rappresenta il regno intermedio fra inferno e paradiso: il Purgatorio.  

Virgilio, dopo aver spiegato a Catone il motivo del passaggio di Dante, chiede il permesso di procedere affinché l’agens abbia la possibilità di ricercare la libertà, così cara e preziosa che alcuni, come Catone stesso, hanno scelto di sottrarsi alla vita in nome di essa. Questo personaggio infatti, nella vita terrena, ha difeso il principio della libertà politica. Essendo un seguace della filosofia stoica, Catone non poteva avere quell’idea compiuta di libertà assoluta, che consiste nella scelta definitiva tra il bene e il male prima della morte, a cui credevano i cristiani. La filosofia stoica gli consentiva però di avere un’idea così elevata di libertà da arrivare a volersi uccidere piuttosto che perderla. Per Catone, se la vita che si era costretti a vivere era, per ragioni politiche, insostenibile e umiliante, conveniva (e anzi era addirittura considerato dignitoso), rinunciare a vivere in quelle condizioni per salvaguardare la libertà dell’anima e la sua dignità.  

Nei versi successivi Virgilio provoca, errando, l’austero guardiano: rivela che la sua tanto amata Marzia ancora lo prega e lo ama, e proprio in onore del suo amore dovrebbe concedere l’accesso al Purgatorio ai due viatores.  

La moglie Marzia appartiene allo stesso luogo infernale che ospita Virgilio, ovvero il limbo. Dal punto di vista di Catone, dunque, Virgilio commette appunto un errore, in realtà una captatio benevolentiae, respinta con cipiglio da Catone: gli basta infatti apprendere che il passaggio di Dante per le sue grotte è autorizzato direttamente da Dio, per consentire senza ulteriori indugi l’ingresso poco ortodosso nell’isola..   

 Federico, Virginia, vv. 82-98

Lasciane andar per li tuoi sette regni; 

grazie riporterò di te a lei, 

se d’esser mentovato là giù degni". 

 

 

  

"Marzïa piacque tanto a li occhi miei 

mentre ch’i’ fu’ di là", diss’elli allora, 

"che quante grazie volse da me, fei. 

   

Or che di là dal mal fiume dimora, 

più muover non mi può, per quella legge 

che fatta fu quando me n’usci’ fora. 

  

 

 

Ma se donna del ciel ti move e regge, 

come tu di’, non c’è mestier lusinghe: 

bastisi ben che per lei mi richegge. 

 

Va dunque, e fa che tu costui ricinghe 

d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso, 

sì ch’ogne sucidume quindi stinghe; 

  

  

ché non si converria, l’occhio sorpriso 

d’alcuna nebbia, andar dinanzi al primo 

ministro, ch’è di quei di paradiso. 

 

Lasciaci andare per le sette Cornici del purgatorio, parlerò di te a Marzia con riconoscenza , se tu accetti di essere menzionato laggiù».

 

Egli allora disse: «Fin che fui in vita, Marzia fu così diletta ai miei occhi che esaudii ogni suo desiderio.

 

Ora che risiede al di là del fiume infernale (Acheronte) non può più commuovermi, in forza di quella legge che fu emanata quando io ne uscii fuori.

 

Ma se una donna beata, come dici, muove i tuoi passi, non servono lusinghe: è sufficiente pregarmi in suo nome.

 

Va' dunque, e fa' in modo di cingere i fianchi di costui con un giunco liscio e lavagli il viso, in modo tale da eliminare da esso ogni sudiciume;

 

infatti non sarebbe opportuno presentarsi di fronte al primo ministro del Paradiso (l'angelo nocchiero del II canto) con l'occhio velato da una qualche nebbia. 

All’inizio di questa selezione di versi Virgilio commette l’errore di appellarsi all’amore per la moglie Marzia nel tentativo di ottenere la benevolenza di Catone, uno stoico che ha deciso di fare esattamente ciò che gli stoici hanno stabilito: quando la vita non  vale più la pena è necessario ammazzarsi per non perdere la propria dignità. Tutto ciò ha un grande significat, in quanto di certo Catone non poteva avere l’idea compiuta di libertà che appartiene solo ai cristiani. Per questo motivo, egli ha fatto solo ciò che lo stoicismo gli consentiva di fare, ovvero avere nei riguardi della libertà un’idea talmente sublime ed elevata da preferire uccidersi piuttosto che perderla.  
Per i cristiani la libertà massima di ogni individuo si manifesta solo nel libero arbitrio, che rappresenta la scelta tra il bene e il male che ognuno può intraprendere fino all’istante precedente alla propria morte. Tutto questo costituisce un sistema del quale Dante si serve, cioè un sistema allusivo riconducibile alla vita di Catone, in quanto rappresenta un’allusione alla libertà cristiana e motivo per il quale questi si merita di essere il guardiano dell’isola del purgatorio. 

L’errore commesso dalla giuda è quello di evocare un amore, che, seppur forte in vita, ormai è finito; poiché, spiega Catone, in seguito a una legge emanata quando lui è uscito dall’inferno, Marzia si trova al di là del fiume Acheronte, mentre lui è il guardiano dell’isola del purgatorio.  

Poi Catone definisce  lusinghe la captatio benevolentiae compiuta da Virgilio e lo ammonisce affermando che per il loro lasciapassare è sufficiente che una donna celeste, Beatrice, sia garante del loro viaggio.  

La selezione di versi si conclude con l’introduzione del rito di purificazione che concluderà il canto: Catone suggerisce all’agens di ripulirsi da tutte le impurità accumulate durante il percorso infernale, perché non conviene che si presenti con la caligine dell’inferno dinanzi al prossimo angelo (che vedrà già nel secondo canto, alla guida dell’imbarcazione che traghetta le anime morte fino all’isola del purgatorio).

 Filippo G., Andrea S., Canto I, vv. 100-117

Testo

Parafrasi

Commento

Questa isoletta intorno ad imo ad imo,

là giù colà dove la batte l’onda,

porta di giunchi sovra ’l molle limo:102








null’altra pianta che facesse fronda

o indurasse, vi puote aver vita,

però ch’a le percosse non seconda.105








Poscia non sia di qua vostra reddita;

lo sol vi mosterrà, che surge omai,

prendere il monte a più lieve salita".108






Così sparì; e io sù mi levai

sanza parlare, e tutto mi ritrassi

al duca mio, e li occhi a lui drizzai.111





El cominciò: "Figliuol, segui i miei passi:

volgianci in dietro, ché di qua dichina

questa pianura a’ suoi termini bassi".114






L’alba vinceva l’ora mattutina

che fuggia innanzi, sì che di lontano

conobbi il tremolar de la marina.117.

In questa isola, da parte a parte, là dove le onde si infrangono, sono presenti dei giunchi che sbucano fuori dal molle limo. Nessun’altra pianta che avesse fronde o tronco poteva vivere là, in quanto non poteva flettersi all'impatto delle onde.



“Che il vostro ritorno non sia per questa via, il Sole, che sta ormai sorgendo, ve la mostrerà per salire sul monte dolcemente”.


Così sparì e io, zitto, mi alzai avvicinandomi alla mio maestro e volgendo a lui il mio sguardo.

Egli disse: “Figliuolo, segui i miei passi: indietreggiamo, di qua la pianura scende fino al suo punto più basso”. L’alba stava vincendo il buio mattutino che fuggiva dinanzi a lei e così riconobbi da lontano il movimento delle onde del mare. 

Lungo la spiaggia dell’isola del purgatorio sono presenti delle piante dotate di proprietà particolari, ovvero i giunchi. Il giunco è una pianta che nasce in terreni molli e fangosi, è flessibile e, perciò, non si oppone alle onde del mare che si infrangono violente sulla spiaggia. Questa pianta è fondamentale nel rito lustrale, che Dante deve compiere per lavarsi di ogni segno dell’inferno prima di presentarsi di fronte al primo degli angeli del purgatorio, quello che "guida" la piccola imbarcazione delle anime destinate al secondo regno. (nel II canto). Prima di sparire, Catone indica ai due pellegrini l'unica via retta da seguire: quella che il sole illumina e che conduce alla prima salita del monte.


Martina, Matteo, Canto I del Purgatorio, vv. 115-136

TESTO 

VERSIONE IN PROSA 

COMMENTO 

L’alba vinceva l’ora mattutina  
che fuggia innanzi, sì che di lontano  
conobbi il tremolar de la marina.               117 
 
 

 

Noi andavam per lo solingo piano  
com’om che torna a la perduta strada,  
chenfino ad essa li pare ire in vano.        120 
 
 

 

Quando noi fummo là ‘ve la rugiada  
pugna col sole, per essere in parte  
dove, ad orezza, poco si dirada,                 123 
 
 

 

ambo le mani in su l’erbetta sparte  
soavemente ‘l mio maestro pose:  
ond’io, che fui accorto di sua arte,            126 
 
porsi ver’ lui le guance lagrimose:  
ivi mi fece tutto discoverto 
quel color che l’inferno mi nascose.          129 
 
Venimmo poi in sul lito diserto,  
che mai non vide navicar sue acque  
omo, che di tornar sia poscia esperto.      132 
 

 
 

Quivi mi cinse sì com’altrui piacque:  
oh maraviglia! ché qual elli scelse  
l’umile pianta, cotal si rinacque   

 
subitamente là onde l’avelse.                     136 

L'alba spingeva via vittoriosamente l'ultima ora della notte che fuggiva innanzi a essa, tanto che in lontananza riconobbi il tremito delle onde del mare.  

 

Noi andavamo attraverso il solitario pianoro, come un uomo che ritorna verso la via smarrita e a cui, finché non la raggiunge, sembra di fare un cammino inutile.  

Quando noi giungemmo là dove la rugiada resiste al calore del sole, perché sta in un luogo in cui, all'ombra, evapora lentamente, il mio maestro pose dolcemente 

 

 ambedue le mani aperte sull'erba tenera: per cui io, che compresi subito il significato della sua operazione, rivolsi verso di lui le mie guance segnate di lacrime; li mi rese interamente visibile quel colore che l'Inferno aveva offuscato.  

 

 

Andammo poi sulla spiaggia deserta, che non vide mai essere vivente navigare le sue acque, che sia poi stato in grado di fare l'esperienza del ritorno.  

 

In questo luogo mi cinse nel modo desiderato dalla volontà divina: oh meraviglia! perché come egli scelse l'umile pianta, essa rinacque tale e quale all'istante nel luogo dove l'aveva strappata. 

Sorto il sole che, in quanto rappresentazione della grazia divina, illumina il cammino di purificazione dei due poeti attraverso il purgatorio, Virgilio e l’agens riprendono il loro percorso verso la spiaggia deserta; mediante la similitudine con un uomo che, fino al momento in cui non ritrova la via smarrita, pensa di camminare inutilmente, Dante auctor descrive il loro percorso di purificazione dai peccati lungo una pianura solitaria e silenziosa, fino a quando giungono in un punto in cui la rugiada, creatasi nella notte, non è evaporata nei luoghi ombrosi poiché non ancora raggiunti dal sole. Fermatosi, Virgilio successivamente poggia entrambe le mani sull’erba bagnata, e Dante si volta verso di lui con le guance ricoperte dalle lacrime nelle quali, in quanto traccia dell’Inferno, è possibile leggere tutta la storia e il viaggio percorso in esso, e in particolare la guerra che l’agens ha combattuto fra sé e sé. Il rito lustrale, cioè di una purificazione che nella tradizione romana accompagnava l’assunzione della carica più alta del cursus honorum repubblicano, comporta in questo caso la presenza di  un peculiare elemento simbolico: il giunco flessibile, che rappresenta la virtù dell’umiltà, fondamentale per accedere al purgatorio e per procedere all’espiazione. Inoltre, esso, oltre ad esser dotato di una notevole flessibilità, è caratterizzato da una continua rinascita, a sottolineare il fatto che nulla di quello che avviene nel purgatorio può essere ricollegato con la morte definitiva. 

 

 Carlotta, Filippo M., Lisa, Canto I, vv. 19-39

TESTO 

PROSA 

COMMENTO 


Lo bel pianeto che d’amar conforta 

faceva tutto rider l’orïente, 

velando i Pesci ch’erano in sua scorta. 

21 

 




I’ mi volsi a man destra, e puosi mente 

a l’altro polo, e vidi quattro stelle 

non viste mai fuor ch’a la prima gente. 

24 

 







Goder pareva ’l ciel di lor fiammelle: 

oh settentrïonal vedovo sito, 

poi che privato se’ di mirar quelle! 

27 

 




Com’io da loro sguardo fui partito, 

un poco me volgendo a l’altro polo, 

là onde ’l Carro già era sparito, 

30 

 




vidi presso di me un veglio solo, 

degno di tanta reverenza in vista, 

che più non dee a padre alcun figliuolo. 

33 

 





Lunga la barba e di pel bianco mista 

portava, a’ suoi capelli simigliante, 

de’ quai cadeva al petto doppia lista. 





Li raggi de le quattro luci sante 

fregiavan sì la sua faccia di lume, 

ch’i’ ’l vedea come ’l sol fosse davante. 

Il bel pianeta che istiga ad amare rendeva felice tutto l’oriente, coprendo la costellazione dei Pesci che lo seguiva.


Io mi voltai alla mia destra e guardai l’altro polo; vidi così quattro stelle mai viste prima da nessuno se non dai Primi Antenati (Adamo ed Eva).



Il cielo sembrava brillare per quelle fiammelle; oh emisfero boreale, come sei desolato visto che non puoi ammirare queste stelle.  


Non appena ebbi voltato il mio sguardo, girandomi leggermente verso l’altro polo, là dove la costellazione del Carro era già sparita,


vidi vicino a me un vecchio solo, che a vederlo pareva degno di tanto rispetto quanto quello che il figlio deve al padre.


Aveva barba lunga e bianca, così come i capelli, che cadevano sul petto con due bande.



I raggi delle quattro stelle sante illuminavano il suo volto, al punto che pareva il sole gli fosse davanti.  

 

L’agens si incanta a guardare le luminose costellazioni dell’emisfero australe. In particolare il suo sguardo si posa su  Venere, pianeta il cui significato allegorico riporta necessariamente il lettore al tema dell’amore. Il chiarore da esso emanato sembra abbracciare l’intero cielo orientale, descrivendo una cornice la cui aria di rinascita si sposa perfettamente con l’ingresso dell’agens nel Purgatorio. Una primavera, la prima stagione, come indica il suo stesso nome, che simboleggia un nuovo inizio, una rinascita, nonché l’attesa di qualcosa di bello, che arriverà dopo, con l'estate e la maturazione delle messi e degli alberi da frutto.

Dante si sofferma poi sulle costellazioni del firmamento, quella dei Pesci e quella dell’Orsa Maggiore, per poi passare a parlare delle quattro stelle della croce del sud, stelle che nessuno, fatta eccezione per Adamo ed Eva, aveva avuto l’onore di scrutare. Uno spettacolo che avviene nel cielo, sopra la testa di tutti, eppure nella storia dell’umanità è stato riservato solo a lui e alla prima gente 

Questi astri allegoricamente rimandano alle quattro virtù cardinali che le anime devono possedere per riuscire ad arrivare in paradiso: fortitudo, iustitia, prudentia, temperantia (fortezza, giustizia, prudenza e temperanza) e che Dante cita, forse, come memento per non perdere di vista le qualità che è imprescindibile coltivare per poter accedere, unendole alle teologali, al paradiso.  

Successivamente a questa contestualizzazione temporale, Dante si sofferma sulla figura di un veglio solo apparso lì vicino, che è barbuto e ha il volto incorniciato e illuminato dalle stelle. SI tratta di Catone l’Uticense, descritto come un uomo anziano degno di riguardo. I termini utilizzati per descriverlo sembrano voler richiamare, ma per antitesi, la figura di  Caronte. Infatti il traghettatore infernale viene dipinto come un demone analogamente anziano ma dai tratti brutali, mentre Catone, fin dall'aspetto, oltre che dal tenore del discorso tenuto ai due pellegrini, è nobilitato.

 

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