QUINTILIANO - QUESTIONARIO QUALCHE SAGGIO

Sara

 1)   Ragiona sul concetto, ribadito da Quintiliano e posto come riferimento nell’ambito del discorso sulla formazione degli allievi, sintetizzato nella formula non multa, sed multum.

Quintiliano, attraverso il suo trattato Institutio oratoria, si propone di delineare la formazione dell'oratore a partire dalla giovinezza, affrontando tutti gli aspetti teorici e pratici della scienza retorica e dell'oratoria. Sebbene si ispiri spesso a Cicerone, Quintiliano non adotta la forma di un dialogo, ma presenta un trattato didascalico simile all’Ars, ovvero ad un manuale scolastico. La concezione della retorica come scienza, in linea con Cicerone, mira non solo a fornire competenze tecniche, ma anche a formare, insieme con il perfetto oratore, il cittadino e l'uomo moralmente esemplare. Quintiliano sostiene che solo chi padroneggia l'arte dell'eloquenza può trattare adeguatamente argomenti filosofici ed enfatizza l'importanza di una formazione globale approfondita e coerente. In particolare, egli utilizza l’espressione non multa, sed multum, la quale significa letteralmente  non molte cose, ma molto, per sottolineare come la cultura di un individuo dipenda più dalla qualità  che dalla quantità di cose che apprende. Si stabilisce così chiaramente anche la distinzione fra erudizione  e cultura, ovvero fra apprendimento meccanico e coltivazione dello spirito critico.

 

2)   Quintiliano, nell’Institutio oratoria ragiona tra l’altro sulla mutata funzione dell’oratore. Spiega perché si ponga la questione e in quali termini.

Nel trattato Institutio oratoria, Quintiliano affronta anche  i cambiamenti storico-culturali del suo tempo, focalizzandosi, in particolare, su un problema: la mutata funzione dell'oratore nella società civile. Egli analizza la decadenza dell'eloquenza, attribuendone la causa a fattori tecnici, come la mancanza di buoni insegnanti o la sovrabbondanza di  orazioni dedicate a  argomenti irreali, e immorali,  ma pure la variazione del gusto e delle aspettative dello stile della società. Quintiliano delinea la figura dell’oratore perfetto, ma ne parla come se nulla fosse cambiato dall’età repubblicana, senza tener conto della ridotta importanza decisionale che spettava al Senato e al popolo durante il regno della dinastia Flavia. Egli raccomanda all’oratore moderazione, disciplina e senso della misura, identificando e rendendo figure esemplari di oratori eccellenti coloro che collaborano strettamente con i principi. Evidente, insomma, che eviti di trattare la questione scottante del cambiamento politico avvenuto, che ha reso meno essenziale di quanto fosse in epoca repubblicana la conoscenza e la pratica dell’ars rhetorica.

 

3)   Nell’educazione di un giovane l’ambiente familiare, ragiona Quintiliano, è fondamentale. Riferendoti al passo dell’Institutio riportato a p.324, individua le principali considerazioni sul tema (due/tre citazioni latino/italiano).

Secondo Quintiliano, non è solamente all’interno delle mura scolastiche che può verificarsi la corruzione della mente e del corpo, ma anche nello stesso ambiente domestico, in quanto a casa i giovani (fin da bambini, in verità)  rischiano di assumere cattive abitudini e incorrere in  gravi vizi. Per questo, infatti, egli, all’interno dell’Institutio oratoria, afferma che Infantiam statim deliciis solvimus (Fin da subito, facciamo illanguidire la loro infanzia tra le delizie). Quintiliano condanna, in particolare, i metodi educativi diffusi nei ceti ricchi, in quanto mollis illa educatio, quam indulgentiam vocamus, nervos omnis mentis et corporis frangit (quell'educazione molle che chiamiamo indulgenza infiacchisce completamente il vigore della mente e del corpo). Il problema sono i genitori che, viziando originariamente i figli, accontentandoli in tutto, senza mai sgridarli, insegnano loro che si può ottenere tutto senza sforzo, solo chiedendo insistentemente. I bambini, di conseguenza, si abituano a questa condizione, ed iniziano a pensare che sia una costante. È, inoltre, colpa della loro madre e del loro padre se essi affermano qualcosa di inappropriato, poiché nos docuimus, ex nobis audierunt (gliele abbiamo insegnate noi, da noi le hanno sentite). Dunque, non accipiunt ex scholis mala ista (codesti difetti non li ricevono dalla scuola), bensì li assorbono molto prima di iniziare a frequentarla, e poi, soprattutto in scholas adferunt (li portano nelle scuole). Interessante notare che Quintiliano, proprio come la moderna pedagogia, prende in considerazione il contesto in cui si compie l’educazione infantile e, al contempo, dedica attenzione ai fanciulli considerandoli soggetti particolarmente sensibili e meritevoli di attenzione, anche per la possibilità di forgiarne il carattere nel modo considerato più utile ad affrontare la vita adulta.

-----------------------------------------------------

Lorenzo

FOCUS ETIMOLOGICO 

Il verbo latino doceo appartiene alla categoria dei verbi con valore causativo e di conseguenza indica un’azione che il soggetto del periodo fa compiere a qualcun altro. Infatti in italiano si può tradurre grazie ad una perifrasi, ricorrendo al verbo fare nelle espressioni far conoscere o far apprendere.

È possibile notare come condivida la medesima radice (di origine indoeuropea) che appartiene al termine disco, sempre collegato al processo di apprendimento. In questo caso viene utilizzato per descrivere sia il processo ingressivo (quindi cominciare ad apprendere) che quello progressivo (andare apprendendo). Di conseguenza risulta naturale che il sostantivo documentum designi ciò che serve a far apprendere e capire, e quindi si possa tradurre come insegnamento, lezione, esempio ma anche prova, testimonianza.

È decisamente notevole il fatto che doceo e disco condividano la medesima radice, poiché descrivono uno l’azione di insegnare e l’altro quella di imparare, connesse appunto in radice. Ne risulta immediatamente  un’interessante correlazione anche tra i soggetti protagonisti delle azioni, che in italiano corrispondono alle figure del docente e del discente, participi presenti dei due verbi. Il risultato di una tale associazione permette di riconoscere  qualità che per definizione devono appartenere ad entrambi,  e spesso vengono trascurate o considerate talmente ovvie da produrre l’effetto, appunto, di non essere curate. .

Come il docente non può sottovalutare la propria professione e, in linea con il pensiero di Quintiliano, dovrebbe dedicarsi agli studenti considerando innanzitutto le differenze che intercorrono tra questi in quanto persone differenti le une dalle altre, così gli studenti non dovrebbero esimersi dal mantenimento di un comportamento docilis: tale aggettivo in Quintiliano fa riferimento alle qualità dell’allievo idoneo e disponibile a farsi istruire ma anche plasmabile e rispettoso nei confronti dei professori. Nel linguaggio comune, la qualifica di docile viene spesso utilizzata per definire gli animali che si fanno ammansire con facilità. Peraltro un ulteriore termine con la medesima radice che definisce lo studente è discipulus (deriva da disco, ha lo stesso significato di discente e si traduce con discepolo). Con discepolo, spesso, pensando agli apostoli ad esempio, definiamo colui che vede nel proprio maestro un punto di riferimento e segue le sue opinioni e le sue pratiche; ma ricercando l’etimologia si può scoprire come si ricolleghi al lemma disciplina. Ques’ultima caratterizza sia quella che può essere una scienza o un’arte oggetto di studio (oggi spesso sentiamo parlare di discipline scolastiche, ad esempio, per definire le materie), ma anche l’atteggiamento che può appartenere allo studente particolarmente dedito al conseguimento degli  obiettivi scolastici.

Ne consegue un’immagine dell’istruzione come un’operazione collaborativa che va oltre la semplice comunicazione di nozioni, l’assorbimento disinteressato di queste e l’assegnazione di valutazioni. Ragionamenti di una tale modernità erano contenuti già nell’Institutio Oratoria, in cui la trattazione degli argomenti viene accompagnata da una docendi ratio (un metodo d’insegnamento) che non si basa tanto sulla conoscenza di aspetti normativi e aridamente precettistici della scienza retorica, ma è piuttosto volta a sviluppare le capacità naturali in vista della formazione complessiva dell’oratore. Non è un caso il fatto che l’azione di insegnare venga descritta da Quintiliano anche come doctrina, termine che corrisponde a eloquenza o sapere filosofico, legato quindi alle necessità dell’oratore, ma anche quello più generico di educazione, affine al percorso di realizzazione umana che i greci denominavano paidèia,  prevedendo la pedagogia non come un mezzo per la formazione ma come l’obiettivo di quest’ultima.

Tuttavia, leggendo le opere di Quintiliano, non troviamo solamente il termine docens per fare riferimento al docente, ma anche espressioni come docendi peritus (quindi esperto nel far apprendere) o doctor (formato con il nomen agentis -tor, a indicare colui che compie l’azione di far apprendere). Anche in Italiano il termine dottore viene associato a chi è dotato dei requisiti culturali e intellettuali per istruire; inoltre,  persino Dante si riferisce a Virgilio nel canto V dell’Inferno affermando “Poscia ch’io ebbi ‘l mio dottore udito”, anche se spesso non viene utilizzato con questo intendimento.

Per lungo tempo è stato poi utilizzato per designare giurisperiti ad avvocati (ad esempio il dottor Azzeccagarbugli dei Promessi Sposi). Lo stesso emerge dal personaggio del dottor Balanzone, una maschera della commedia dell’arte che costituiva la caricatura del dotto accademico, del professore di diritto o medicina. In seguito è stato esteso a tutti coloro che conseguono la laurea universitaria (si dice dottore in lingue, in medicina). Una prospettiva simile si può notare anche nell’utilizzo che Quintiliano fa del termine in alcune occasioni, quando viene applicato anche alla categoria degli specialisti in determinate artes, come per i palaestrici doctores (maestri di ginnastica) o gli scaenici doctores (gli esperti di arti teatrali).

Invece l’associazione più comune che facciamo nel linguaggio quotidiano, quella che identifica la figura del dottore con quella del medico, sembrerebbe risalire alla fine del ‘300, quando si comincia, per una tendenza popolare, a considerare il medico come il doctus per eccellenza.

Altri sinonimi utilizzati per denominare i docenti, come professore o maestro, invece, non hanno alcun legame radicale, ma possono comunque permettere di effettuare alcune analisi. L’appellativo maestro (in latino magister) deriva direttamente da magis,  e sta quindi ad indicare qualcuno che comanda e che solitamente sa e sa fare più degli altri. Per quanto riguarda il vocabolo professore, sembrerebbe provenire dal verbo latino profiteor (dichiarare, professare, insegnare) per definire colui che professa, cioè dichiara pubblicamente, insegna una disciplina, un'arte, una scienza. È decisamente interessante notare come la stessa costruzione appartenga anche al vocabolo profeta, formato anch’esso da pro- (avanti) e -phetes (un derivato dal greco  phemì traducibile con dico). In questo caso le prerogative che rendono qualcuno un profeta sembrerebbero essere tre: la capacità di ascoltare (in modo da poter acquisire conoscenze importanti), quella di rivelare ciò che si è appreso nel primo passaggio, ma soprattutto quella di anticipare nei fatti ciò che si annuncia.

Con un ulteriore salto si può pervenire al verbo greco pro-faino (προφαίνω) che tra i suoi diversi significati ne ha uno particolarmente interessante e proficuo ai fini del mio discorso: illuminare dinanzi, portare un lume dinanzi a qualcuno, ovviamente il discepolo. Si tratta proprio dell’immagine con cui viene presentato il personaggio di Virgilio nell’atto di guidare l’agens nell’inferno. Tra l’altro la scelta dell’auctor di inserire Virgilio sembrerebbe essere assolutamente giustificata dal fatto che al poeta romano sia stata riconosciuta dalla tradizione cristiana una funzione profetica. Infatti nella quarta egloga delle Bucoliche  sembrerebbe proprio alludere alla nascita di un bambino che instaurerà un periodo di pace per la società e per la natura, sotto la cui guida scompaiono le tracce della nostra colpa.

Un’ultima analisi può riguardare il verbo italiano insegnare, che ho utilizzato numerose volte durante il focus. Questo deriva dal latino insignare, che indicava l’azione di incidere segni, e permette di ottenere un’idea di cosa sia l’insegnamento corrispondente quindi all’azione di imprimere segni, nozioni, nella mente del discente.


Commenti

Post popolari in questo blog

IL SORRISO - RIASSUNTO MODELLO (CIRCA 200 PAROLE)

LA CARRIOLA DI PIRANDELLO: RIASSUNTO E COMMENTO

DOMANDE E RISPOSTE ODISSEA VOSTRE (corretto)